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Max Reger
Requiem

di Mauro Zuccante
Nova et vetera, Choraliter 50, agosto 2016

Come d’abitudine, si propone in Nova et Vetera l’opera di un autore, la cui musica è caratterizzata dalla commistione di stile moderno e antico. Parliamo del Requiem (o meglio, d’ora in avanti, l’Hebbel-Requiem), per solo (alto o baritono), coro e orchestra, op. 144b, di Max Reger.

Si celebra quest’anno il centenario dalla morte di Max Reger (1873-1916). E, a proposito di celebrazioni centenarie, va aggiunto che Reger ha intitolato questo Requiem ai soldati tedeschi morti in seguito allo scoppio della Grande Guerra. Così recita, infatti, la dedica segnata in testa all’autografo della riduzione per pianoforte: «Alla memoria degli eroi tedeschi, caduti nella Guerra del 1914/1915». L’Hebbel-Requiem costituisce l’ultimo lavoro corale compiuto da Reger. La composizione è stata realizzata a Jena, tra l’inizio e il 15 agosto 1915. Il musicista, però, non ha potuto assistere alla prima esecuzione, avvenuta a Heidelberg, il 16 luglio 1916. La morte prematura l’ha colto un paio di mesi prima.

Tra le precedenti opere di Reger, alcune sono ricollegabili alla stesura dell’Hebbel-Requiem. Innanzitutto, il mottetto del 1912, per coro maschile a cappella, che porta lo stesso titolo, Requiem. Ultimo di una serie di dieci, raggruppati nell’op. 83, il mottetto è stato composto sui medesimi versi del poeta romantico tedesco Christian Friedrich Hebbel (1813-1863). Il piccolo pezzo anticipa, nei contenuti formali, espressivi e tematici, l’Hebbel-Requiem.

Quindi, nell’anno successivo, Reger compone i Quattro poemi sinfonici op. 128, che indagano ulteriormente tematiche funerarie. Tra questi ampi affreschi orchestrali, ispirati alle opere del pittore svizzero Arnold Böcklin (1827-1901), spicca quello ispirato al celebre quadro intitolato L’Isola dei morti.

Infine, menzioniamo la composizione di un Requiem (già esso commemorativo dei soldati morti, o mortalmente feriti, nel primo conflitto mondiale), sul canonico testo in latino della liturgia dei defunti. Ma questo ambizioso progetto (cosiddetto Requiem-latino, per distinguerlo dall’Hebbel-Requiem), iniziato nel 1914, è rimasto incompiuto. Infatti, una volta ultimato il movimento di apertura (Introito e Kyrie), Reger ha interrotto la lavorazione, dopo un frammento del Dies irae: «Statuens in parte dextra…».

Veniamo al testo dell’Op. 144b. La poesia Requiem di Friedrich Hebbel risale al 1840, ma la sua pubblicazione è del 1857. Contrariamente a quanto il titolo lascia supporre, si tratta di una preghiera laica. Il testo non rimanda a una dimensione trascendente, a meno che non si voglia interpretare l’anonima voce che parla, come fosse una voce divina. La voce esorta l’anima a non dimenticare i morti: «Seele, vergiß sie nicht, Seele, vergiß nicht die Toten!». Un distico che apre, inframmezza e chiude. Un distico che separa le due sezioni, in cui s’inquadra formalmente la poesia. Nella prima sezione, il ricordo consente ai morti di godere di un estremo bagliore di vita. Nella seconda, l’oblio li pietrifica e li caccia definitivamente «nel deserto infinito, ove non c’è più vita» («Durch die unendliche Wüste hin, Wo nicht Leben mehr ist»). Il compositore Peter Cornelius (1824-1874), amico fraterno di Hebbel, ha messo in musica questi stessi versi. Egli ha composto nel 1863 il mottetto Requiem («Seele, vergiß sie nicht»), per coro a sei voci a cappella, in occasione della morte del poeta.

Al termine della composizione dell’Hebbel-Requiem, Max Reger si dichiarò piuttosto soddisfatto: «Posso tranquillamente affermare che [Der Einsiedler, Op. 144a, e Requiem, Op. 144b] sono tra le cose più belle che io abbia mai scritto». Difficile dargli torto. L’Hebbel-Requiem è un’opera d’arte di rara qualità, in cui il tono lirico e il tono drammatico sono dosati in giusto equilibrio. L’Hebbel-Requiem rappresenta una visione tragica, commossa, misurata e intima della condizione umana, sospesa tra la vita e la morte, realizzata con parsimonia, pertinenza ed efficacia di mezzi. Nonostante il linguaggio di Max Reger fosse consono allo stile tardo-romantico in voga, i contemporanei gli contestavano un eccessivo atteggiamento accademico e anacronistico («Aspettate: entro dieci anni io passerò per reazionario, mi si butterà alle ortiche. Ma io ritornerò», così, orgogliosamente, egli reagiva). Perché? Reger si è mantenuto in linea con le tendenze post-wagneriane più ardite. Egli ha fatto uso di un linguaggio musicale tecnicamente avanzato, marcatamente cromatico e incessantemente mutevole sul piano armonico. Ma altresì, la sua opera è stata contrassegnata da un dualismo estetico. Il suo modernismo, infatti, conviveva con il ricorso alle forme pure e classiche del passato (corali, preludi, fughe, variazioni) e con l’osservanza rigorosa, dotta e, se vogliamo, alquanto pedante, del contrappunto, la sua procedura stilistica d’elezione. Uno sguardo, quindi, bifronte. Rivolto all’avvenire, ma anche al passato. Erede e continuatore della grande tradizione tedesca: da Bach («Se non fosse esistito Bach, non esisterei neanch’io», affermava), passando per Brahms. Reger è stato, insomma, autore moderno e restauratore e, in un certo senso, precursore dello stile neo-barocco e neo-classico di Paul Hindemith. Il carattere retrospettivo della musica di Reger – motivo, come s’è detto, di detrazione da parte di alcuni critici – è, invece, quello che c’incuriosisce maggiormente. Ed è alla luce di alcuni riferimenti agli antecedenti storici e alla continuità con la tradizione, che ci facciamo guidare nella lettura dell’Hebbel-Requiem.

Analisi della composizione

Procediamo. La composizione di Reger si conforma alla struttura del testo poetico. Un impianto a rondò (forma classica) in cinque periodi (A B A1 C A2).
L’Hebbel-Requiem principia con un’ampia introduzione orchestrale (fig. 1).
Si tratta di un preambolo, che marca in modo inequivocabile il tracciato storico nel quale l’opera s’inserisce. S’ode un suono profondo, da oltretomba. S’intuisce la tonalità di re minore, la stessa del Requiem di Mozart.

Il continuum ritmico al basso in avvio è un paradigma caratteristico dello stile barocco. Le pulsazioni del pedale grave di tonica, infatti, sono le stesse che aprono, le passioni bachiane, introducendo una temperie musicale di solenne austerità (figg. 2 e 3).

Ma l’eco più vicino è quello dell’Ein deutsches Requiem di Brahms, al quale programmaticamente l’Hebbel-Requiem si riferisce più da presso, in quanto l’opera brahmsiana costituisce un prototipo di Requiem non liturgico, preghiera non rituale di consolazione per i morti e per i vivi (fig. 4).

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Aggiungiamo un’altra osservazione. In queste battute iniziali Reger indugia sulla quinta vuota (re-la). Posto così in apertura, questo bicordo assume il connotato di archetipo, che sta simbolicamente a significare un atto primitivo, essenziale, mistico, che concerne l’anima delle cose. «Cosa arcana e stupenda / Oggi è la vita al pensier nostro, e tale / Qual de’ vivi al pensiero / L’ignota morte appar» dicono, cantando, i morti nel dialogo leopardiano.
Sono le stesse impersonali e imperturbabili note, che danno inizio alla IX Sinfonia di Beethoven (fig. 5). La quinta vuota è lo stesso intervallo generativo, da cui diviene l’inesauribile flusso musicale del Ring wagneriano (fig. 6).

Prende il via dall’intervallo di quinta anche la voce del solo. E c’è chi interpreta la scelta di Reger di dialogo responsoriale tra voce solista e coro, in affinità e consonanza con l’Alt-Rhapsodie op. 53 di Brahms e con il carattere profetico del quinto movimento dell’Ein deutsches Requiem (fig. 7).

«Le ombre dei morti si librano intorno all’anima tremanti», dice il coro al suo ingresso. Queste parole sono pronunciate, intonando una sequenza di statiche quinte vuote, in libero accostamento tonale. Permane, quindi, per tutto l’episodio a un’atmosfera immota. A contrastare la stasi interviene l’episodio B, che introduce una perturbazione di movimento e dinamica. I trapassati sembrano rianimarsi, alimentati dal ricordo amorevole («Und in den heiligen Gluten…»). Ma si tratta di un godimento effimero, che va tosto esaurendosi. Una sensazione apparente di vita che va spegnendosi, (fig. 8) com’è ben rappresentato dal declinare cromatico delle voci: stesse parole e stessa figurazione melodica presente nel mottetto Requiem op. 83, del 1912 (fig. 9).

La successiva ripresa abbreviata di A, presenta varianti armoniche e una prima sovrapposizione di solo e coro. L’episodio C è il più elaborato. Si apre con la forte immagine della solidificazione dei trapassati. Deflagra un boato inatteso, uno choc sonoro terrificante: una fortissima e dissonante triade minore con sesta minore aggiunta. È l’oblio la causa della pietrificazione, è l’oblio che fa, quindi, sprofondare le voci nell’abisso (fig. 10)
Segue l’irruzione della tempesta notturna, che sferza, insegue e trascina i trapassati attraverso il deserto senza fine, dove non c’è più vita. Il coro accenna a un veloce fugato. In realtà lo stile polifonico non decolla. Prevale, infatti, un drammatico declamato omoritmico, un ispessimento di linee all’unisono o per terze, a spingere le voci verso le tessiture acute estreme. Nel tumulto si alternano rapide immagini contrastanti, come in una battaglia finale risolutiva. E su tutto aleggia la visione della morte, ben rappresentata dalla scarnificata durezza del tetracordo di tritono, tracciato dalle voci discendenti in ottava (fig. 11)

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Siamo all’epilogo. Seconda ripresa di A, con ulteriori varianti. Giunti a questo punto, ci attenderemmo la chiusura della parabola formale, contrassegnata da un ritorno della fredda quinta vuota d’apertura. Invece, la terza maggiore riempie e infervora l’accordo, riaccende l’armonia e dona alle gravi pulsazioni del pedale di tonica un rinnovato afflato. Ed ecco, in un rasserenato e dolcissimo clima sonoro, l’esortazione melodica principale del solo si combina con la commovente citazione del corale di Hassler (quello stesso che Bach ha più volte utilizzato nella Matthäus-Passion): O Haupt voll Blut und Wunden. Non le parole, ma solo le note dell’antica melodia, risuonano nel canto dei soprani del coro (fig. 12). Nova et Vetera… È con un raggio di pacificazione e consolazione che termina questa bella composizione di Max Reger. A detta di alcuni, questa chiusura, va intesa come un recupero, da parte del musicista, del sentimento religioso, un superamento dell’angoscia, un superamento della negazione della speranza, che la morte, altrimenti intesa come annichilimento totale, porta con sé.
L’opera di cui abbiamo parlato, si può apprezzare anche nella riduzione per pianoforte. Esiste sul mercato una pregevole registrazione dell’Hebbel-Requiem, in versione per alto, coro e pianoforte. È contenuta in Max Reger: Choral music, Hyperion CDA67762, una realizzazione del 2009, curata dall’Ensemble Consortium, sotto la direzione di Andrew-John Smith. Quello che, in questo adattamento “cameristico” (comunque originale dell’autore), si perde sul piano della ricca tavolozza timbrica orchestrale, si guadagna a livello di nitidezza di dettagli e sfumature espressive. Un valore aggiunto nell’ascolto di una partitura in cui agogica, dinamica ed espressione sono segnate con precisione dettagliata e al limite dell’eseguibile.

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