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Il canto è comunicazione
intervista a Andrea Venturini

di Mauro Zuccante
Dossier compositori, Choraliter 57, gennaio 2019

Aosta, luglio 2001, se non ricordo male. Corso residenziale per compositori organizzato da Feniarco. La memoria, Andrea, non può che andare alla prima edizione del corso Comporre per coro oggi, così si chiamava, allora. In quell’occasione ci siamo conosciuti. Un’esperienza, da cui ha preso il via un confronto tra idee pratiche e percorsi artistici, che ha coinvolto e avvicinato una generazione di compositori italiani. Tu sei stato fra i più attivi del gruppo. Parla del tuo vissuto in quella circostanza.

Ricordi bene! Tu curavi l’atelier di elaborazione corale mentre Giovanni Bonato seguiva le composizioni originali. L’esperienza è stata per me importante. Io provengo dal profondo Nord-Est, quel Friuli fertile dal punto di vista corale ma, fino a qualche decennio fa, legato prevalentemente a un repertorio tradizionale e folcloristico. La coralità cosiddetta amatoriale rappresentava un target particolarmente difficile per quel compositore che desiderava discostarsi, anche solo leggermente, da quei linguaggi convenzionali che tendono a perpetuare tecniche compositive tipiche della seconda metà dell’Ottocento. I miei inizi si collocano senza indecisioni nel mondo “tradizionalista” appena citato, ma la curiosità mi ha spinto a cercare soluzioni diverse portandomi ad avventurarmi nella sperimentazione di tecniche contemporanee. Comporre per coro oggi ha offerto la possibilità di aprire notevolmente i miei orizzonti grazie al clima di ricerca, al confronto con le idee, i percorsi, gli stili di compositori provenienti da tutta Italia e dall’estero e grazie al fatto di poter disporre di un ottimo coro laboratorio che, in tempo reale, rendeva possibile sperimentare ricercate soluzioni timbriche e armoniche. Ho frequentato quattro edizioni dei seminari aostani e la bontà dell’esperienza è testimoniata dal fatto che due brani, da me composti ad Aosta, hanno riportato importanti riconoscimenti: Geburten ha ricevuto il quarto trofeo di composizione C.A. Seghizzi mentre Kyrie eleison! è stato selezionato tra i cinque brani finalisti nella quinta edizione dello stesso concorso. Al di là dei risultati musicali, i seminari di Comporre per coro oggi mi sono rimasti nel cuore anche per la generosità e sincerità dei rapporti umani che a Aosta si sono creati.

Consentimi una deviazione sul lato umano. Mi ha impressionato il tuo racconto legato al terremoto del Friuli del 1976. Mi chiedo se quel drammatico evento, che hai vissuto in prima persona, da ragazzo, con i suoi istanti angosciosi e poi gli anni della ricostruzione, abbia lasciato tracce nel tuo percorso artistico; e se, più in generale, ritieni che quel grave avvenimento abbia influito sulla realtà culturale e musicale del tuo territorio.

Non ci sono stati lutti nella mia famiglia; abbiamo però avuto la casa e l’attività commerciale di mio padre completamente distrutte. Sono seguiti l’esodo negli alberghi di Lignano Sabbiadoro, il lungo periodo di vita nei prefabbricati provvisori, la ricostruzione. Molti anni sono passati prima che la vita quotidiana ritornasse a normalizzarsi. La situazione, sia emotiva che economica, non poteva non lasciare, a me come a tutta la popolazione colpita, dei segni difficilmente cancellabili. Considera che, dalle mie parti, lo scorrere del tempo si divide ancora in prima e dopo il terremoto! Questi drammatici momenti di vita hanno, probabilmente, fatto maturare in me una particolare sensibilità che ha segnato anche il mio percorso artistico, a più riprese interrotto, costringendomi a posticipare tutte quelle esperienze, studi, seminari, viaggi, che sarebbe stato normale fare a vent’anni. Paradossalmente mi sento di affermare che la realtà culturale del Friuli ne sia uscita rafforzata. L’attenta ricostruzione ha consentito di realizzare nuovi teatri, auditorium, mentre la popolazione è stata scossa anche dal torpore culturale, facendo riscoprire coesione e solidarietà sociale. Nell’immediato post-sisma sono sorti molti cori ma anche orchestre, scuole di musica e l’attività concertistica ha conosciuto una notevole espansione.

Ma facciamo, ora, un passo indietro. Risaliamo al tuo apprendistato musicale giovanile e alle occasioni che ti hanno avvicinato alla musica corale. Racconta. 

Il canto ha accompagnato la mia vita fin dall’infanzia. Nella banda del mio paese sono iniziati i miei primi studi musicali ma ricordo che, già allora, ero stato chiamato a far parte della corale parrocchiale, unico bambino tra gli adulti. Iniziati gli studi di pianoforte, la mia attività è proseguita sempre in ambito parrocchiale, dove ho iniziato ad accompagnare le funzioni religiose e a occuparmi della corale giovanile. Nel frattempo ero entrato a far parte del coro locale, dove ho militato diversi anni. La formazione alla direzione corale è avvenuta attraverso i corsi, allora ottimamente organizzati, dell’Unione Società Corali Friulane. Il primo coro adulto che ho guidato è stato il Coro Glemonensis di Gemona del Friuli ed è conseguente alla direzione di questo coro che, per motivi strettamente pratici, sono iniziati i miei primi lavori di adattamento ed elaborazione. L’esigenza di disporre di un mezzo di comunicazione artistica era però iniziata in me molti anni prima; fin da giovanissimo dipingevo e mi è capitato di esporre in gallerie e mostre i miei lavori; ma è nella musica corale che ho trovato il mezzo di comunicazione ideale alle mie esigenze espressive. I miei studi di composizione non hanno seguito un percorso accademico ma si sono avvalsi dell’insegnamento di numerosi docenti, dai quali ho cercato di carpire non solo le conoscenze tecniche ma anche la passione, l’umanità e la sensibilità che guidavano il loro lavoro; ricordo con piacere Albino Perosa, che mi ha fornito i primi rudimenti del contrappunto e mi ha spronato nella composizione, Stefano Procaccioli che mi ha avviato ai linguaggi contemporanei, Franco Donatoni che mi ha aperto a mondi sonori nuovi, fino a Giovanni Bonato che ha influito sulla mia più recente produzione musicale.

Le affermazioni nei concorsi di composizione (tra le più importanti a Gorizia e in Vaticano) hanno contribuito a farti conoscere sulla scena musicale. Secondo te, la partecipazione a questo tipo di competizioni produce altri benefìci, oltre alla notorietà? Effetti positivi, che possono evolversi e durare nel tempo? Insomma, vale la pena partecipare ai concorsi?

Più precisamente il Trofeo di composizione al concorso Seghizzi di Gorizia e il Concorso internazionale "Francesco Siciliani" promosso dalla Fondazione Perugia Musica Classica in collaborazione con il Pontificio Consiglio della Cultura. Il più grande compositore friulano dell’Ottocento, Jacopo Tomadini, ha iniziato la sua attività proprio con i concorsi, affermandosi a Nancy, Parigi e Firenze. Come potrei sconsigliare, quindi, la partecipazione ai concorsi? Successivamente il Tomadini potrà annoverare circa trecento composizioni, tra cui nove messe, centocinquantuno mottetti, sequenze, salmi… Certamente se si fosse limitato ai concorsi vinti non gli avrebbero intitolato il conservatorio di Udine! Ecco quindi che i concorsi possono costituire un notevole stimolo, soprattutto per i più giovani, che però non deve essere che l’inizio di un più ampio percorso musicale, che generalmente impegna tutta la vita. Non sono moltissimi i concorsi a cui ho partecipato. Vi ho partecipato solamente quando ero convinto di avere sottomano una composizione di un certo interesse e anche per me voleva essere un modo per verificare se le mie convinzioni potevano trovare conferma agli occhi di una giuria di esperti. Fortunatamente questa conferma l’ho avuta in diverse occasioni, cosa che mi costringe a proseguire in questa bella e impegnativa attività.

Credo che nel tempo la tua scrittura musicale sia maturata e abbia acquisito una serie di peculiarità di linguaggio e forma. Prova, alla luce dei tuoi lavori più recenti e significativi, a delineare il tuo profilo stilistico.

L’evoluzione della scrittura dovrebbe far parte di un normale e comune percorso di maturazione e in questo non faccio eccezione. Come dicevo sono partito dal linguaggio tonale, rivolto prevalentemente ai cori amatoriali, con composizioni semplici anche se, mi auguro, non banali e frutto di una attenta ricerca armonica. Sono di allora i primi premi ricevuti ai concorsi di composizione Falivis (Uscf) e Giso Fior. Successivamente ho via via iniziato ad avvicinarmi a un linguaggio armonicamente più libero, fino ad abbandonare i vincoli tonali, la notazione tradizionale, ad avvicinarmi a pratiche aleatorie. L’incontro con Giovanni Bonato mi ha condotto sulla strada della spazializzazione del suono, alla ricerca di effetti generati dagli echi dell’ambiente e dallo sviluppo dei suoni armonici. Stilisticamente potremmo definirla una moderna visione della spezzatura del coro, nata molti secoli fa nei fiorenti centri musicali veneti. Forse non è un caso che sia Giovanni Bonato che io proveniamo dal Nord-Est. Penso comunque che in molte mie composizioni emergano alcuni tratti tipici dei friulani: il pragmatismo, la sintesi, anche una certa asprezza che spero compensata dalla trasparenza dei sentimenti. 

Come compositore – ma anche come direttore di coro e didatta – dedichi un’attenzione speciale alla coralità infantile e giovanile. Parla di questo particolare aspetto della tua attività. 

La voce costituisce uno dei centri vitali del sistema di comunicazione dell’uomo. Attenzione e memoria, stimolate in funzione della voce che canta, sono decisive per acquisire competenze necessarie non solo in ambito musicale, ma capaci di influenzare positivamente altre componenti dell’apprendimento riguardanti il linguaggio, la motricità e le funzioni logiche. Sono queste alcune delle ragioni che rendono la pratica corale così importante, soprattutto per i bambini. Questo pensiero mi ha fatto sempre riservare un’attenzione particolare alla diffusione del canto tra i più giovani. Numerosi sono stati i miei interventi nelle scuole finalizzati a questo scopo, soprattutto nei miei anni giovanili. Già allora semplici composizioni a tema erano frutto della mia penna. Più recentemente ho avuto modo di curare, per Usci Fvg e Società Filologica Friulana, una raccolta di canti friulani di tradizione orale per bambini che ha dato il via a una interessante collana di canti tradizionali del Friuli Venezia Giulia, riservati ai bambini. Questa esperienza, unita al desiderio di far cantare mia figlia in un coro e la mancanza di formazioni infantili nelle vicinanze, mi hanno portato a fondare alcuni anni fa il Coro Voci Bianche del Friuli. Avevo già da tempo abbandonato l’attività di direttore ma l’occasione mi ha stimolato a rimettermi in gioco con rinato entusiasmo. Le prime occasioni per occuparmi di composizioni per voci bianche mi sono state offerte dalla collana Giro Giro Canto. È cosi che è nato Neve su testo di Giovanni Pascoli, brano che penso sia ancora la più nota tra le mie composizioni. La direzione di un coro stabile di voci bianche non poteva che darmi le motivazioni per aumentare la produzione per i cori infantili. Sono seguiti infatti numerosi altri canti per bambini e alcune operine per coro e orchestra, eseguite con entusiasmo dal mio coro.

Una parte significativa della tua produzione è strettamente legata al contesto friulano. Una tradizione corale, quella friulana – non dimentichiamolo – ricchissima nelle espressioni colte e, diciamo così, nel folclore. Quali sono i tuoi riferimenti in ambito musicale e, più in generale, storico, poetico, letterario, legati alla tua terra?

Gran parte della mia prima produzione è legata a composizioni in lingua friulana. Il Friuli, come giustamente ricordi, può vantare una grande tradizione corale. Centinaia sono le villotte friulane di tradizione orale che ci sono state tramandate, dalle quali hanno attinto un grande numero di compositori dal Novecento fino ai nostri giorni, dando vita alla villotta friulana d’autore. Ricordo solo qualche nome tra le decine che potrei fare: Arturo Zardini, Tita Marzuttini, Cesare Augusto Seghizzi, fino ai più recenti Mario Macchi e Davide Liani. Penso che i miei brani in friulano si possano collocare nella prosecuzione di questo filone, seppure, mi auguro, conducendolo un po’ al di fuori delle formule della convenzionalità. Alcuni di questi compositori erano soliti scrivere il testo, come ad esempio Arturo Zardini, mentre altri hanno attinto le liriche in friulano da un’altrettanta nutrita schiera di poeti. Nella terra di Pasolini, anche in tempi moderni i poeti e i letterati hanno continuato e continuano ad arricchire i nostri cuori e le nostre menti. Su tutti vorrei ricordare Pierluigi Cappello, scomparso troppo presto lo scorso anno. Ho conosciuto personalmente Cappello molti anni fa e ho musicato alcune sue liriche sia in friulano che in italiano, riconoscendo in lui, allora ancora sconosciuto, la stoffa del grande poeta. Non mi sbagliavo! Sarà certamente ricordato come uno dei più grandi poeti del xxi secolo. Parallelamente al percorso musicale folcloristico intrapreso da molti nel Novecento, non meno importante è la produzione colta e sacra di un numero altrettanto ampio di compositori friulani. Non posso dire che questa produzione sia stata un riferimento, ma sicuramente qualche segno è rimasto ben inciso nel profondo della mia memoria. Non penso sia cosa di poco conto che, dei miei anni infantili nella cantoria parrocchiale, suonino ancora alle mie orecchie l’Exultate Deo di Giovanni Battista Candotti, o alcune delle messe di Giovanni Pigani. In epoca più recente ho apprezzato molto la grandissima produzione, sia sacra che profana, di don Albino Perosa e la modernità delle composizioni di Piero Pezzè che, partito da ambiti impressionistici di scuola francese, si accostò alla musica atonale, seriale e dodecafonica, pur rimanendo legato al patrimonio storico e alla tradizione musicale friulana.

Infine, Andrea, sei spesso chiamato, in qualità di esperto, a far parte di giurie e commissioni d’ascolto di cori. Le tue competenze e la tua sensibilità ti inducono a privilegiare qualche risvolto specifico dell’esecuzione corale (tecnica vocale, interpretazione, repertorio…), o preferisci valutare una performance per la sua efficacia musicale complessiva?

Nei concorsi corali le giurie tendono a valutare con particolare attenzione le caratteristiche oggettive o più facilmente oggettivabili: precisione nell’intonazione, qualità vocali, rispetto della partitura.I l valore dei cori è imprescindibilmente legato a queste peculiarità che anche io valuto con molta attenzione. Non dimentico però che il canto è comunicazione. È possibile parlare con grande padronanza della lingua, utilizzando termini forbiti e frasi accattivanti ma non essere in grado di trasmettere con convinzione le proprie idee. Lo stesso succede nel canto. Ecco che allora acquista molta importanza la musicalità, la comunicativa e la sensibilità del coro, quasi sempre specchio del suo direttore. È allora che la tecnica si pone al servizio della musica, consentendoci di apprezzare appieno il grande patrimonio corale di cui abbiamo la fortuna di disporre.

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