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Dalla scienza al canto
Intervista al dottor Franco Fussi

di Walter Marzilli
dossier "La voce del cantore", Choraliter 53, settembre 2017


Dottor Fussi, innanzitutto la ringrazio di cuore per aver accettato di dare il suo prezioso contributo alla nostra rivista. Non è possibile, secondo me, parlare di vocalità e di canto senza avere la sua presenza in questo dossier. Specialista in Foniatria, Otorinolaringoiatria e Chirurgia cervico facciale, socio fondatore del GIFT (Gruppo Italiano Foniatri Teatro) e membro del comitato scientifico per l’Italia della rivista Medicina Moderna Oggi, consulente foniatra di numerosi enti lirici e teatrali e autore di innumerevoli pubblicazioni e libri sulla foniatria applicata al canto, è uno dei più accreditati esperti del settore. Con lei ci vogliamo occupare della conservazione e della buona funzionalità dell’organo vocale di un cantore di coro. La prima domanda che le faccio è questa: vorrebbe spiegare ai nostri lettori quale è la differenza tra l’estensione e la tessitura di un cantante? Inoltre potrebbe illustrarci quali sono secondo lei i limiti da non superare per un cantore di coro, in vista del tema che trattiamo, cioè la conservazione dell’efficienza dell’organo vocale?

L’estensione fisiologica consiste nel range vocale che una qualsiasi voce è in grado di raggiungere, dalla nota più grave a quella più acuta, indipendentemente da fattori di qualità di emissione e di intensità. Questo in relazione semplicemente alle capacità elastiche e di tensionabilità longitudinale delle corde vocali. La tessitura canora invece copre un ambito più ristretto all’interno di questo range, ed è l’ambito tonale che può essere raggiunto ed esercitato senza sforzo, con qualità esteticamente appropriata e, soprattutto, con capacità di esprimere una sufficiente dinamica di intensità per ogni nota. Esiste un esame strumentale che ci aiuta in foniatria a descrivere il campo vocale dinamico di una estensione, il cosiddetto fonetogramma, dove vengono testate tutte le note dell’estensione nei loro minimi e massimi gradi di intensità di emissione possibili al soggetto esaminato. Si descrive così un’area, detta campo vocale o vocal range profile, che permette di identificare l’estensione del soggetto e le eventuali aree di restrizione dinamica legate, ad esempio, a carenze tecniche del momento o i passaggi di registro. Nell’ambito della tessitura canora, che è mediamente stimata dalla tradizione nelle classiche due ottave e che non tiene conto della possibilità del settore sovracuto per le voci più leggere (ad es. do3-do5 per i soprani, la2-la4 per i mezzosoprani e fa2-fa4 per i contralti), si colloca quella che viene definita tessitura, cioè quell’ambito di estensione, normalmente un’ottava, dove la voce si esprime al meglio, che non necessariamente sempre coincide con la tessitura musicale (l’ambito di ottava in cui nella parte da cantare si collocano la maggior parte delle note da eseguire). Si tratta dell’abito tonale in cui la voce ha il massimo differenziale in decibel tra i pianissimi e i fortissimi, segno di comodità e facile agibilità. La tessitura di un soprano ad esempio potrebbe essere sol3-sol4

Non si canta bene se non si respira bene. Peccato che ci siano molte teorie, alcune anche piuttosto fantasiose, su quale sia il modo più corretto di respirare per cantare. In alcuni casi vengono chiamate in azione anche le due costole fluttuanti che stanno sul retro della gabbia toracica, la cui dilatazione comporta uno sforzo muscolare che è in netto contrasto con la necessità della libertà dalle tensioni muscolari durante il canto. Lei cosa si sente di consigliare ai nostri cantori del coro in materia di respirazione? Conosco la risposta, ma potrebbe anche dirci se c’è una differenza nella respirazione tra canto solistico-lirico e quello corale?

Nella sua Guida teorico-pratica elementare per lo studio del canto il Lamperti riferiva: «Il celebre cantante Pacchiarotti scriveva nelle sue memorie che chi sa ben respirare e sillabare, saprà ben cantare e fu quella una delle più grandi verità che lo studio e l’esperienza dell’arte abbiano suggerito ai provetti cultori del canto». E il medico sir Morell Mackenzie, nel suo Hygiene of the vocal folds datato 1887: «Un perfetto governo della respirazione è condizione fondamentale del bel canto; dacché, per quanto la voce possa essere bella in se stessa, non potrà mai essere adoperata artisticamente, se il metodo della respirazione è scorretto». A volte giungono in ambulatorio giovani allievi di canto che mi chiedono: «Ho avuto due maestri di canto e per quanto riguarda la respirazione sono alquanto in imbarazzo perché il primo mi dice che quando canto devo spingere la pancia in basso e in fuori e il secondo in dentro e in alto. Cosa devo fare?». In teatro, se osserviamo respirare i cantanti, possiamo effettivamente riscontrare alcune visibili differenze: qualcuno alza purtroppo la parte alta del torace e le spalle, altri dilatano molto le costole lateralmente, in altri si nota un avanzamento della parete addominale seguita da un rapido lieve rientro prima dell’attacco del suono, in altri ancora la respirazione sembra inesistente. Come tutto l’equilibrio in natura è il gioco degli opposti, anche la gestione della respirazione nel canto si basa sul rapporto tra le esigenze di controllo della pressione dell’aria che attraversa (e mette in vibrazione) le corde vocali, che va calibrata in modo da “economizzare” il fiato in base alle necessità della frase musicale, e le esigenze del mantenimento della colonna d’aria sufficiente a tali necessità. In altre parole è il rapporto tra quelle che nella didattica si definirebbero le componenti di “appoggio” del fiato e quelle di “sostegno”. L’appoggio è quella condizione che permette il controllo del diaframma nel suo mantenimento verso il basso e nel suo “allargamento” tramite l’azione di muscoli intercostali esterni che mantengono ampio il suo perimetro (come la pelle di un tamburo ben tirata), quindi ne controllano la spontanea tendenza a risalire, facendo sì che non sia intempestiva ma legata alle esigenze dinamiche dell’emissione (piani, forti, acuti, gravi, ecc.); è la componente esaltata nei dettami dello “spingi in basso e in fuori” o del “sedersi sul fiato”. Ma come per definizione se io mi appoggio su qualcosa vuol dire che c’è qualcosa che mi sostiene, e più io mi rendo conto di essere sostenuto più sono comodo nello stare appoggiato.

Già dall’inizio del canto, oltre alle prevalenti componenti di appoggio, dovrà essere presente – fin dall’attacco del suono – un grado minimo di sostegno, che permetta, per così dire, di potenziare le sensazioni di comodità dell’appoggio stesso. Se però l’equilibrio tra i due fattori viene sbilanciato da un eccessivo e costante appoggio durante tutta la frase musicale, e la respirazione è focalizzata unicamente nel dettame “in basso e in fuori”, ci ritroviamo allievi che dopo un po’ che cantano accusano una sorta d’oppressione al torace, come se venisse loro un infarto, come loro stessi a volte riferiscono. Tale sensazione è legata al fatto che, durante il corso dell’emissione di una frase musicale, il consumo di aria indurrebbe gradualmente, via via che l’emissione procede, un’azione controllata di risalita del diaframma per garantire una pressione sotto le corde vocali adeguata all’intensità del suono desiderata. Assumendo invece solo la tecnica di appoggio essi costringono il diaframma a stare basso e non seguire il fiato nella sua fuoriuscita, finendo con il mobilizzare e collassare sterno e torace e ruotare le spalle in avanti (viene da alcuni definita “postura del gorilla”). Le più comuni conseguenze sull’emissione sono riscontrabili in quelle vocalità che definiamo pesanti, e sono infatti più spesso di categoria lirico-spinta o drammatica, che finiscono con l’affondare insieme al diaframma anche il laringe (qualcuno le chiama appunto tecniche di affondo, in senso negativo), dando alla voce un carattere tonitruante, una intonazione spesso calante, gli attacchi spesso una terza sotto o con portamento e, soprattutto, un vibrato ampio che sfiora il “ballamento” di voce. Al contrario chi esagera il sostegno e spinge solo dentro e in alto fa risalire subito il diaframma, e per ottenere la pressione sufficiente è poi costretto a impegnare la muscolatura laringea estrinseca cioè “stringe di gola” (e la laringe si alza): questi allievi riferiscono di aver l’impressione di “impiccarsi con la gola”, di sentirsi stretti e ingolfati, il vibrato è a volte stretto e caprino, l’intonazione crescente. Cantar “sul” fiato non vuol dire altro che cercare l’equilibrio delle due componenti ed evitare gli sbilanciamenti descritti. 

Ci ritorna così in mente il vecchio aforisma: soltanto sa cantare chi ben respira. Per giungere al descritto equilibrio le sensazioni interne che il cantante riceve possono essere diverse. Alcuni hanno maggiormente la sensazione della componente d’appoggio, altri quella del sostegno (e a volte alcune differenze di percezione possono essere legate al tipo di categoria vocale e al repertorio); il fatto è che spesso finisce per essere spiegata (e creduta presente) dal maestro solo quella “prevalente” e ingenerato l’errore di un modello unidirezionale. Così il povero allievo si ritrova davanti a una miriade di indicazioni di “ginnastica” respiratoria spesso fantasiose e tra loro contraddittorie. A seconda delle necessità di esecuzione di toni di bassa o alta intensità, acuti o gravi, oppure filati, il comportamento dei muscoli respiratori farà variare la dinamica respiratoria. A pieno volume polmonare le forze di retrazione elastica di cui è dotato il polmone tenderebbero spontaneamente a farlo svuotare (come accade nel respiro tranquillo a riposo). Per la maggior parte delle necessità canore, tali forze di retrazione provocano una pressione aerea sotto le corde che eccede ampiamente quella desiderabile per l’intensità del suono da emettere. È allora richiesta una forza che contrasti le forze elastiche e riduca in tal modo la pressione sottocordale al momento dell’attacco del suono, che altrimenti sarebbe brusco. È quello che il cantante riconosce come necessità di tenuta, di allargamento costale, di “appoggio” appunto del diaframma, affinché esso non risalga subito alla sua posizione di partenza. Il torace viene allora mantenuto in posizione dall’azione degli intercostali esterni, mentre la parete addominale supporta con un piccolo tono interno questo appoggio. Nel corso della frase musicale la pressione aerea diminuisce a causa del consumo durante il canto. Ecco allora che, per mantenere la pressione aerea voluta, il diaframma inizia a risalire accompagnato dall’azione degli addominali; essi intensificano il loro ruolo di sostegno sempre più verso la fine della frase musicale, in quanto si riduce via via sempre più il volume polmonare. Alle sensazioni prevalenti di appoggio dell’inizio si sostituiscono gradatamente quelle di un maggior sostegno.

Frequentemente i cantanti domandano se un allenamento di ginnastica respiratoria possa favorire una maggiore capacità vitale polmonare, come se il problema fosse quello di avere tanta aria da consumare. Certamente l’attività fisica mantiene un buon tono anche della muscolatura respiratoria favorendo le dinamiche del suo utilizzo, e non tanto perché sia necessario ampliare un volume polmonare normale. La quantità d’aria inspirata è molto meno importante della sua espirazione regolare, del suo dosaggio, e del saperla gestire senza commettere l’errore opposto di trattenere il fiato per non sprecarlo. Scriveva il dottor Joal nell’ottocentesco De la respiration dans le chant: «Non basta d’immagazzinare una grande quantità d’aria; ma è ugualmente indispensabile per il cantante di saper bene economizzare il fiato e di non adoperarne che quel tanto necessario per l’emissione della voce. L’artista deve cercare di rendersi interamente padrone del suo respiro e deve cercare di ritenerlo nel limite del possibile, ritardando per quanto può il contrarsi e l’abbassarsi del petto». E nel 1881, Lemaire e Lavoix, in Le chant. Ses principes et son histoire, a proposito della vocalità e del “fiato” del cantore evirato, notavano: «Nei secoli XVI e XVII cercava specialmente i suoi effetti nell’estensione e nella flessibilità della voce, sicuro di eccitare l’entusiasmo del pubblico più con una bella messa di voce, con dei trilli e con tutti gli sfolgoranti abbellimenti di cui ingioiellava il suo canto, che coi violenti accessi di passione. Ma egli doveva appunto in gran parte all’abilità nel respirare, la dolcezza, la purezza e la durata del suono; e perciò egli imparava con la cura più minuziosa a misurare con parsimonia il respiro tanto da poter eseguire dei passi che andavano al di là dei venti o venticinque secondi». Altro luogo comune da sfatare è che nel canto l’aria debba essere sempre presa dal naso e non dalla bocca: dato che la quantità d’aria inspirabile per via nasale è nell’unità di tempo circa un terzo rispetto a quella per via orale, la respirazione nasale costringerebbe il cantante a una pausa respiratoria più lunga, smorfie d’accompagnamento per accelerare il transito, e impossibilità al pieno rifornimento aereo nei fiati rubati.

È vero che il naso serve a far giungere alla laringe e ai polmoni aria filtrata, umidificata e riscaldata, e impedire l’essiccamento delle mucose interne, ma questo sarà veramente importante se la persona respira a bocca aperta tutta la giornata, non se durante il canto o l’eloquio si rifornisce d’aria dalla bocca. Certo potrà essere preferibile all’attacco di una frase, ma non necessariamente a ogni rifornimento aereo. Avete mai notato qualcuno che mentre vi parla, tra una frase e l’altra, chiuda sempre la bocca per rifornirsi dal naso? Tra l’altro una rapida e profonda inspirazione attraverso la via orofaringea, abbassando la base linguale, favorisce anche la risonanza, la ricerca della posizione di “cavità”. Benché le competenze respiratorie siano le stesse e della stessa importanza in tutti i generi e per tutte le categorie vocali, è sicuramente il cantante o l’allievo di canto lirico che in maggior misura dedicano parte del loro lavoro tecnico all’approfondimento di una corretta dinamica respiratoria, per favorire un giusto accordo pneumofonico. Mentre nel cantante classico in carriera è quasi impossibile esistano difetti nelle dinamiche respiratorie tali da richiedere una revisione e un cambiamento a opera del logopedista, una scarsa consapevolezza e pratica respiratoria sono più frequentemente riscontrabili nell’allievo di canto lirico e nel cantante di musica moderna, nonostante il primo abbia avuto un’accurata considerazione e cura in ambito didattico della “buona” respirazione, come base necessaria a una costruzione eufonica della tecnica di canto. Nel cantante lirico affermato, infatti, la dinamica respiratoria dopo anni di carriera può essere ritenuta corretta, anche se ha prevalenze d’uso (ad esempio più anteriore, più laterale, più posteriore nella fascia costale inferiore-epigastrica). Essa non deve essere messa in discussione, pena la messa in crisi di tutto il rimanente impianto vocale. 

Nel mio articolo introduttivo ho parlato della necessità del riscaldamento dell’organo vocale prima di una esecuzione vocale. Può aggiungere qualcosa che lei ritiene che sia necessario che i cori e i direttori sappiano a questo proposito?

Il riscaldamento vocale produce gli stessi effetti delle pratiche di riscaldamento di altre muscolature in altre parti del corpo, cioè l’aumento della vascolarizzazione muscolare con decremento della rigidità e miglioramento della loro flessibilità. Esiste una enorme differenza se andiamo a portare gradatamente il nostro corpo al livello di performance, poiché gli aumenti di attività di ogni muscolo causano un innalzamento della temperatura corporea mentre entrare “in azione” di colpo da uno stato di “freddo” scatena una reazione protettiva dei muscoli della gola, reazione che serve a fronteggiare una possibile prospettiva di lesione. Il collo, la mandibola e i muscoli della lingua si irrigidiscono e questa situazione richiederà al cantante una pressione d’aria maggiore e un atteggiamento laringeo ipercinetico per ottenere la resa vocale abituale. Ne conseguiranno un precoce affaticamento con diminuzione del tempo di performance adeguata e un successivo stato fonastenico con aumento dei tempi di recupero. Il riscaldamento in senso stretto non deve però essere confuso con la sola pratica dei vocalizzi e ha lo scopo di creare allungamento e stretching di tutti i muscoli del corpo per prepararli a un lavoro atraumatico, mentre i vocalizzi hanno lo scopo di verificare prima della performance particolari capacità canto-relate e sono il bagaglio dei vari stili di canto. Così alcune scuole di pensiero nella didattica suggeriscono come riscaldamento lenti glissati su tutto il range vocale, altre usano i trilli labiali e linguali, altri gli staccato su arpeggio con intervalli di terza per favorire l’attacco e la flessibilità della laringe, molti cantanti usano varie vocali e consonanti per scaldare la voce che possano di fatto favorire la precisione articolatoria o il bilanciamento dell’emissione e dei registri. Dunque i vocalizzi rappresentano un processo di verifica di specifiche capacità di precisione articolatoria, morbidezza e uniformità nella transizione tra i registri, bilanciamento della qualità delle vocali, abilità di intonare ampi intervalli mantenendo la qualità ed evitare errori tecnici, ma dovrebbero essere considerate pratiche che seguono al riscaldamento vero e proprio. La lunghezza del riscaldamento, anche se può sembrare strano, dovrebbe essere inversamente proporzionale alla durata della performance che lo seguirà: per lunghe sessioni un breve riscaldamento, mentre per brevi sessioni, ad esempio un solo brano, si può fare un riscaldamento più prolungato. Inoltre è importante capire perché a volte si sente la necessità di un riscaldamento più prolungato del solito poiché, se non è correlabile con alterazioni flogistiche occasionali delle vie aeree, può esistere un soggiacente problema vocale su cui è opportuno indagare.

Alcuni artisti trovano utili eseguire un blando riscaldamento vocale ogni mattina, oltre a riscaldamento completo prima di una lezione o di una performance. Questo può essere utile se il soggetto ha qualche difficoltà vocale relativa a reflusso faringolaringeo o a periodi di affaticamento (fonastenia). L’uso di intensità vocali elevate, la scarsa umidità dell’aria e l’esecuzione da seduti sembrano essere fattori non favorenti un corretto riscaldamento vocale. L’idratazione è fondamentale ma è inutile bere troppa acqua prima di una performance, favorisce solo il reflusso. È inoltre importante evitare pastiglie balsamiche specie se a base di mentolo, mentre l’erisimo che, se risulta utile in stati flogistici delle mucose, in stati di normalità può creare disidratazione con indurimento della voce. Da evitare anche l’abuso di antidolorifici che potrebbero mascherare i primi segnali di sforzo vocale. Il concetto di riscaldamento non è limitabile alla sola pratica di emissione di vocalizzi ma riguarda la preparazione “atletica” di tutto il corpo, attraverso le seguenti tappe, che necessitano in totale un tempo medio di 15 minuti: tecniche di concentrazione, detensione e tonicità muscolare del corpo, allineamento posturale, allungamento e stretching della muscolatura del collo. Gli esercizi vocali dovrebbero essere iniziati a intensità moderata nell’ottava centrale di comodità con attacco vocale libero da tensioni e concentrazione sulla propriocezione del suono nelle cavità di risonanza. L’esercizio del vocal fry è suggerito come manovra per “pulire” le corde vocali da depositi di muco e per verificare la libertà e l’ampiezza dell’onda vibrante. 

Tuttavia è nostra esperienza assistere a esecuzioni incorrette di tale registro con frequenti gradi di ipertono delle false corde e quoziente di chiusura aumentato. Citiamo anche il riscaldamento effettuato con il trillo linguale o labiale, i “muti” (vocalizzi a labbra chiuse), l’utilizzo di emissioni nasalizzate, i vocalizzi con arrotondamento e protrusione moderata delle labbra, condotti su glissati, scale o arpeggi, e su tutta l’estensione vocale, che inducono un adeguamento della funzione respiratoria in termini di rapidità di sostegno respiratorio, riducono le forze esercitate direttamente e medialmente sulle corde vocali, portano le corde a vibrare solo sul loro bordo libero in una sorta di registro medio che permette di verificare le “posizioni” senza “stringere la gola” e senza dar subito “volume” in registro pieno, tonificando in lunghezza le corde stesse. Cito anche un esercizio per il riscaldamento della voce parlata, utile prima di utilizzarla a lungo: contare da 1 a 100 mantenendo le labbra chiuse, senza serrarle eccessivamente, e muovendo bene la lingua nel pronunciare la sequenza numerica. Per verificare la maggior risonanza ottenuta dopo l’esercizio si provi a contare normalmente da 1 a 10 prima dell’esercizio e poi nuovamente dopo averlo effettuato. Infine, gli esercizi a vocal tract semi-ostruito o sovte (Semi Occluded Vocal Tract Exercises), noti anche come Lax-Vox, con l’uso di una cannuccia immersa in mezza bottiglietta d’acqua da mezzo litro e l’esercizio con la mascherina da ventilazione, sono esercizi di riscaldamento vocale che si basano sulla parziale occlusione del vocal tract durante la fonazione. Sono impiegati da molto tempo in tutto il mondo come approcci volti a ridurre la tensione eccessiva del tratto vocale e a migliorare la qualità risonanziale della voce e sono sfruttati da cantanti e professionisti della voce come esercizi di riscaldamento.

L’assetto posturale di uno sportivo è estremamente importante per la riuscita della sua azione agonistica. C’è una postura particolare che il cantore di coro dovrebbe assumere per svolgere bene la sua azione canora?

Per chiarire le relazioni esistenti tra arte vocale e atteggiamento posturale è utile focalizzare l’attenzione su considerazioni di estrema rilevanza.

  1. Una corretta postura è fondamento di quell’eutonia che va a garantire una prudente e oculata gestione della funzione fonatoria.
  2. Una adeguata interpretazione stilistica va a contraddire in non poche occasioni una oculata gestione degli equilibri posturali, ponendosi come criticità nel mantenimento della eutonia.
  3. Alterazioni posturali possono vanificare la resa della voce artistica

Se in relazione al primo punto non è difficile intuire come respirazione, controllo dell’assetto glottico, gestione del sostegno siano facilitati da atteggiamenti posturali corretti, la riflessione sul secondo punto apre il dibattito su cosa sia auspicabile per il professionista vocale nell’ottica del mantenimento della salute fisica e nel contenimento del costo della parte. Il terzo punto rende necessaria una revisione nosologica della disodia per l’individuazione di quei quadri patologici che trovano solo nel disequilibrio posturale la propria patogenesi. Indipendentemente dallo stile praticato (e perfino dall’uso della voce artistica parlata o cantata), alcuni obiettivi minimi nel controllo posturale devono essere raggiunti al fine di garantire: una presa aerea profonda ma rapida, una buona mobilità della laringe nel collo, un adeguato controllo dello stato di contrazione della muscolatura addominale, una gestione oculata dell’atteggiamento del vocal tract. Questi obiettivi minimi sono perseguiti da tutti i metodi di insegnamento e sono il fondamento comune dei percorsi logopedici. Una presa inspiratoria a input diaframmatico bene espresso è resa possibile dalla possibilità di dislocamento verso l’avanti dei visceri addominali. Atteggiamenti posturali impedenti tale evenienza, come ipertoni della muscolatura retta e contenitiva addominale, alterazioni della verticalità in anteroversione del bacino, abiti posturali caratterizzati da protrusione del torace in senso sagittale, scarico del peso corporeo sull’avampiede possono vanificare il raggiungimento di un rifornimento ottimale.

La mobilità laringea nel collo è garantita dalla eutonia del sistema posturale stabilizzatore dell’organo, rappresentato dalla muscolatura sovra e sottoioidea, resa a sua volta possibile da un ottimale rapporto tra cranio e cingolo scapolo-omerale e da una corretta stabilizzazione mandibolare, operata dal sistema muscolare masticatore innervato dal quinto paio di nervi cranici. Il controllo dello stato di tensione e successivamente la messa in atto della contrattura attiva della muscolatura di parete addominale, sulle quali si fonda l’atletismo del sostegno respiratorio, sono possibili solo in situazioni di corretto allineamento (possono venire vanificati da atteggiamenti in antiversione del bacino) e di stabilizzazione ottimale della mandibola alla base cranica, oltreché dall’abitudine alla postura alta linguale. La calibrazione delle cavità di risonanza e la modificazione volontaria del loro assetto è facilitato da un allineamento corretto (il solo che permette la completa gestione dei diametri retrorali) e da eutonia della muscolatura masticatoria stabilizzatrice mandibolare. Le relazioni posturali hanno strette correlazioni con il controllo delle dinamiche respiratorie, in relazione alla direzione prevalente di esercizio che può essere, a seconda delle indicazioni pedagogiche, maggiormente sagittale (antero-posteriore, quindi addominale) o trasversa (laterale, quindi costale) e necessita di un lavoro tecnico sulle componenti muscolarmente più deficitarie per ottenere un bilanciato equilibrio di espansione. Sbilanciamenti tecnici verso dinamiche respiratorie troppo concentrate sulle sole dinamiche di appoggio si fanno infatti notare con intrarotazione delle spalle, movimenti di estroflessione dell’addome paradossi ed eccessivi, costanti e accentuati anche durante l’emissione vocale, infossamento sternale (eccesso di appoggio). Al contrario, la presenza di contratture esagerate posturali, oppure volontarie, della parete addominale configurano uno sbilanciamento a favore di dinamiche di sostegno con innalzamento del diaframma prima dell’inizio dell’atto vocale, tensione al collo e rigidità laringea durante la gestione dell’eloquio (eccesso di sostegno). Non infrequenti sono anche le inversioni della dinamica respiratoria durante rifornimenti d’aria veloci (specie in soggetti tachilalici o con durata fonatoria forzatamente prolungata), cosa che può avvenire anche, per incompetenza gestionale, nei necessari momenti di fiato rubato durante le performance. Ricordiamo che la componente di appoggio è quella condizione che, a fine inspirazione, permette il controllo del diaframma nel suo mantenimento verso il basso e nel suo allargamento, tramite l’azione di muscoli intercostali esterni che mantengono ampio il suo perimetro.

Essi ne controllano la spontanea tendenza a risalire controllandolo in rapporto alle esigenze dinamiche dell’emissione (piani, forti, acuti, gravi, ecc.). Fin dall’attacco del suono, a potenziare l’efficacia della componente di appoggio, è presente un grado minimo di sostegno attuato dalla parete addominale. Se l’equilibrio tra i due fattori viene sbilanciato da un eccessivo e costante appoggio durante tutta la frase musicale viene lamentata dopo un certo tempo di fonazione una sorta d’oppressione al torace correlata al mantenimento del diaframma in abbassamento con collassamento dello sterno e del torace a gestire la pressione sottoglottica e il flusso aereo a fine frase, e finendo con l’affondare, insieme al diaframma, anche la laringe, con eccessi di consonanza di petto, intonazione spesso calante, vibrato ampio. Al contrario, chi eccede nelle dinamiche di sostegno con ipertono addominale controlla le pressioni sottoglottiche con maggior impegno della muscolatura laringea estrinseca, con vibrato stretto e intonazione spesso crescente. Le didattiche respiratorie nel canto incidono pertanto sul controllo posturale allo scopo di controllare le dinamiche gestionali del diaframma. In alcuni casi si parla anche a scopo didattico del secondo diaframma, riferendosi al controllo del diaframma pelvico. Anche in questo esistono relazioni posturali dirette e la sequenza di contrazione dei muscoli del pavimento pelvico dipende dall’allineamento posturale. I soggetti con un normale allineamento posturale contraggono prima i loro muscoli pelvici superficiali poi quelli più profondi. Vi è inoltre una netta relazione tra i muscoli pelvici e quelli espiratori: è necessaria una buona attività dei muscoli pelvici per una normale funzione degli addominali profondi, come il traverso dell’addome che garantisce una buona stabilità lombo-pelvica necessaria al sostegno durante il canto. Inoltre, un ottimale allineamento toracico e cervicale riduce l’attività di scaleni e sternocleidomastoidei e accresce l’attività del muscolo longus colli che provvede alla stabilità cervicale, base necessaria per la mobilità cervicale e laringea. Le alterazioni nell’allineamento producono disturbi nella coordinazione dei muscoli del pavimento pelvico.

Una frequente alterazione posturale nel soggetto ipotonico, con retroversione del bacino ed estensione del capo, si basa su strutture lombopelviche passive con riduzione della funzione stabilizzante della muscolatura lombopelvica e accresciuta conseguente attività del retto dell’addome e degli obliqui esterni e riduzione di quella degli obliqui interni. Un aumento di attività del retto porta a riduzione del diametro toracico, da evitare nel canto, e contribuisce all’elevazione toracica superiore durante l’inspirazione poiché l’attività del trapezio e degli sternocleidomastoidei aumenta. La porzione inferiore e media del muscolo traverso dell’addome riveste un importante ruolo nel controllo posturale: i muscoli addominali superiori stabilizzano le coste inferiori e riducono il diametro del torace, perciò il paziente cantante va addestrato a contrarre la parte inferiore e media e a tener rilassati i muscoli superiori. I muscoli addominali che agiscono medialmente aiutano a ottenere una proiezione vocale migliore stimolando l’ampliamento delle dimensioni laterali del torace. Le modificazioni nella posizione lombare e la funzione muscolare addominale hanno una influenza sul modo respiratorio dei soggetti. Il diaframma pelvico ha una funzione respiratoria e posturale e coopera, insieme alla contrazione degli addominali profondi e dei muscoli del pavimento pelvico, alla stabilità meccanica della spina dorsale. Ciò permette inoltre un aumento delle dimensioni laterali della gabbia toracica che, insieme alla contrazione dei muscoli addominali e pelvici, contribuisce alla realizzazione di un sostegno respiratorio ottimale. Un modesto grado di retroversione del bacino è indicato nella emissione artistica per più di una ragione. Esso permette uno scarico del peso corporeo meglio distribuito su avampiede e retropiede, impedisce la stabilizzazione eccessiva del ginocchio, rende meno probabile l’estensione del capo. L’atteggiamento va però a gravare sulla muscolatura posturale posteriore, in particolare sul quadrato dei lombi e il sacrospinale che vengono stirati. Se si contraggono gli addominali e i glutei si ottiene un assetto stabile con il bacino in retroversione e la colonna lombare delordotizzata: il posizionamento in retroversione del bacino non deve interferire con la funzione respiratoria e va a favorire in essa il controllo di tenuta del diametro antero-posteriore del diaframma e il controllo sull’attività delle fibre diaframmatiche posteriori. Nella fase di apprendimento, per facilitare la rotazione indietro del bacino molti metodi inducono a flettere lievemente le anche e le ginocchia.

L’emissione senza sforzo è uno dei sogni che ogni direttore ha per i propri cantori, soprattutto nei dintorni e dopo il passaggio di registro. Quale consiglio vorrebbe dare ai nostri cantori a questo proposito? Ci sono degli atteggiamenti e delle situazioni che facilitano l’emissione libera dei suoni?

Sicuramente un buon riscaldamento vocale, non troppo prolungato, una buona idratazione giornaliera, evitare di cantare se non strettamente necessario in condizioni di flogosi delle mucose faringolaringotracheali, curare l’alimentazione, e studiare le tecniche di emissione a mezza voce. Alleggerire i suoni, mantenendo una buona posizione risonanziale, e giocare molto sulle dinamiche. Cantare forte è facile, mantenere le posizioni riducendo la pressione sottoglottica molto meno. In fondo esercitare il cosiddetto suono “misto” permette una maggior gamma di dinamiche tra piano e forte, permette di non “forare” in coro, risolve più facilmente la zona di passaggio, dona più libertà espressiva.

La necessità di variare il timbro e lo stile vocale nell’affrontare repertori molto diversi tra loro, come ad esempio il Rinascimento e il Romanticismo, prevedrebbe una notevole duttilità dell’organo vocale. Oltre a riservare l’utilizzo del passaggio di registro per il repertorio romantico e non per quello rinascimentale, in quale direzione si deve muovere il cantore per ottenere la necessaria duttilità timbrica per affrontare repertori così diversi?

Conoscere ed esercitare il proprio vocal tract, nella gamma dei colori che può esprimere, senza preconcetti o ricette precostituite, può essere una grande esperienza per il cantore, per trovare non solo i propri colori ma anche per scegliere quelli più giusti e consoni a un determinato repertorio. Anche l’interpretazione del solista si gioca molto su questo, le variazioni dell’intensità e del colore vocale su una nota sostenuta, ad esempio. Nel XVIII e XIX secolo il timbro aveva principalmente due compiti: da un lato serviva a far emergere e risaltare i contorni dei disegni delle varie voci e scandire la suddivisione formale, dall’altro era utilizzato come elemento fine a se stesso per connotare il colore individuale di una emissione (cioè secondo regole formantiche). È probabile che l’ipertrofia amplificatoria dell’intensità vocale, del volume, attraverso l’estremizzazione nell’utilizzo dell’apparato di risonanza, a partire dalla seconda metà dell’800, abbia avviato quella emancipazione del timbro che, in grado estremo, ha legittimato e accreditato l’emancipazione del rumore come sopraggiunta necessità espressiva, fino alla vocalità colta contemporanea e alle diverse possibilità offerte dall’elettronica di scomporre un suono. Secondo un processo che dall’amplificazione della terza formante con produzione della cosiddetta formante di canto, è evoluto con l’accentuarsi di tecniche di “affondo” (come le chiamano i maestri di canto lirico), l’accettazione espressiva di suoni sporchi (cioè di bande di rumore spettrale) a scopo drammatico, un più attento interesse per l’articolazione del fonema consonantico, cioè al segnale non periodico, e alle possibilità espressive del fonema amplificato, ai rumori extralaringei ed extra articolatori, egressivi e ingressivi, alla voce manipolata dall’elettronica.

I noduli sono sempre in agguato nell’emissione vocale non professionale. Si riconoscono dal sopraggiungere della velatura del suono, dal fatto che il cantore prende fiato più spesso del solito, e dalla tessitura media della voce che si può spezzare ecc. Ma quale è la causa principale e più comune dell’insorgere del nodulo, e come si può evitare il suo insorgere?

Le lesioni nodulari, per definizione sempre bilaterali, sono causate da un errato atteggiamento vibratorio cronico, quindi sono spesso segnale di malmenage tecnico e surmenage vocale abituale. Il traumatismo meccanico a cui le corde sono sottoposte si estrinseca inizialmente come edema bilaterale localizzato sul bordo libero che attribuisce alle lesioni, agli stadi iniziali di formazione, l’appellativo di noduli molli; essi infatti sono morbidi e flessibili, e possono essere iperemici e vascolarizzati in base allo stato flogistico che li accompagna. In questo stadio l’alterazione vocale è modesta, perlopiù caratterizzata da fuga d’aria udibile nella voce a bassa intensità, qualche difficoltà agli attacchi, break vocali nelle ampie variazioni prosodiche verso l’acuto. Con il protrarsi del traumatismo vocale lo strato superficiale della lamina propria va incontro a ialinizzazione e fibrosi e diviene più solido: i noduli conclamati sono solitamente più duri, bianchi, ispessiti e fibrotici. A questo stadio di cronicizzazione l’epitelio può mostrare ipertrofia, ispessimento e irregolarità di superficie. I noduli cronici sono solitamente bilaterali e non sempre necessariamente simmetrici, causano incompleta chiusura glottica, lieve incremento di massa e rigidità dello strato di copertura. La qualità vocale si altera più diffusamente su tutto il range vocale, il timbro si fa aspro e il segnale vocale perde periodicità. Quando appaiono come piccoli ispessimenti focali di entrambe le corde vocali assumono la tipica definizione di kissing nodules. Si riscontrano tipicamente sul bordo libero della corda vocale, nel punto di passaggio tra terzo medio e terzo anteriore. Non a caso questa zona è quella che viene esposta a maggior ampiezza e velocità di impatto durante la vibrazione cordale e si trova maggiormente a rischio di sollecitazioni in fonazione e in particolar modo nel maluso della voce. Le lesioni nodulari possono essere distinte in tre aspetti, diversi tra loro sia dal punto di vista macroscopico, microscopico e istopatologico: noduli propriamente detti, pseudocisti sierose, ispessimenti fusiformi della mucosa.

Secondo alcuni un fattore favorente la comparsa dei noduli sarebbe la presenza di un microdiaframma della commissura anteriore, riscontrabile nel 15% dei casi: si ipotizza infatti che esso impedirebbe il contatto tra i bordi liberi delle corde vocali nel loro terzo anteriore, durante la vibrazione fonatoria, favorendo quindi un precontatto tra il terzo anteriore e il terzo medio. A causa della protrusione dell’ispessimento sul bordo cordale, della riduzione della plasticità dell’epitelio e dell’ipotono adduttorio secondario si configura una incompleta chiusura della glottide membranosa a foggia di clessidra. Tale aspetto è correlabile alla consistenza dei noduli (da “molli” a “spinosi”) e da essa dipende il tipo di disfonia: inizialmente questa sarà disfunzionale ipercinetica, trasformandosi in ipocinetica (ipercinetica scompensata) fino a divenire decisamente organica e pertanto non più affrontabile con il solo trattamento logopedico. La stroboscopia ci permette di apprezzare le dimensioni dell’ispessimento nodulare, o il quadro più o meno marcato di incompleta chiusura glottica. Va osservato infine che i noduli più recenti sembrano “appiattirsi” durante l’apertura glottica, mentre i noduli inveterati non subiscono modificazione alcuna nel corso del ciclo vibratorio. Dal punto di vista sintomatologico ciò si traduce nella comparsa di voce generalmente rauca, soffiata e con precoce affaticabilità. La stroboscopia è essenziale per la diagnosi differenziale tra noduli cordali e altre lesioni nodulari causate da cisti intracordali congenite o acquisite. In quest’ultimo caso l’onda mucosa e la vibrazione cordale si riducono significativamente a livello della lesione, per la rigidità che si viene a creare nello strato superficiale della lamina propria. I noduli cordali, al contrario, sono lesioni esclusivamente epiteliali, senza interessamento della lamina propria, per cui la propagazione dell’onda mucosa non viene arrestata. In caso di affaticamento vocale ricorrente, quando la voce al termine di una esibizione o lezione, risulta detimbrata e velata, anche fosse per poche ore, dobbiamo ritenere che la prestazione non è stata compiuta con il massimo di economia di gestione e che probabilmente abbiamo un certo grado di carenza tecnica da identificare e su cui è opportuno mettere le mani. L’accontentarsi di una resa anche buona ma affaticante è porta d’ingresso per compensazioni ipercinetiche e assunzione di comportamenti cordali e respiratori poco economici e salutari, con conseguente incipienza di lesioni nodulari.

Sempre nel mio articolo introduttivo ho parlato dell’uso della mascherina facciale come un ottimo “trucco del mestiere” per ottenere tanti immediati benefici, tutti estremamente vantaggiosi. Primi fra tutti la maggior proiezione del suono e il risveglio delle risonanze alte. In realtà non si tratta di un “trucco”, ma di una reale situazione fisiologica. Ce ne vuole parlare, visto che si tratta di un espediente che proviene dai suoi studi in merito?

Come ricordavo nelle pratiche di riscaldamento esistono molte tipologie di esercizi con dispositivi che semi-occludono il vocal tract e che variano da esercizi che inseriscono un’alta resistenza al flusso d’aria nel vocal tract a quelli che comportano una bassa resistenza. È possibile ottenere un’alta resistenza allungando o restringendo il vocal tract, viceversa, aprendo o accorciandolo la resistenza viene abbassata. Alcuni sono considerati esercizi statici, cioè la pressione di ritorno sul piano glottico e nel vocal tract è costante, come negli esercizi dei “muti” (humming), i vocalizzi con la mano sulla bocca, i vocalizzi tenendo tra le labbra una normale cannuccia e l’esercizio della mascherina, che consiste nel porre sulla bocca una mascherina da ventilazione e tappare col palmo di una mano il foro centrale mentre vocalizziamo frasi di un’aria: questi esercizi sfruttano una singola sorgente vibratoria nel vocal tract (le corde vocali) e sono caratterizzati da un valore stabile di quoziente di chiusura glottica e della frequenza fondamentale. In questo gruppo di esercizi si determina un minore valore di distanza tra la prima formante e la frequenza fondamentale (F1-F0), quindi una maggiore impedenza, che si accompagna a una maggiore economia fonatoria per riduzione del differenziale pressorio tra sotto e sopra le corde. Quindi, percettivamente, maggiore penetranza di emissione e minor fatica fonatoria. Altri sono considerati esercizi fluttuanti: trilli labiali, trilli linguali e Lax-Vox, cioè il vocalizzo dentro una cannuccia di 10mm di diametro immersa in una bottiglietta d’acqua riempita a metà; tali esercizi usano una sorgente vibratoria secondaria nel vocal tract, con fluttuazioni pressorie. Questo garantisce una sorta di “effetto massaggio” sulle cavità del vocal tract, attraverso un feedback vibratorio positivo, migliorando il tono delle mucose e l’elevazione del valore delle formanti, ottenendo così una maggiore brillantezza di emissione. I vantaggi dei due tipi di dispositivi sono stati recentemente abbinati nella creazione della bubble-mask, una mascherina a cui è raccordato un tubo immerso in un recipiente contenente acqua che permette così di ottenere sia i vantaggi dell’esercizio statico che di quello fluttuante.  

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