Cookie Consent by Free Privacy Policy website

Con la propria voce

di Marcella Polidori
Laboratorio del Canto, Choraliter 57, gennaio 2019

Uscita dal conservatorio con il diploma di canto, andai a Milano per un’audizione di fronte alla grandissima Carla Castellani che allora aveva già un’ottantina d’anni. Io ne avevo diciannove e dopo avermi ascoltata mi guardò e mi disse: «canti come una contadina delle risaie; perché tu possa cantare dovrai dedicarmi cinque anni della tua vita». In verità già al quarto anno fui pronta e vinsi il primo concorso. Con il canto però non si è mai arrivati. Infatti ho poi cantato per venticinque anni, ma mentre lo facevo sentivo che per me certi ruoli erano inarrivabili perché tecnicamente ancora c’era molto da lavorare. Qui nacque la mia ricerca tutta volta alla consapevolezza e non mi sono ancora fermata: se canto bene perché ci riesco? E viceversa. Ho poi ampliato questa ricerca alle voci bianche quando dieci anni fa Carlo Pavese mi chiese di essere la vocal coach dei Piccoli Cantori di Torino: il lavoro mirato e il continuo confronto sul campo ci hanno portato a stabilire delle priorità irrinunciabili quando si ha a che fare con giovani voci.

Pronti, partenza… via!

La voce di un bambino si scopre chiacchierando e con piccoli giochi, come la sirena dell’ape a bocca chiusa o la zanzara fastidiosa. Con entrambi questi giochi si può capire facilmente se le corde vocali del bambino adducono bene o se invece hanno dei problemi nel vibrare correttamente. Per aiutare i bambini all’uso corretto della voce due sono i punti di forza: il riscaldamento voce-corpo iniziale e lo screening vocale di ogni bambino. Il riscaldamento deve essere mirato a quello che si andrà a leggere ed eseguire e può essere un momento che parte dal silenzio, attiva la riflessione, l’ascolto e la concentrazione del bambino. L’imitazione del mondo che lo circonda è un istinto libero da condizionamenti che va incentivato nel bambino: si parta dall’improvvisazione, dal suono a bocca chiusa, lasciando libertà nel seguire la propria vibrazione. Gli si chieda di cantare il proprio nome imitando il verso di un animale e si scoprirà che il bambino spesso sceglie un animale che ricorda il suo suono; è un ottimo modo per conoscere ed entrare nel mondo che loro stessi decidono di aprire.
In presenza di bambini timidi insistere non ha risultati: si attenda che decidano di farlo “rappato”, parlato, declamato. Anche il silenzio o il rifiuto va letto e rispettato, così come le pause fanno parte della musica. In presenza di bambini dall’intonazione non accurata li si stimoli a migliorare: gli “stonati” non esistono.
La percezione uditiva si sviluppa in maniera esponenziale dai tre agli otto anni, questi sono anni preziosissimi per aiutare l’orecchio a conoscere e riconoscersi. Anche nel gioco la parola chiave è consapevolezza: il bambino deve poter scoprire la propria voce entrando in comunicazione con il gruppo, senza dover dimostrare il suo talento ma semplicemente condividendolo.

Con il proprio corpo 

Per entrare in contatto con il gruppo è fondamentale il contatto con il corpo. Si parta dal rilassamento delle varie parti del corpo e si associ a ogni arto un colore dell’arcobaleno narrando una semplice storia o immaginandosi in un luogo luminoso e tranquillo. Per esempio si pensi al corpo disteso su un prato di fiori, si guidi il rilassamento del bambino alla scoperta del suo respiro calmo e disteso e dai piedi si salga alla scoperta di ogni arto fino ad arrivare alla gola, che sbadigliando si apre dolcemente. Ecco che nel respiro i ragazzi trovano il silenzio, la concentrazione necessaria a un attacco. Associando queste sensazioni alla storia e ai singoli colori dell’arcobaleno sarà poi semplice richiamarle alla necessità durante le prove.

Voce sana?

Altro momento chiave è appunto lo screening vocale, ovvero la possibilità per il docente di ascoltare ogni singola voce, per poter sapere, prima di ogni considerazione, se la voce è sana. Nel dubbio, l’unica strada è il controllo foniatrico specialistico. Si incontrano sempre più spesso bambini con problematiche alle corde vocali, per esempio di cisti congenite se ne diagnosticano una marea: innanzitutto perché forse oggi siamo più attenti e in secondo luogo perché i bambini hanno ormai due sole modalità di utilizzo della voce, il silenzio e l’urlo. Il silenzio delle ore passate di fronte al tablet senza parlare e l’urlo del gioco con altri bambini o del confronto con i genitori. Non esiste più il momento della lallazione tranquilla delle favole, del racconto, della ninna nanna: l’imprinting che veniva dato durante la gravidanza e poi al bambino neonato era fondamentale per l’orecchio del bambino che oggi subisce spesso la mancanza di un rapporto diretto di energia madre-figlio, la mancanza della percezione delle vibrazioni delle voci care.
Per esempio la voce contratta o di scarsa estensione fa emergere spesso disagi familiari: il canto ne diventa un veicolo, aprendo una porta verso il profondo. Sono tutti fattori di cui dobbiamo essere consapevoli e rispetto ai quali dobbiamo rendere consapevole il corista. Il bambino in coro deve sviluppare infatti la conoscenza del proprio strumento per avvertire la fatica prima che essa lasci un segno (suono arioso, durezza negli attacchi o, ancora peggio, afonia).
Nonostante i mille buoni propositi che un insegnante si prefigge, vi saranno comunque fattori – come il repertorio o particolari condizioni esterne entro cui ci si trova a cantare – che non permetteranno di far tutto ciò che una giovane voce richiederebbe. L’importante in questi casi è conoscere perfettamente il limite delle voci dei propri coristi e motivare i ragazzi a trovare risorse sempre nuove, mantenendo un senso gioioso e dinamico del fare musica.

Disfunzionalità

Un bambino che ha un nodulo deve tornare a cantare, dopo il percorso di logopedia. Diversamente invece succede quando si tratta di cisti cordale congenita che con la pubertà potrebbe scomparire naturalmente: si aspetti lo sviluppo e se dovesse rimanere è necessaria l’operazione. La presenza di noduli è da imputare maggiormente al parlato o a un’idea di canto – che caratterizza anche alcuni famosi talent – in cui il bambino deve già cantare come un adulto. Il bravo insegnante è colui che sa cosa può fare il proprio allievo e cosa no, che insegna al corista ad avere consapevolezza di ciò che accade nella laringe che mai deve essere sottoposta a stress. Il bravo vocal coach non è colui che mira a sostituirsi al logopedista o al foniatra, ma colui che ascolta e reagisce prontamente al primo segnale negativo, cercando anche di prevenire.
Un suono forte, per esempio, deve essere raggiunto attraverso la pressione del fiato e della muscolatura e attraverso la direzione degli occhi. È infatti dimostrato da studi neurologici quanto occhio e orecchio siano collegati nel nostro cervello: lo sguardo deve guardare lontano perché un suono possa andar lontano e attraverso gli occhi prendiamo la mira per l’intonazione.

Il cambiamento

Il coro di voci bianche è un piccolo mondo in continuo divenire: i ragazzi crescono, mutano e il coro cambia, noi cambiamo. Nel momento della muta credo sia importante non mandare via nessuno; è necessario trovare brani adatti all’estensione di poche note che caratterizza quel periodo, nel quale per i primi mesi faranno i contralti, nel momento più complesso della muta staranno in coro senza cantare per poi tornare a farlo su brani dedicati esclusivamente a quelli che con affetto chiamiamo “i mutanti”, perché abbiano una loro identità.
Inoltre è importante trovare sempre nuovi spunti per mantenere alto l’interesse musicale legato a un sano divertimento. Non ripudiamo a priori la musica che i nostri ragazzi ascoltano per passatempo, ma non è tutto spazzatura come si crede: uno come Ghali, il rapper, racconta davvero la sua storia di immigrato di seconda generazione e non possiamo far finta che non ci sia. Dobbiamo esser capaci di considerare tutta la musica come fonte di bellezza e se lo insegniamo ai nostri ragazzi anche loro faranno lo stesso con Mozart; il nostro intento educativo altrimenti cadrà velocemente: i ragazzi non si sentiranno considerati e non si creerà nessun legame con il loro quotidiano. È stato soprattutto il lavoro con Carlo Pavese ad aprirmi la mente in tal senso e in modo straordinario; l’ho appena visto insegnare un balletto di Gastoldi facendolo “rappare” sulla body percussion: si può ben immaginare la reazione dei ragazzi. Il confronto e ascolto tra maestro e coristi e tra coristi stessi è indispensabile perché lo scambio sia reale, mentre la preparazione dello strumento voce rappresenta la chiave per entrare nella parola cantata, per incrociare lo sguardo del maestro e lanciare suono ed energia al di là del muro del nostro io.

Biografia di Marcella Polidori

Soprano, si diploma al conservatorio di Torino e si perfeziona sotto la guida di Carla Castellani e poi con Renata Scotto e Alfredo Kraus. Approfondisce lo studio tecnico foniatrico con Jo Estill e Yvà Barthelemy.Partecipa e vince numerosi concorsi, classificandosi prima al concorso Musica in Scena di Torino, prima al Carlo Coccia di Novara e al Giacomo Antonio di Cosenza per Madama Butterfly. Debutta nel 1988 con Serva Padrona e a seguire Bohème, Zauberflote, Madama Butterfly, Nozze di Figaro, Don Giovanni, Otello, Macbeth, Campanello, Angelo di Fuoco, Nabucco, Lombardi, Il Giro di Vite, Dialoghi delle Carmelitane, Zanetto, Maria Stuarda, Sly, Pagliacci, Carmen, Due Foscari, La Volpe astuta, Elektra. Ha collaborato con importanti direttori d’orchestra quali Gavazzeni, Abbado, Ahronovtch, Bartoletti, Chailly, Gergiev, Humburg, Muti, Maag e Osawa e ha lavorato con diversi registi tra i quali Cobelli, Fassini, Karsen, Nekrosius, Ronconi, Vacis, Zeffirelli. Con il Teatro alla Scala ha preso parte alla tournée in Giappone con Macbeth e Otello e poi ancora Macbeth per l’inaugurazione del nuovo Liceu di Barcellona sotto la direzione di Riccardo Muti. Ha realizzato una trasmissione radiofonica per Radio Tre Rai con i violoncelli della Scala eseguendo con loro Bachianas Brasilera nº 5 di Villa Lobos al Teatro alla Scala e in alcune città Italiane. Per la collana Canto l’opera ha inciso arie e duetti da Don Giovanni, Nozze di Figaro, Carmen, Manon Lescaut e Bohème. Dal 2006 è insegnante di vocalità presso i Piccoli Cantori di Torino ed è inoltre consulente di tecnica vocale della Corale Universitaria di Torino e dell’Accademia di Musical TMA.

Ti potrebbero interessare anche:

Questo sito utilizza cookies propri e di altri siti. Se vuoi saperne di più . Continuando la navigazione ne autorizzi l'uso.