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Quando le foto cantano
Chiara Pepe e la fotografia corale

di Rossana Paliaga
Fuori dal coro, Choraliter 63, gennaio 2021

Si occupa di immagine, ma all’ego delle tendenze attuali preferisce il noi della famiglia, dei compagni di lavoro, degli amici. Sui palcoscenici social ama rappresentare di sé gli affetti, oppure privilegiare altre storie che raccontano dei suoi interessi e soprattutto delle sue emozioni. Prima ancora di diventare la fotografa dei grandi eventi Feniarco, la sua è proprio alla base una scelta corale e di backstageCorista appassionata, ha portato dietro l’obiettivo il senso dei rapporti che si creano all’interno di un gruppo corale (e che solitamente si esprimono con maggiore evidenza prima di salire sul palco), ma anche il senso estetico e la ricerca dell’espressione che la guidano nel suo lavoro per il teatro e il cinema.

Laureata in scenografia teatrale, in seguito anche per il cinema e la televisione presso l’Accademia di Belle Arti di Napoli, si è specializzata anche in trucco cinematografico e bodypainting. Lavora in diverse produzioni televisive ed è stata illustratrice dell’immagine del Giffoni Film festival, ma per i coristi è soprattutto la fotografa che da anni, spesso all’interno dello staff di Hobos, permette a migliaia di coristi e direttori italiani di conservare le emozioni dei festival Feniarco in fotografie da incorniciare. Dopo che per anni ha documentato artisticamente l’on e l’off dei grandi palcoscenici corali, è arrivato il momento di girare l’obiettivo per conoscere da vicino l’attività e la personalità di Chiara Pepe.

La fotografia corale è un genere specifico?

Potrebbe posizionarsi tra il reportage, perché racconta una situazione, e la fotografia teatrale, perché si tratta di performance. Fino a pochi anni fa immaginavamo il coro prevalentemente come un gruppo statico di persone schierate in maniera ordinata. Fin dall’inizio ho preferito cercare sempre il dietro le quinte, oppure concentrarmi sui ritratti, cogliere le espressioni individuali. Anche in sede di concerto, nei cori convivono una natura più statica e una dinamica, soprattutto nelle performance degli ultimi anni, durante le quali il fotografo deve adeguarsi alle situazioni create dalla regia del direttore.

Si potrebbe addirittura catalogare gli ambiti principali della fotografia corale presenti nella tua esperienza?

Il reportage che racconta il backstage è alla base del mio rapporto con Feniarco, poi segue la fotografia della performance, trattata con i criteri della fotografia teatrale. A esigenze specifiche, non necessariamente documentarie, rispondono poi il ritratto, le foto istituzionali che di solito si utilizzano nei programmi di sala e da allegare ai curricula, infine le macro che evidenziano i dettagli, come può essere per esempio la mano del direttore.

Hai iniziato a fotografare i cori per scelta o per caso?

La fotografia di coro è entrata nella mia vita con il primo Salerno Festival. Aiutavo nell’organizzazione facendo un po’ di tutto: la volontaria. la presentatrice, accompagnavo in giro cori e ospiti, cantavo nel mio coro, aiutavo con gli allestimenti. E ovunque portavo sempre la macchina fotografica. Mi divertivo a fare le foto del backstage, dello staff, della serata finale che era sempre la più emozionante. Le fotografie sono piaciute e la mia presenza in questa veste è diventata una consuetudine.

Chi canta ovviamente non si mette in posa. In cosa risiede la bellezza del corista, in senso fotografico?

Il bello risiede già nella non-posa di chi si sta esprimendo. Nei cori amatoriali la spontaneità dell’espressione trasmette il senso della musica. Attraverso la sola mimica del protagonista della foto puoi immaginare cosa stia cantando e come. Ci vuole tanta fortuna per cogliere il momento giusto e quando non è possibile seguire le prove occorre essere più musicali possibile insieme al coro, comprendere il senso della musica e non dare fastidio con il rumore dello scatto nei momenti più delicati. L’unica protagonista rimane sempre la musica e quando non è possibile fotografare senza disturbare interpreti e pubblico bisogna fare un passo indietro e ascoltare. La bellezza risiede in ogni volto che si esprime e puoi trovare milioni di volti differenti, dal bambino che si sta distraendo al signore anziano con un bel paio di baffi. Non è una questione di età o di bellezza oggettiva: la bellezza risiede in tutti coloro che si esprimono attraverso un’arte.

Ma la visione del fotografo in questo caso coincide con le aspettative del direttore o del corista?

A volte l’aspettativa di chi è fotografato è diversa. Lo sguardo è sempre soggettivo. Qualche espressione esagerata può funzionare molto a livello fotografico, ma può non incontrare la soddisfazione del soggetto. Personalmente amo fotografare i direttori. Negli ultimi anni il rilievo dato alla loro immagine è cresciuto a livello esponenziale. In passato esisteva una visione molto stereotipata di fotografia corale con un gruppo statico e davanti il direttore. Forse per un fatto di invadenza personale, ho voluto entrare nel coro e rompere questo canone ormai sbiadito. Infilandosi per così dire tra le file del coro si può cogliere l’espressione del direttore, il momento in cui guarda quel preciso corista per indicargli cosa deve fare. Questa è la mia firma dal punto di vista della fotografia corale e molti fotografi mi hanno seguita in questo nuovo approccio. Posso aggiungere che personalmente preferisco il bianco e nero e che faccio fatica a fornire fotografie a colori.

Perché?

Di fronte ai colori, lo spettatore è preso dall’emozione e non guarda veramente l’immagine. Togliendo l’emotività del colore, si guarda invece realmente l’espressione, il movimento della persona fotografata. Senza i colori, siamo costretti a guardare l’immagine in modo molto più concreto.

Tra i coristi, quali soggetti sono più interessanti dal punto di vista fotografico?

Bambini e anziani, perché sono quelli che non si prendono sul serio, ma si buttano e sono puri nella loro espressione. Loro si divertono e il loro piacere di far musica diventa una gioia anche per chi li osserva. Un giovane cantore, magari con una base importante, o un futuro direttore, hanno una consapevolezza maggiore e entrano per così dire nel ruolo del cantore, con una disciplina che incanala la loro spontaneità per ottenere, artisticamente parlando, un effetto preciso.

Come viene vissuta in genere la presenza del fotografo al concerto?

Ho avuto la fortuna di avere esperienze in campo amatoriale e semiprofessionale. Spesso una buona fotografia può essere anche un elemento importante di promozione. Il corista che ti chiama per essere fotografato in qualche modo si mette in posa, propone il lato migliore, fa un sorriso in più se si accorge della tua presenza. Tra gli amatori può sembrare invece un’invasione di campo. Per questo cerco sempre di presentarmi prima del concerto, soprattutto con i bambini. Sapendo che dietro a quella macchina c’è una persona, un sorriso, il cantore si sente più rilassato e quindi si fa fotografare.

C’è un commento che ti ha fatto particolarmente piacere?

Nel 2017 Feniarco mi ha affidato le foto per l’Accademia europea per direttori di coro di Fano. Avevo iniziato a pubblicare le prime immagini su facebook e un cantore, vedendole, ha inviato un messaggio privato dicendo: «Adesso io sento la musica attraverso le foto!». Penso sia il più bel complimento che io abbia mai ricevuto. La mia ambizione più grande è infatti che una persona che guarda una mia foto riesca a percepire il senso della musica che sta dietro all’immagine.

Essere corista indirizza lo sguardo in modo diverso?

Sicuramente. Essere corista mi ha aiutato, ha fatto in modo che le mie foto fossero diverse rispetto ad altri fotografi di fronte a un evento corale. Credo di avere un approccio peculiare a coristi e direttori, anche dal punto di vista emotivo. Da corista ho sempre un’idea di squadra e questo mi è servito tanto nell’adattarmi alle diverse situazioni. Ma soprattutto lavoro nel pieno rispetto della performance musicale, che è la cosa più importante.

Ricordi qualche evento fotografato con particolare emozione?

Attraverso la fotografia corale ho avuto l’onore di partecipare e assistere a eventi eccezionali. Ricordo ad esempio l’esperienza con il coro UT a Varna, al Grand Prix. In quel caso ho collaborato al processo creativo della loro performance, una collaborazione nata mentre lavoravo come fotografa al Festival di Primavera a Montecatini Terme. Sono molto legata anche ai ricordi al fianco del Coro Giovanile Italiano, nell’edizione con la direzione di Carlo Pavese e Luigi Marzola. L’ho seguito dalla nascita e mi sentivo proprio parte del coro, conoscevo ogni cantore, avevo la possibilità di andare in giro con loro. Quello che amo in modo particolare è il momento delle prove, quando dimentichi anche chi sia il direttore e osservi un gruppo di persone che fanno una cosa meravigliosa, cantare insieme. L’emozione in generale fa parte del mio approccio alla fotografia corale. Mi rendo conto che a volte le mie immagini possono contenere qualche errore dal punto di vista tecnico, ma secondo me è proprio quella piccola sfocatura che rende umana una fotografia e che spesso assomiglia proprio al mio sentimento dietro l’obiettivo. Fotografare cori mi emoziona e spesso mi commuovo, ma sono grata della possibilità di vivere questi momenti e di restituirli in tutta la loro autenticità.

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