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Steve Dobrogosz
Amen Magna

di Fabrizio Barchi
Repertori, Choraliter 60, gennaio 2020

L’incontro con la musica di Steve Dobrogosz avvenne nel 1998, quando Gary Graden, invitato a Roma dal compianto Domenico Cieri, ci parlò delle opere del musicista statunitense. 

Fui subito colpito dall’originalità di Dobrogosz nel trattare il testo liturgico della Messa: facilità melodica, inventiva ritmica, genialità armonica. Nella sua produzione confluivano varietà stilistiche non usuali nella musica corale, soprattutto il jazz. Il pianoforte dettava le linee guida di un’armonia contemporanea, ma non ostile, e la scrittura corale era melodicamente coinvolgente.
Nel 2005, insieme al mio coro, il Musicanova, eseguimmo per la prima volta in Italia la sua Messa per coro, pianoforte e orchestra d’archi. L’anno successivo la registrammo e il nostro CD, Whiteinblack, ebbe un ottimo riscontro, perché la musica di Dobrogosz sa entusiasmare anche chi non ha una specifica preparazione musicale.
Nel 2019, in occasione del ventennale del Musicanova, ci siamo fatti due grandi regali: il primo è stato ristudiare la Messa, con un organico rinnovato rispetto a quello di quattordici anni prima, rivivendo le stesse forti emozioni; il secondo è stato invitare Steve Dobrogosz a Roma. Insieme abbiamo tenuto un concerto a Atri (Teramo) e un altro a Roma, davanti a un folto pubblico che ha gustato ogni nota delle sue meravigliose creazioni. Per il maestro è stata la prima performance in assoluto in Italia. Vederlo divertirsi al pianoforte, gioire insieme ai miei ragazzi e ai giovani orchestrali allievi del conservatorio di Latina, è stata una vera festa della musica. Per questa occasione speciale, Dobrogosz ha composto un brano per doppio coro e pianoforte, Amen Magna, eseguito in prima assoluta. Il brano mi è parso fin da subito molto stimolante, anche se lo studio inizialmente mi creava delle difficoltà. Il tempo di 7/4 non andava infatti battuto in semiminime, ma come un 2/2 + 6/8. Anche l’andamento armonico è particolare, con una sequenza iterata del basso in forma di passacaglia. 

Questa ripetizione dà modo alle voci di entrare gradualmente, creando un crescendo di grande effetto. Nonostante i quattro bemolle in chiave, l’armonia, arricchita da accordi che denotano la formazione jazzistica dell’autore, non dichiara subito la sua tonalità vera, ovvero la bemolle maggiore, e rimanda l’incontro con la tonica alla dodicesima battuta.
Il brano poi si sviluppa in 4/4 con un cantabilissimo tema che si alterna nelle varie voci con varianti e modulazioni; quando il coro agisce a organico pieno, grazie a delle scelte armoniche molto originali, la tensione emotiva diventa massima.

Il brano è un finto doppio coro perché, in realtà, le voci si distribuiscono nelle entrate ma la contemporaneità delle otto voci non c’è praticamente mai, se non nel finale. Anche nelle estensioni vocali, Dobrogosz non colloca le voci nella loro tessitura madre: ciò ci ha costretto a rivedere qualcosa per far sì che nella distribuzione delle parti ognuno agisse nella propria corda di appartenenza. Probabilmente accompagnare voci solistiche nel jazz ha portato l’autore a non porre massima attenzione ai limiti oggettivi del coro classico. Ma a questo ho trovato facile rimedio con una redistribuzione delle parti, che l’autore ha molto apprezzato.
Dopo il ritornello il brano modula in la maggiore sempre in 4/4 e qui il climax si fa più intenso. La ripresa del tema in 7/4 fa presagire che si vada verso il finale. 

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In realtà, vi sono ancora 50 battute in 4/4 che, sovrapponendo le risposte fra le varie voci, creano un’apertura inattesa.
La scrittura dell’autore, pur usando un impianto tonale tradizionale, si svela spesso inaspettatamente originale. Gli studi pianistici classici di Dobrogosz denotano una solidissima preparazione che trae però nuova linfa dalla commistione con il jazz: un po’ Keith Jarrett, un po’ Philip Glass, mutazioni armoniche dell’unisono, come usa anche Puccini, e perfino stille di gregoriano. Una inventiva e fantasia improvvisativa al pianoforte di rara facilità con il suo tocco robusto ma agile, con un uso sapiente e imprevedibile dei rivolti. Steve Dobrogosz con la sua genialità e il suo affabile modo di porsi ha reso il nostro ventennale un evento indimenticabile. 

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