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Dal maestro di cappella all'odierno direttore/compositore
Il Convegno internazionale di direzione di coro

di Enrico Correggia, Anna Passarini, Mateja Černic
dossier "Il gesto è già suono", Choraliter 58, maggio 2019

Il sottotitolo del convegno internazionale di direzione di coro, promosso da ventuno studenti della classe di direzione e composizione corale del Conservatorio di musica F.A. Bonporti di Trento e Riva del Garda nel maggio del 2017, coordinati dal maestro Lorenzo Donati, recita “Dal maestro di cappella al moderno direttore/compositore”.
Il progetto di ricerca, approntato principalmente su territorio nazionale e sui cui risultati sono stati interpellati direttori e compositori europei per un confronto in sede di convegno, prende le mosse dalla semplice osservazione dell’evoluzione e trasformazione della figura e della funzione del direttore di coro ieri e oggi.

Cenni storici

In principio era il primicerius. Questo nome è derivato da una carica imperiale romana che, etimologicamente, segnava il primo nome della lista di cantori che veniva vergata su una tavoletta di cera, l’Ordo Romanus I, fonte imprescindibile per la ricostruzione della liturgia d’età gregoriana e che indica il più importante tra i sette cantori pontifici. Era colui che difendeva la tradizione romana, il Prior Scholae, il solista principe. Non è un caso se, di lì a poco, Isidoro di Siviglia lo chiamerà praecentor, colui che canta per primo: è il passo primitivo nel cammino che porterà alla figura del maestro di cappella.
In realtà l’organizzazione della Schola Cantorum era ben diversa da quella che è arrivata fino a noi. Ognuno aveva dei ruoli ben distinti e specifici. A Roma, la gestione vera e propria dell’insieme corale, fuori dai primi tre nomi che andavano a costituire il gruppo dei solisti, spettava al quartus scholae che prende il nome di archiparaphonista.
Suo era anche il compito di comunicare al Papa chi avrebbe cantato cosa in liturgia: se quest’ordine fosse stato mutato in corso d’opera, sarebbe immantinente incorso in scomunica.
Nelle altre realtà, i ruoli principali erano sostanzialmente tre: il succitato praecentor; il succentor, che gli rispondeva antifonicamente; il concentor, che fungeva da unione tra i due. Ancora non si può parlare di Cappella. Il termine nasce come diminutivo di Cappa, ovvero il mantello di San Martino, tenuto in altissima considerazione come reliquia iconica già nel regno merovingio. Per estensione passerà a indicare dapprima il reliquiario che lo conterrà, poi l’edificio religioso atto a custodire il reliquiario stesso (la basilica di Aquisgrana) e, infine, la serie di chierici deputati alla sua custodia e al suo culto. Sarà Pipino il Breve, nell’idea di ristabilire un’immagine sacra del Re di tipo veterotestamentario, a decidere di portare la reliquia sempre con sé e dare alla cappella quella dimensione itinerante che andrà a costituire il nucleo stabile dei cantori personali del sovrano.
In questa prima fase, il Maestro non aveva alcuna funzione compositiva. Era semplicemente un membro del clero che aveva il compito di organizzare il canto. Anche con l’introduzione dell’organum melismatico, non era necessariamente lui a dover produrre nuove composizioni. Lo stesso Perotinus, uno dei primi grandi compositori conosciuti, sembra essere identificabile con un Petrus che arrivò al grado di succentor nella cattedrale parigina di Notre Dame tra il 1207 e il 1238. Lo spostamento della corte pontificia nel Contado Venassino e, poi, ad Avignone ha avuto tra le sue conseguenze anche una necessità interna di riorganizzazione di tutto l’apparato liturgico. Così, Benedetto XII nel 1334 decise di affiancare alla già esistente cappella pontificia una più piccola e selezionata, dedicata a Santo Stefano, composta da dodici cantori e un direttore che assumerà finalmente, sette anni dopo, il titolo di Magister Capellae. È la prima attestazione formale di questo ruolo col nome che ancora oggi usiamo. Nel frattempo, a seconda delle tante tradizioni locali, sono state usate molteplici altre forme: Archicantor, Archichorus o, addirittura Armarius, in ambito monastico, quasi a sottolinearne il ruolo di “custode”. L’ambiente benedettino fu anche foriero di una curiosa consuetudine per cui il Maestro, già dal X secolo, portava un bastone, detto baculus cantoralis (ma anche virga argentea, baculus praecentoris ecc.), dapprima semplice e poi riccamente ornato, a metà tra uno scettro simbolico e una verga correttiva con cui percuotere cantori inadempienti.
Il periodo di permanenza pontificia in territorio francese portò all’istituzione di varie maîtrises, con livelli e caratteristiche difformi su tutto il suolo nazionale, sul modello delle scholae romane. La figura del maître de chapelle resterà ancora per diverso tempo un titolo puramente onorifico dato a un dignitario ecclesiastico senza obblighi musicali, più affine a un cerimoniere. Il vero direttore musicale era il sous-maître, scelto tramite rigoroso concorso.

Il ritorno del Papa a Roma, con le problematiche scismatiche annesse che sfoceranno prima nel concilio di Costanza (1414-1418) e poi in quello di Basilea, Ferrara e Firenze (1431-1445), creerà la necessità di un riordinamento del servizio musicale. Ciò porterà Sisto IV all’istituzione di un unico collegio di cappellani cantori (1471) che costituirà il nucleo primigenio di quella che prese il nome di Cappella Sistina. È qui che il Maestro diventerà la figura che noi tutti conosciamo: direttore del coro con obbligo di comporre musica per il servizio liturgico. Da allora, in certi ambienti, la tradizione è rimasta ininterrotta. Anche quando la figura del musicista, nel tardo XVIII secolo, si è svincolata dalle corti e dalle cappelle ecclesiastiche dirottandosi verso il libero professionismo, c’è sempre chi ha incarnato le caratteristiche che riscontriamo in Palestrina, De Victoria o Bach. In Italia il direttore di coro nel suo ordinamento di studi accademici è ancora un compositore. Ma è ovunque così? Cos’è rimasto in vita di tutto questo depositum in un direttore moderno?

Presentazione del questionario

Dopo una preliminare ricerca di carattere storico e musicologico sull’argomento e sui suoi maggiori esponenti, si è proceduto con una seconda indagine volta a scoprire che cosa significhi nel concreto essere direttore di coro oggi in Italia. Per giungere a tale scopo si sono consultati almeno 350 direttori di coro di tutte le regioni d’Italia e di tutte le età, che svolgono attività in ambito scolastico, popolare, giovanile, teatrale e liturgico. Nel giro di poche settimane si sono ricevuti dagli intervistati, che, cogliendo l’occasione editoriale, ringraziamo della disponibilità e della ricchezza delle informazioni fornite, 210 moduli per un totale di circa 7000 risposte a quesiti di varia natura tematica.
In che modo raggiungere il maggior numero possibile di direttori sull’intero territorio nazionale? Come acquisire informazioni il più possibile puntuali e aderenti alla realtà concreta nella descrizione delle attività del direttore di coro? Come fare a produrre un percorso di indagine atto a includere e a essere condiviso da tutte le tipologie di intervistati per quanto riguarda contenuti e linguaggio? In risposta a tali domande si è concettualizzato e progettato un questionario da compilare online, che fosse di facile gestione sia per chi forniva informazioni, sia per chi avrebbe dovuto raccoglierle ed elaborarle.
Il primo passo verso la realizzazione di tali propositi è stato capire su quali contenuti dovessero vertere le domande: in quanto studenti di direzione di coro che cosa sarebbe stato utile sapere da chi sviluppava la sua attività in un contesto sociale e/o musicale differente dal nostro, o che aveva avuto un percorso formativo alternativo al nostro? Si poteva dare libero sfogo ai nostri interrogativi più urgenti e ognuno di noi ne aveva di diversa natura e priorità. E qui sta la forza del lavoro di squadra, aiutati in questo dagli stimoli e dal confronto continui esercitati in classe da un direttore e didatta, quale è il maestro Donati.
Una volta stabiliti gli ambiti di indagine fondamentali e imprescindibili dell’attività del direttore di coro odierno e conferito un ordine logico di presentazione agli stessi, secondo un percorso che generalmente ha inizio con la formazione dei coristi e termina con la performance, passando per l’aspetto vocale, di scelta del programma, la concertazione dei brani scelti e la loro esecuzione, si è proceduto alla vera e propria stesura del modulo in questione.
In seguito a una prima fase di prova testata all’interno della classe, si è giunti alla versione definitiva: in apertura la richiesta di dati personali utili alla ricerca corpus centrale di domande inerenti a cinque differenti ambiti di indagine (didattica, vocalità, concertazione, direzione, composizione) e, a conclusione, un’appendice riguardante prassi esecutiva e repertori.
Ogni ambito di studio è stato affrontato secondo uno stesso schema metodologico e formale, atti a snellire anche la successiva traduzione statistica dei dati ricevuti. In ognuna delle cinque macrosezioni all’intervistato è stato chiesto di:
1. Che cosa fa: precisare, tramite domanda a scelta multipla, le sue mansioni specifiche in quanto punto propulsivo dell’attività di volta in volta scandagliata;
2. Come fare: indicare, mettendo in ordine prioritario i vari punti presenti, le modalità di svolgimento delle attività preventivamente nominate al punto 1;
3. 4. Esperienza: fornire spunti pratici tramite domanda chiusa con successiva specificazione propria a ciascun ambito;
5. Know how: valutare il grado, indicandone la percentuale, di influenza della propria formazione sull’aspetto osservato;
6. Consigli: dare, scrivendo liberamente con risposta aperta, possibili suggerimenti a chi si approccia all’ambito.

Nella prima macrosezione, didattica, si guarda al direttore in veste di educatore musicale e si vaglia il grado di formazione musicale attestata o fornita ai propri cantanti o coristi e se oltre al lavoro di direttore affianca o meno mansioni pedagogiche e/o attività di insegnamento musicale generale. In seconda battuta, si esamina in quale misura la formazione ricevuta a suo tempo e modo dal direttore lo influenzi o lo guidi nella formazione che egli offre ai propri cantanti o coristi. La vocalità è il secondo argomento su cui gli intervistati sono stati interpellati, dato che la preparazione vocale a breve e a lungo termine dei coristi negli ultimi decenni è divenuto sempre più oggetto della cura e dell’attenzione da parte del direttore di coro anche a livello amatoriale. A cosa è dovuta questa tendenza: all’educazione a un ideale di suono; a una maggiore consapevolezza corporea; all’esigenza del corista; a un incremento di qualità nella formazione di tecnica vocale del direttore. Sulle capacità di gestione della prova e di preparazione del coro si riflette nella sezione concertazione, dove si cerca di capire in quale aspetto musicale vengano profuse maggiormente le forze strategiche e musicali del direttore. È diffuso tra i direttori scandire preventivamente tempi e contenuti della prova? Nello studio della partitura vengono dati maggior risalto e sforzo all’intonazione, o al fraseggio? E la pronuncia? E da ultimo, dove si può imparare l’arte del concertare?
Per scoprire se è sempre vero che un coro ben preparato porta a un’esecuzione altrettanto soddisfacente, con conseguente successo di pubblico è sufficiente guardare alle risposte fornite nella penultima sezione del questionario attinente alla direzione, intesa come gestualità, ma anche come capacità del direttore di risolvere o sfruttare a proprio vantaggio la contingenza inevitabilmente legata alla riuscita della performance.
L’ultima grande sezione è dedicata alla composizione: al direttore/compositore, ma anche al rapporto del direttore verso la composizione da eseguire o da proporre nel caso in cui i due ruoli non coincidano e all’inverso, quando un compositore scrive anche per formazioni corali, non essendo direttore di coro. Quali problematiche scaturiscono, quali vantaggi dall’avere o meno nella propria cassetta degli attrezzi la conoscenza compositiva e/o analitica? A conclusione del sondaggio, in forma di appendice, si affronta il tema, pur importante e necessario quando si parla di opere musicali e della bontà della loro esecuzione, della prassi esecutiva e dei repertori in modo più schematico rispetto alle altre sezioni.

Presentazione dei dati raccolti

La ricerca interessa direttori italiani e stranieri di diverse generazioni ed esperienze formative. La maggior parte degli intervistati (42%) ha studiato in conservatorio; le masterclass di direzione hanno formato il 25% del campione, la scuola pluriennale privata viene rappresentata al 12%, mentre è il 9% ad aver studiato nelle accademie. La percentuale più bassa (4,3%) è rappresentata dalle scuole di musica. Nella ricerca sono stati presi in considerazione anche i risultati di ogni singola categoria di direttori, in base alla tipologia di coro diretto. L’unico risultato che si allontana leggermente dalla media riguarda la formazione dei direttori di voci bianche: a fianco del conservatorio primeggia con 37,5% la formazione attraverso masterclass (grafico 1).
Uno degli obiettivi della ricerca è stato inquadrare la situazione attuale del direttore di coro. L’ambito lavorativo dei direttori di coro include spesso (80%) anche mansioni di carattere prettamente didattico a scuola o in associazioni. Il 50% dei direttori di cori di teatro esercita la propria attività musicale esclusivamente in questo campo, mentre la totalità di coloro che si occupano di voci bianche lavorano anche come insegnanti di musica, seguiti dai direttori di cori giovanili che ricoprono anche il ruolo di didatti all’80%. I risultati confermano che è proprio il contesto didattico a fare da contorno alla coralità infantile e giovanile. La figura del direttore di coro non ha ancora un profilo lavorativo autonomo: i risultati confermano che sono coloro i quali esercitano esclusivamente la professione di direttore di coro (grafico 2). 

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Uno degli aspetti più importanti per gli intervistati è sicuramente la vocalità: solo l’1% del campione dichiara che il coro deve essere già vocalmente preparato, mentre il 5% non si dedica alla vocalità in quanto il coro è composto da cantanti di professione. Chi ha quindi il compito di curare la tecnica vocale? Il direttore o un collaboratore esperto esterno? Prendendo come riferimento gli ensemble polifonici, i risultati della ricerca mostrano che la maggior parte dei direttori (71%) cura personalmente la preparazione vocale del coro. Una parte degli intervistati (20%) affida invece il coro a un professionista di vocalità (grafico 3).
Il 93% dei maestri si dedica sempre al riscaldamento prima di concerti e prove. Secondo le risposte fornite, tra gli esercizi di warm-up più importanti sono quelli per il rilassamento e la respirazione, seguiti dal riscaldamento e lo sviluppo delle capacità di ascolto e di concentrazione. La consapevolezza corporea, la postura e la ricerca timbrica hanno per i direttori un’importanza minore, mentre nessuno cura le capacità improvvisative (grafico 4).

Il lavoro del direttore in prova è incentrato sulla concertazione. Agli intervistati è stato chiesto quanto tempo investono nei diversi aspetti della concertazione.
Prenderemo come modello rappresentativo i cori polifonici. L’elemento al quale i direttori si dedicano di più (36%) è l’intonazione. Questo aspetto ha il maggior rilievo anche negli altri tipi di coro (coro popolare, coro di teatro, coro liturgico, voci bianche e coro giovanile). Seguono nella scala di priorità il fraseggio e l’equilibrio, rappresentati al 20% e 17% e la cura del rapporto tra testo e musica al 14%. Tra le ultime il timbro, la dinamica e, con una percentuale molto bassa, la pronuncia. Dai risultati emerge anche che alcuni aspetti non vengono assolutamente trattati in alcune tipologie di coro: la dinamica non viene molto curata nei cori di voci bianche e giovanili e nemmeno nei cori di teatro. Sembrerebbe che la pronuncia sia un aspetto trascurato dai direttori di cori liturgici e di cori giovanili (grafico 5).
Oltre alla concertazione è importante che i direttori riescano a realizzare al meglio il momento della performance col coro. Abbiamo quindi chiesto ai direttori di mettere in ordine i fattori che secondo loro contribuiscono al successo di un concerto. L’aspetto più importante è risultata essere la preparazione del coro (44%), legata anche a una buona scelta del repertorio (25%). La direzione con i suoi aspetti tecnici passa in secondo piano nella fase di esecuzione (17%), mentre l’acustica della sala da concerto o della chiesa (7%) e l’organizzazione (5%) hanno un effetto marginale. Per quanto riguarda i direttori dei cori giovanili sono interessanti i risultati che mettono la preparazione del coro ancor più in evidenza (50%) con una scarsa considerazione dell’effetto della direzione durante l’esecuzione (3%) (grafico 6).

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Oltre a una buona preparazione del coro, un aspetto molto importante è quindi anche la scelta del repertorio. In questo ambito abbiamo chiesto agli intervistati, quanto spazio lasciassero alle opere di compositori viventi. La maggior parte dei direttori dei cori polifonici ha risposto che la percentuale con cui include composizioni di autori viventi è il 25-50%, mentre la musica di autori contemporanei primeggia nei programmi di cori di voci bianche e i cori popolari. I cori liturgici hanno la più bassa percentuale di repertorio contemporaneo (grafico 7).
Abbiamo chiesto anche quali fossero gli elementi compositivi che portano a eseguire un brano contemporaneo. Ancora una volta citiamo come risposte rappresentative i dati dei direttori di cori polifonici. L’elemento reputato come più importante è l’eseguibilità del brano (38%), seguito dall’originalità (21%). In questa speciale graduatoria troviamo anche organico (11%) e timbro (10%) e successivamente l’efficacia del pezzo, la presa che ha sul pubblico (9%). Tra gli aspetti meno interessanti si è manifestato il testo della composizione scelta (grafico 8).

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La ricerca ha dato spazio anche alle esperienze formative degli intervistati: abbiamo chiesto ai direttori di quantificare l’influenza nella loro preparazione dei diversi percorsi formativi che hanno affrontato negli anni (molto, poco e niente). Oltre ai percorsi accademici come il conservatorio, istituzioni private e masterclass, abbiamo preso in considerazione anche l’apprendimento non istituzionalizzato come osservare il lavoro di altri, l’imparare cantando in coro ed esperienze autodidattiche. I risultati della ricerca hanno dimostrato che su molti aspetti sono proprio gli itinera alternativi a primeggiare come esperienze formative di successo. Questo vale soprattutto per l’aspetto della concertazione: osservare il lavoro di altri e il cantare in coro restano per i direttori le attività più efficaci per imparare (grafico 9).
Per quanto riguarda la preparazione compositiva e analitica i direttori hanno una valutazione molto alta della preparazione che il conservatorio ha dato loro, per contro, per quanto riguarda le materie di concertazione, vocalità e gestualità lo studio testimonia che la preparazione ricevuta in conservatorio si rivela poco efficace
(grafico 10). 

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Conclusioni

Il 19 maggio 2017 si è così concluso un evento di valenza culturale e artistica su scala nazionale ed europea, che ha portato nella sede accademica trentina alcune tra le personalità di spicco del panorama musicologico come, per citarne alcuni, il prof. Francesco Luisi dell’Università di Parma o il prof. Marco Di Lenola del pims; per non parlare del perfezionamento scolastico, nel cui ambito sono intervenuti il prof. Lorenzo Donati del Conservatorio di Trento, il prof. Marko Vatovec dell’Università di Lubiana e la prof.ssa Rahela Durič dell’Università di Graz; per quanto concerne la situazione corale professionale all’estero e le innovazioni tecnologiche applicate allo studio della gestualità del direttore di coro sono intervenuti il prof. Ragnar Rasmussen dell’Università di Tromsø e la prof.ssa Urša Lah, direttore di svariati cori professionali tra Slovenia e Norvegia; in tema di composizione corale è stato dato spazio ad almeno quattordici relatori italiani e stranieri che si sono succeduti al microfono dell’aula Magna del Conservatorio Bonporti per condividere la loro esperienza e rispondere alle domande di convegnisti e ascoltatori.
Infine, ma non per importanza, vanno ricordati gli eventi concertistici, che hanno costellato l’intero convegno, unendo così la musica alla viva discussione, dando spazio ad alcune prime esecuzioni realizzate dagli allievi del corso di composizione corale, a concerti diretti dagli studenti della classe di direzione e all’esibizione di alcuni gruppi ospiti appositamente invitati.
Inserire i nostri interventi di presentazione dei dati raccolti nel nutrito programma del convegno e assistere alle relazioni di direttori e compositori affermati e illustri sono state per noi un’occasione forse irripetibile e sicuramente preziosa, che ha contribuito notevolmente alla nostra crescita artistica, musicale e personale.
Si è conclusa così una fase importante di questo progetto, nella speranza che nuove iniziative, di sapore ancora più internazionale si possano dischiudere a una ricerca più ampia, ma rappresentativa di un mondo corale e professionale musicale in continuo divenire, che porta piano piano dal primicerius al… virtual conductor.

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