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Coro e banda:
alcuni spunti di riflessione

di Andrea Ciciliot
dossier "Il coro e la banda musicale", Choraliter 51, dicembre 2016

Tra le tante ricchezze culturali che il nostro Bel Paese può vantare, vanno annoverate anche le numerose associazioni musicali amatoriali presenti sul territorio. I cori e le bande rappresentano degli importanti punti di riferimento per la vita culturale e i rapporti sociali nelle grandi città e ancor di più nei piccoli centri di provincia. Eppure, nonostante la stretta convivenza nello stesso ambito territoriale, la collaborazione tra queste due realtà è, a volte, assai difficile e complessa, in particolare dal punto di vista musicale. Fino alla metà del secolo scorso mancava, di fatto, uno specifico repertorio che tenesse conto della vocalità/sonorità e delle esigenze peculiari di queste compagini musicali: la maggior parte del repertorio era rappresentata da trascrizioni di pagine corali tratte dalle più celebri opere liriche. Il rapporto tra coro e banda vive di un delicato e complesso equilibrio che, se gestito con il dovuto senso delle proporzioni, può dare risultati assai interessanti. Ma può anche generare situazioni realmente difficili da gestire se viene a mancare un’accurata e adeguata programmazione in fase di progettazione del lavoro.

Banda vs coro

In effetti, uno dei punti più critici riguarda la differente “massa sonora”: un complesso bandistico di medie dimensioni (35-40 elementi) può contare su un impatto sonoro decisamente maggiore rispetto a un coro della stessa grandezza. Tale differenza vale sia nei riguardi della dinamica – il forte di un singolo strumento è superiore a quello di una singola voce – sia in termini di proiezione del suono. Cercare un buon equilibrio tra coro e banda spesso significa creare una massa corale sufficientemente numerosa, con un suono ampio, in grado di “tenere testa” al suono dell’orchestra di fiati senza dover mai esasperare le dinamiche scritte in partitura. O, peggio ancora, senza costringere i coristi a cantare sempre forte nel tentativo di superare il muro di suono generato dalla banda.

Il rapporto numerico tra componenti della banda e quelli del coro non segue precise regole, ma varia in base a diversi fattori, tra i quali:

  • composizione della banda (legni, ottoni e percussioni hanno rapporti dinamici molto differenti; in particolare i saxofoni, gli ottoni e le percussioni a suono indeterminato tendono per loro stessa natura a sovrastare il suono d’insieme) e del coro;
  • capacità di controllo del suono (più è elevata la preparazione tecnica di ogni singolo strumentista, maggiore è il controllo sulle dinamiche e sulla qualità sonora dell’insieme);
  • soluzioni compositive adottate dall’autore del brano (condotta delle voci all’unisono o divise, alternanza tra tutti e singole sezioni della banda per permettere al suono del coro di avere il giusto rilievo, ecc.).

La corretta valutazione di ogni singola problematica in fase di progettazione è una fase essenziale per permettere al direttore musicale e a ogni componente della massa orchestrale/corale di lavorare nelle migliori condizioni possibili durante lo svolgimento delle prove d’assieme.
La presenza sul territorio di un buon numero di associazioni bandistiche è senza dubbio uno stimolo importante per le realtà corali che desiderano affrontare un’esperienza di questo genere. Ma a volte, più che la prossimità in termini chilometrici, conta la disponibilità a condividere gli obiettivi di lavoro d’insieme. Ogni banda e ogni coro hanno una propria storia e una “personalità”, spesso plasmata da chi guida la loro organizzazione logistica e artistica. Il coinvolgimento di direttore musicale, presidente, direttivo, ecc. nella fase di progettazione rende possibile un’adeguata pianificazione dei tempi di studio e delle prove d’assieme. Fattori, questi ultimi, determinanti per la buona riuscita di ogni progetto.

Soluzioni alternative: gruppi cameristici e organico variabile

Le soluzioni più interessanti, a mio parere, si creano nel caso di partiture scritte per coro e organici cameristici di strumenti a fiato o, addirittura, per organici “variabili”. Nel primo caso è lo stesso compositore a prevedere espressamente in partitura la presenza di uno o più strumenti a fiato (cito a titolo di esempio la Messa di Igor Stravinskij per coro misto e doppio quintetto di fiati con due oboi, corno inglese, due fagotti, due trombe e tre tromboni). Nel caso dell’organico variabile, invece, l’autore scrive le parti – ovvero le singole linee melodiche – che poi il maestro concertatore assegna agli strumentisti in base all’organico di cui dispone. Appare evidente come nel primo caso sia necessario disporre di un preciso organico per affrontare lo studio della partitura, mentre nel secondo caso è la stessa partitura ad “adattarsi” alle forze disponibili, a volte attraverso un attento lavoro di arrangiamento delle parti a carico del concertatore.

Al fine di chiarire questo tipo di operazione, piuttosto familiare al direttore di banda, ma poco consueta per il direttore di coro, riporto qui di seguito un esempio operato su una partitura scritta per organico variabile. Si tratta della Missa Brevis di Jacob de Haan (n. 1959), opera che gode di notevole fama tra le compagini corali e spesso viene presentata con l’accompagnamento della banda con organico completo. Il compositore, originario dei Paesi Bassi, è uno degli autori di musica per strumenti a fiato più popolari del nostro tempo e uno dei maggiori fautori del rinnovamento del repertorio bandistico in Europa degli ultimi decenni. La Missa Brevis, a lui commissionata dalla regione francese alsaziana, è scritta in modo da poter essere adattata a differenti organici, dal piccolo gruppo da camera alle grandi masse corali e strumentali. Ecco come si presenta la partitura originale (Credo, batt. 134-139):

Lo stesso autore suggerisce possibili e molteplici realizzazioni della strumentazione per differenti organici. Ecco come le quattro linee principali dell’accompagnamento (Band) possono essere distribuite per l’organico di una banda di medie dimensioni:

Ovviamente strumenti quali ottavino, sax soprano, clarinetto contralto, flicorno soprano o tenore, ecc. richiedono apposite trascrizioni che qui non inserisco. Le parti ad libitum (Brass Quartet) che raddoppiano la parte vocale potrebbero essere interpretate da un quartetto di ottoni – se la compagine corale è piuttosto numerosa – composto da due trombe (parte I e II) e due tromboni (parte III e IV).
All’occhio esperto del direttore di banda appare evidente uno dei maggiori difetti che a volte si riscontra in questo tipo di scrittura e che potremmo definire come scarsa “caratterizzazione” delle linee melodiche. Ad esempio la linea I (Band) si adatta bene a strumenti quali clarinetto e tromba, ma per il flauto (e oboe, sax soprano) risulta piuttosto grave. 
Pur restando nei limiti dell’estensione, essa non sfrutta appieno le possibilità dinamiche e timbriche dello strumento date da una tessitura più agevole, creando qualche difficoltà nel controllo del suono e dell’intonazione, soprattutto nelle dinamiche estreme. In alcuni casi è possibile risolvere il problema inserendo dei cambi di ottava, prestando attenzione agli eventuali rivolti di accordo che si verrebbero a creare. Il discorso si ripete anche per le altre parti: nella linea IV in alcuni passaggi andranno inseriti i raddoppi all’ottava grave (distinguendo ad es. le parti per il basso tuba in fa e quello in si bemolle), ecc.

Il terzo esempio riporta una possibile orchestrazione per coro, ensemble di clarinetti, timpani e organo.

Un quartetto di solisti riprende la parte ad libitum che raddoppia il coro, mentre al gruppo strumentale è affidata la parte di accompagnamento. Per evitare il rischio che l’assoluta omogeneità dell’ensemble e la sua naturale tendenza a fondersi col suono delle voci possano alla lunga far sentire la mancanza di contrasti timbrici (la durata della Missa Brevis è di circa 25 minuti), è bene valutare in quali punti lasciar cantare il coro a cappella, senza il raddoppio dei soli ad lib.
Proprio sul concetto di contrasto timbrico si basa la proposta del quarto esempio: un quartetto di clarinetti e uno di saxofoni che si alternano, o si uniscono, per creare differenti impasti sonori.

Credo che questi brevi esempi abbiano chiarito quanto il lavoro di “adattamento” delle parti chiami in causa la responsabilità e le competenze del direttore musicale. Egli ha l’onere di preparare e controllare accuratamente tutto il materiale musicale, eventualmente predisponendo quello non sempre reperibile nei cataloghi delle case editrici.
Molti compositori di musica per banda scrivono brani con organico variabile o flessibile proprio per venire incontro alle esigenze delle numerose e differenti realtà bandistiche, in particolare per le formazioni giovanili che spesso hanno organici incompleti o non perfettamente equilibrati. In questo modo la partitura subisce una sorta di metamorfosi in base all’organico vocale/strumentale disponibile che, senza snaturare il brano musicale, permette di fare letteralmente virtù di quella che per molte piccole associazioni è di fatto una necessità.

Un po’ di repertorio: trascrizioni…

Il repertorio bandistico da concerto ha sempre avuto un percorso parallelo a quello sinfonico e operistico. In Italia in modo particolare, per tutto l’Ottocento e buona parte del Novecento, i brani proposti dalle bande amatoriali si basavano su trascrizioni e adattamenti di quelli composti per il classico organico orchestrale – eccezion fatta per i brani di carattere liturgico o quelli di matrice popolare.

La pratica della trascrizione e quella dell’arrangiamento godono tuttora di notevole fortuna: nei cataloghi delle case editrici musicali si trova un gran numero di trascrizioni dedicate al coro e alla banda, dall’opera lirica al musical, dai brani pop più celebri al vastissimo repertorio di brani legati ai diversi periodi dell’anno liturgico, a molto altro ancora. Vista la grande quantità di titoli disponibili, è meglio avere ben presente a quali informazioni siamo interessati prima di affrontare una ricerca nei vari siti presenti in rete. Il più delle volte è possibile affinare la ricerca in base al tipo di organico, facilitando in parte un lavoro di indagine non sempre agile. A questo proposito vale la pena ricordare che vi è una certa promiscuità nell’uso dei termini banda / orchestra di fiati in italiano e band / concert band / wind orchestra in inglese. Meglio verificare le eventuali indicazioni dell’organico della partitura quando c’è la possibilità.

…e brani originali.

Per quanto concerne il repertorio originale, dobbiamo ricordare che, dal punto di vista storico, la musica per orchestra di fiati ha subìto un graduale aumento di interesse da parte dei compositori parallelamente allo sviluppo tecnico degli strumenti a fiato. Le considerevoli migliorie apportate negli ultimi due secoli – quali ad esempio le chiavi per gli strumenti ad ancia o i pistoni per gli strumenti a bocchino – sono state un notevole stimolo per esecutori e autori. Alcuni dei grandi compositori del passato hanno lasciato opere che ancora oggi richiamano una certa attenzione, soprattutto da parte delle istituzioni accademiche del mondo anglosassone, le quali possono in molti casi contare su importanti realtà corali e strumentali in forza presso i propri organici. Mi riferisco a lavori di ampio respiro e dal carattere trionfale, quali la Grande symphonie funèbre et triomphale di Hector Berlioz (1840) con archi ad libitum, o il Festgesang di Felix Mendelssohn Bartholdy (1840) per coro maschile e ottoni – da cui è stata tratta in seguito la celebre melodia Hark! The Herald Angels Sing – o l’impegnativa Messa n. 2 in mi minore di Anton Bruckner (1866 ca.) per coro a otto voci e orchestra di fiati. Vi sono anche lavori che richiedono organici di minori dimensioni: tra questi cito ancora Bruckner con l’offertorio Afferentur regi (1861) per coro e tre tromboni ad libitum e l’antifona Ecce sacerdos magnus (1885) per coro, organo e tre tromboni, e il meraviglioso Begräbnisgesang op. 13 di Johannes Brahms (1858) per coro, strumenti a fiato e timpani.

Nella prima metà del Novecento il repertorio conta numerosi lavori, molti dei quali hanno una particolare caratterizzazione riguardo l’uso dei fiati (e delle voci): a tale proposito è sufficiente ricordare capolavori quali la Messa di Igor Stravinskij (1948) per coro e doppio quintetto di fiati, o la sua grandiosa Symphonie de psaumes (1930) che vede protagonisti il coro e i fiati – con l’aggiunta di arpa, due pianoforti e dei soli archi gravi in organico. Al 1921 risale la prima versione del Salmo sinfonico Le Roi David di Arthur Honegger (voce recitante, soli, coro e organico incentrato sulla prevalenza di fiati e percussioni), mentre la Lauda per la Natività del Signore di Ottorino Respighi per soli, coro, fiati e pianoforte a quattro mani data al 1930. In alcuni casi gli ottoni sono simbolicamente associati al suono della fanfara, come nel caso di O How Amiable (1940), anthem composto in origine per coro e military band da Ralph Vaughan Williams.
A partire dal secondo dopoguerra, il mondo musicale anglosassone ha contribuito in modo sostanziale a sviluppare questo tipo di repertorio: le formazioni corali e strumentali presenti in molti colleges inglesi e statunitensi sono state un mezzo fondamentale per veicolare nuovi linguaggi compositivi. Per organici di questo tipo hanno scritto sia grandi compositori universalmente riconosciuti, sia autori raramente eseguiti nel nostro continente, come gli statunitensi Norman Dello Joio (To Saint Cecilia del 1958 per coro e ottoni e Mass del 1969 per coro, organo e ottoni) e Vincent Persichetti (Celebrations - Cantata no. 3 del 1966 per coro e wind ensemble). Numerosi sono gli autori d’oltreoceano che anche ai nostri giorni dedicano attenzione al repertorio bandistico e a quello corale. La vasta gamma dei linguaggi musicali a loro disposizione spazia da quelli più vicini al mondo delle colonne sonore cinematografiche – ad esempio Kakehashi: that we might live del 2003, un documentario in musica composto da Stephen Melillo e ispirato alla Seconda guerra mondiale – a quelli legati alle grandi istituzioni accademiche statunitensi. È questo il caso di Brett Keüper Abigaña, autore di Miserere (2006) per voce narrante, coro e grande orchestra di fiati e di Symphony n. 1 Omnes Gentes (2012) per soprano, coro e symphonic band.

In riferimento al contesto europeo, il compositore inglese John Rutter ha dedicato particolare attenzione al coro, spesso affiancandolo ad accompagnamenti strumentali di varia natura (celebre il suo Gloria del 1974 per coro, ottoni, percussioni e organo). Anche Edward Gregson, suo connazionale, ha scritto lavori per differenti organici vocali e strumentali, tra i quali va ricordata la Missa Brevis Pacem del 1987 per solo, coro di voci bianche e orchestra di fiati.
I testi sacri, in particolare quelli dell’ordinario della messa secondo il rito romano della Chiesa cattolica e quello della messa di requiem, rappresentano ancora dei punti di riferimento importanti anche in questo repertorio corale/strumentale – cito a titolo di esempio il Requiem per soli, coro e orchestra di fiati (1995) dell’ungherese Frigyes Hidas.
Si percepiscono chiaramente il fascino e l’attrazione che questi antichi testi ancora esercitano, sia nelle opere che commemorano importanti avvenimenti d’attualità – è il caso di Memento mare (1995) dello svedese Csaba Deák (di origini ungheresi), scritto un anno dopo il tragico affondamento della “Estonia” nel Mar Baltico e che riprende il testo del requiem – sia nei lavori con intenti puramente celebrativi – come la Misa Sinfónica en honor a San Julián (2010) dello spagnolo Ferrer Ferran.
Per restare in ambito europeo, va senza dubbio menzionata la profonda innovazione che il repertorio bandistico ha avuto da alcuni decenni, in particolare nel nord del continente (Paesi Bassi, Belgio). Molti sono gli autori di musica per orchestra di fiati che hanno dedicato alcuni lavori anche al coro, spesso di genere sacro: tra le opere più conosciute e apprezzate da cori e bande amatoriali (e anche dal pubblico) vanno almeno citate la Missa Tornacum (1998) di André Waignein, la Missa Brevis (2002) e la Missa Katharina (2006) di Jacob de Haan.

Per una ricerca più ampia e approfondita è possibile consultare i tanti cataloghi reperibili su internet, con un occhio di riguardo a quelli espressamente dedicati al repertorio bandistico – ad esempio De Haske o Molenaar Edition tra i cataloghi europei e Scomegna Edizioni Musicali e Edizioni Musicali Wicky tra quelli italiani.
Il breve elenco di autori, opere e cataloghi musicali qui citato non ha alcuna pretesa di completezza, ma vuole rappresentare un piccolo contributo per approfondire la conoscenza e la divulgazione di un repertorio che serba molte e interessanti sorprese.

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