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La fase 2 dei cori
A colloquio con il prof. Ferruccio Fazio

di Eleonora Briatore
Fuori dal coro, Choraliter 61, maggio 2020

Ci piacerebbe tornare alla nostra normalità corale, aspettare le sere delle prove, arrivare in sede per preparare un nuovo pezzo, pianificare un concerto o una trasferta, cantare sgomitando un po’ perchè la vicinanza è un fattore determinante per la sintonizzazione reciproca delle voci. Ma la Fase 2 per le nostre realtà quando e come ci sarà

Con l’intervista al Prof. Ferruccio Fazio (medico e docente universitario, è stato Ministro della salute dal 2009 al 2011, inoltre responsabile della task force impegnata a ridisegnare la sanità territoriale nell’ambito del servizio sanitario regionale del Piemonte). abbiamo provato a fare chiarezza sull’attuale situazione della pandemia in relazione all’attività corale. Con il parere di un professionista competente, speriamo di fornire qualche informazione utile prima di tutto per mettere in sicurezza la salute di tutti i coristi e direttori e poi per ricominciare le nostre attività in completa serenità e con la consapevolezza che per un certo periodo la normalità sarà condizionata dai nuovi comportamenti di distanziamento sociale, sommato all’utilizzo dei DPI (dispositivi di protezione individuale, ossia mascherine e guanti).Sentiamo nei nostri cori un forte desiderio, quasi una smania di ricominciare; d’altronde è fisiologico dopo un così lungo periodo di isolamento: bisogna tener conto del fatto che il coro è un presidio sociale e culturale di base diffuso capillarmente in Italia, anche in quelle zone più periferiche e geograficamente svantaggiate, non raggiunte dai grandi eventi come mostre, concerti, spettacoli teatrali; in questo senso la realtà corale, senza pretese, spesso con il solo strumento dell’entusiasmo e della buona volontà dei coristi e del direttore, condivide cultura, costruisce reti sociali forti e tutti noi sappiamo quanto questo agisca positivamente sui nostri stati d’animo e sul nostro benessere in generale. D’altro canto il senso di responsabilità ci impone di trattenere facili entusiasmi e di preoccuparci in primo luogo di mettere in sicurezza chi fa coro e soprattutto quei cantori che appartengono alle principali fasce di rischio per età o perché affetti da patologie croniche. 

Può darci qualche strumento per capire se e quanto è rischioso fare le prove con un coro in una sala chiusa e spesso anche piccola?

Purtroppo quello che vi dirò non vi piacerà… come si può immaginare. È molto rischioso, nel senso che il problema è proprio la circolazione del virus che viene emesso con la parola, con il canto sicuramente in maniera rilevante, con la tosse. La situazione più pericolosa è proprio quando ci sono diverse persone insieme e queste particelle si mescolano: un soggetto positivo che non sa di essere infetto trasmette la malattia, che può dare sintomi anche molto gravi. Per fare un esempio, la situazione peggiore (per parlare di spazi piccoli) è quella dell’ascensore. A questo si rimedia molto con le mascherine: quelle chirurgiche (che definiamo altruistiche in quanto proteggono chi ci è vicino) frenano le particelle che sono emesse con le gocce di espettorato che quindi vengono trattenute. Il problema è che presumo che voi non possiate cantare con la mascherina.Voi avete il problema di essere tanti e vicini in un ambiente chiuso, perché immagino che dobbiate essere vicini altrimenti le voci non si fondono adeguatamente; in più cantate ed emettete delle particelle; quindi se io dovessi giudicare, questa è una delle situazioni più rischiose in assoluto. Dal punto di vista epidemiologico e della trasmissione, è una delle situazioni peggiori che possano realizzarsi. 

Con l’inizio della fase 2 e una maggior libertà di movimento, abbiamo visto in televisione e sui social una riorganizzazione degli ambienti atti ad accogliere persone (cinema, negozi ecc.) con strategie volte a garantire il distanziamento sociale e la disinfezione degli ambienti; il fatto che il virus possa persistere per giorni su superfici di carta, metallo o plastica, apre il grande capitolo delle sanificazioni delle sale prove e dei servizi igienici a opera di personale formato e con l’utilizzo di sostanze e macchinari specifici. Cosa può dirci riguardo alla sanificazione delle sale?

Questo è un problema inferiore; il grosso problema è che l’attività corale ha tutta una serie di caratteristiche ognuna delle quali sarebbe sufficiente di per sé a non far ripartire l’attività in questo momento, perché c’è un altissimo rischio di trasmissione. Tanto più che sono tutte caratteristiche combinate fra loro.

Siamo al corrente del suo impegno per potenziare la sorveglianza territoriale dei contagi, con un coinvolgimento maggiore dei medici di base, vere e proprie sentinelle della situazione sul campo. La situazione cambierà se sarà possibile tracciare capillarmente i contagi e fare i test sierologici?

I test sierologici non sono affidabili per tutta una serie di motivi e non garantiscono l’immunità, il tampone per essere utile e permettere una riapertura dovrebbe essere effettuato mezz’ora prima della prova a tutti i coristi da un professionista, perché se è fatto male può dare falsi negativi e bisognerebbe avere il risultato immediatamente. Il tampone fatto il giorno prima non dà garanzie perché potrebbero esserci contatti tra i coristi e persone infette nelle ore che intercorrono tra l’esecuzione del tampone e la prova.

In effetti il panorama che emerge dalle sue parole è piuttosto desolante, ma certo il mondo corale non si dà per vinto tanto facilmente. Attualmente “il surrogato corale” che va per la maggiore sono i cori virtuali che hanno invaso i social e le pagine web della Feniarco e delle associazioni corali regionali; è stato dato giustamente spazio a queste iniziative che hanno almeno il vantaggio di dare visibilità al mondo corale e di farci sentire uniti e vicini, ma certo l’emozione dell’esibizione insieme dal vivo è l’ossigeno che ci manca in questo momento e sentiamo tutti una grande nostalgia per l’energia creata dall’unione delle nostre voci. Abbiamo bisogno di ritrovarci, di risintonizzarci e di ritrovare l’affetto del pubblico affezionato che ci segue. Se si programmassero prove all’aperto, il rischio si ridurrebbe?

Ci vuole un distanziamento. Richiederebbe comunque una valutazione tecnica approfondita che si potrebbe fare, in via eccezionale, solo in alcune situazioni, ad esempio per un coro professionale. Non sappiamo quanto andrà avanti questa situazione, speriamo che presto si possa arrivare al vaccino perché in questo caso si potrebbe tornare alla normalità.

È indubbio che l’impossibilità di esibirsi in pubblico rappresenti per i nostri cori una vera frustrazione: esibirsi per noi significa non soltanto presentarsi al pubblico con un concerto ma è anche un momento di scambio e, perché no, di convivialità con altri cori e con tutti gli appassionati. Certo l’esibizione comporta un rischio aggiuntivo, legato all’assembramento di pubblico…

Certo, i concerti necessiterebbero di distanziamento, la mascherina chirurgica per esecutori e pubblico, ventilazione negativa nella sala. Il problema del coro è che non può tenere la mascherina e in ogni caso l’attività concertistica resta una situazione difficilmente praticabile allo stato attuale.

In questi mesi molti dei nostri cori hanno messo a servizio della comunità alcune delle peculiarità che li contraddistinguono. L’esercizio costante nelle prove e nei concerti della cooperazione tra pari, della condivisione, dello scambio empatico, hanno fatto sì che molte formazioni si impegnassero a raccogliere fondi per il servizio sanitario e assistenziale del nostro Paese. In questo senso possiamo dire che, seppure in una veste inusuale, la coralità non si è mai fermata e continuerà ad andare avanti, forse più consapevole della fortuna e del privilegio di appartenere al mondo corale.

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