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Canto il tuo gesto
Neuroni specchio e direzione corale

di Vixia Maggini
dossier "Il gesto è già suono", Choraliter 58, maggio 2019

Il fare musicale corale, sia che si pensi all’azione di dirigere o al canto dei coristi, avviene nel corpo e attraverso di esso si esprime. Nel corpo prendono forma l’azione comunicativa, la comprensione, l’espressione e la condivisione di senso e significati tra co-performer attraverso la fisicità e la sensorialità del processo performativo. Il gesto direttoriale è più complesso di un semplice segno i cui significati possono essere attribuiti in maniera univoca.

Oltre infatti all’alfabeto gestuale “di base” che dà i riferimenti per dinamiche e agogiche, di grande importanza sono le impronte individuali e gli idiomi espressivi condivisi dalle singole comunità corali. La specificità dei singoli direttori e direttrici, infatti, se da un lato esprime una visione musicale e interpretativa individuale, dall’altro raggiunge il massimo della sua espressione in un fare musicale costruito all’interno di un sistema di relazioni stabile. Ogni coro, inteso come unione di coristi e direttore, è un microcosmo composto dalle esperienze individuali e collettive, dalle relazioni interne e con l’esterno ed è fortemente caratterizzato da temi e motivazioni particolari. Ogni coro è un complesso sistema dinamico, all’interno del quale sono attivi consolidati processi di comprensione reciproca finalizzati a dare vita a progetti espressivi musicali che, nel corpo di chi dirige e di chi canta, hanno il principale mezzo di richiesta e di realizzazione. In questo senso, una descrizione generica delle azioni fisiche direttoriali e dei processi di comprensione e resa espressiva corali può raggiungere solo un certo grado di accuratezza, che non rende conto dei canali privilegiati di comunicazione e intesa all’interno di un gruppo specifico, ma che può comunque illuminare la gestualità attraverso cui chi dirige si esprime e le modalità corporee attraverso cui chi canta comprende e dà forma alle richieste espressive ricevute.
La recente letteratura neuroscientifica sostiene questa lettura “corporea” della performance musicale con la scoperta della centralità del corpo nella comprensione reciproca di azioni e intenzioni.

Il sistema dei neuroni specchio – la cui scoperta è legata soprattutto alle ricerche del team di Giacomo Rizzolatti – ha dimostrato un ruolo fondamentale nell’apprendimento cognitivo, nella condivisione di sapere e nella comprensione delle intenzioni tra esseri umani. È grazie a questo sistema infatti che riconosciamo e comprendiamo scopo e realizzazione di gesti altrui attraverso una simulazione cerebrale interna delle azioni fisiche responsabili di quei gesti. Rizzolatti ha dimostrato che il sistema motorio è l’artefice della comprensione delle azioni altrui e che tale comprensione avviene su base empatica, ossia dentro di noi. Non solo, ma anche che i sistemi emozionali sono legati ai sistemi motori, che permettono dunque di comprendere azioni ed emozioni degli altri come se le avessimo compiute o provate noi stessi. Esiste dunque un tipo di comprensione motoria: un’azione o un’emozione non si comprendono solo con la visione o con l’intelligenza, ma attraverso l’azione, effettuata o simulata internamente. E si tratta di un tipo di comprensione non di second’ordine, ma completa, al punto che Rizzolatti utilizza il termine di concetto motorio per indicare una pluralità di gesti e movimenti realizzati anche con effettori diversi ma accomunati da uno stesso scopo (ad esempio il concetto motorio “prendere” rimane tale sia che lo si compia con la mano, la bocca o con uno strumento come la pinza).

Lo stesso Rizzolatti – nel recente In te mi specchio. Per una scienza dell’empatia scritto a quattro mani con Antonio Gnoli – ci ricorda che negli anni Sessanta Alvin Lieberman aveva avanzato ipotesi simili in campo linguistico. Come riusciamo a riconoscere una medesima sillaba ba ad esempio – anche se pronunciata da timbri e tipi vocali diversissimi tra loro (una giovane donna, un uomo anziano e, poniamo, un adolescente)? Lieberman ipotizza che la comprensione dei fonemi avvenga grazie alla nostra capacità di riprodurli e che l’ascolto di un dato fonema attivi il medesimo programma motorio responsabile dell’emissione dello stesso. Suono e articolazione gestuale di produzione – cavità orale, palato, lingua, laringe ecc. – formerebbero dunque un unicum. Grazie alle suggestioni dello psicoanalista Daniel Stern, il team di Rizzolatti ha poi allargato il proprio campo d’indagine dalle azioni a “come” le azioni vengono eseguite. Stern ha osservato infatti che il movimento ha un suo vissuto, un suo senso di vitalità e direzionalità, espresso da cinque proprietà (tempo, spazio, forza, traiettoria e direzione) che insieme formano una Gestalt – chiamata da Stern vitality form – capace di veicolare informazioni circa la tonalità emotiva relazionale tra agente dell’azione e persona verso cui l’azione è diretta. Evidentemente la capacità di interpretare e capire le vitality forms è di capitale importanza nelle relazioni interpersonali. Gli esperimenti del team di Rizzolatti sono riusciti non solo a identificare la regione del cervello che si attiva quando prestiamo attenzione a “come” un’azione viene eseguita, ma anche a scoprire che la stessa parte si attiva sia che immaginiamo di compiere gesti in una data modalità (rude o gentile ad esempio) sia che li realizziamo effettivamente. In questa regione c’è un meccanismo specchio che nella recezione codifica le vitality forms altrui, mentre a livello motorio modula le azioni secondo date modalità. Perché tutto questo è interessante per chi dirige e per chi canta? Perché possiamo legittimamente ipotizzare che il gesto sia in grado di sollecitare le aree cerebrali deputate alla realizzazione delle richieste espressive direttoriali e ritenere che l’efficacia gestuale risieda nella capacità di evocare fisicamente i processi corporei deputati alla loro concretizzazione vocale. Il corpo del direttore può allora esprimersi secondo modalità fisiche che per analogia evocano le modalità di produzione vocale e le intenzioni espressivo-musicali. Il riferimento alla tecnica di produzione vocale, di respirazione e dell’atteggiamento corporeo totale coerente e funzionale a una data realizzazione musicale e la loro traduzione in gesti e posture fisiche – oro-faringee, buccali, linguali, palatali, di appoggio e sostegno legate alla respirazione diaframmatica e al suo controllo – diventano così il veicolo di una comprensione nei co-performer che passa da una simulazione interna, fisica, della richiesta espressa. È possibile descrivere analiticamente l’ingaggio corporeo che tesse questo processo di simulazione interna e di comprensione reciproca attraverso diversi parametri che qui indicheremo brevemente ma che possono essere approfonditi nel mio Specchiarsi in un gesto. Uno studio etnomusicologico sulla direzione corale.

Il primo è il piano su cui si situa il movimento. Gli arti superiori possono orientare il gesto su un piano orizzontale, verticale, sagittale o su una loro combinazione; gli arti inferiori rendono possibili spostamenti laterali, sagittali o verticali attraverso il piegamento, cui si aggiungono le diverse possibilità di torsione e orientamento del busto. La scelta del piano in cui situare il gesto è caratterizzante a livello espressivo. La qualità del tono del coinvolgimento muscolare nelle sue diverse declinazioni, dall’attivazione all’irrigidimento, corrisponde a richieste consapevoli – talvolta a riflessi inconsapevoli – che caratterizzano fortemente le richieste espressive e tecniche agite dal direttore tramite il gesto e che possono ripercuotersi ad esempio sull’intensità del suono, sul timbro, sull’intenzione espressiva o sulla qualità della produzione vocale.

Il flusso del movimento inteso come qualità del movimento – consapevole o inconsapevole – che rende la gestualità ininterrotta o intermittente, a tratti scollegata, influisce sull’articolazione e sulla direzione della frase musicale, sulla produzione vocale, sull’intensità e sul timbro.
La gestione del peso corporeo – distribuito non solo verso il basso nelle gambe, ma anche nella disponibilità e ingaggio di arti superiori e spalle – nella gamma delle sue possibili intensificazioni o spostamenti, fino ai disequilibri, si riflette nella resa vocale dei coristi a livello tecnico ed espressivo.Il gesto direttoriale si rapporta poi con lo spazio e con l’aria circostanti in maniera non neutra, seppure talvolta irriflessa.
Possiamo intendere spazio e aria come materia viva di cui il gesto ha bisogno per definire se stesso in funzione della resistenza o della disponibilità che offrono. Naturalmente resistenza e disponibilità sono plasmate dall’attività evocativo-rappresentativa del direttore e non costituiscono caratteristiche fisiche reali attribuibili a spazio e aria, ma la loro varia declinazione è capace di aggiungere un’ulteriore dimensione espressiva al movimento corporeo. Seguendo gli studi dell’antropologia culturale, in particolare quelli di Ashley Montagu, possiamo considerare anche il tatto come un parametro capace di esprimere significati affettivi, poiché l’utilizzo, soprattutto ma non solo, attraverso la gestualità manuale di metafore e rinvii tattili a contatti, consistenze e tessiture conferisce al gesto direttoriale una potenza evocativa capace di caratterizzare le richieste musicali. Il respiro infine muove il corpo del direttore, animandolo internamente di quell’espressività che desidera incarnare e improntando di sé le azioni fisiche che di quell’intenzione sono forma. La coerenza di respiro e gesto, la fluidità del respiro come l’apnea, voluta o meno, divengono allora elementi non secondari della performance musicale.

Il processo di comunicazione performativo è dunque reso possibile da sistemi cognitivi di natura partecipativa, orientati verso una costruzione di senso sempre in relazione con gli altri. Il sistema dei neuroni specchio costituisce infatti un ponte di comprensione tra il “fare” e il “comunicare” che coinvolge in egual misura attività mentale e azione fisica. Dal punto di vista della comunicazione performativa la consapevolezza che gli stati corporei ed emotivi costituiscono un tutt’uno con le azioni fisiche aggiunge un ulteriore livello di profondità all’importanza che ha per l’attività direttoriale l’incarnare intenzioni espressive e musicali attraverso il movimento e le sue qualità.

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