Come è nata l’idea di fare teatro con le voci?
Noi veniamo dal teatro. Dal musical. Abbiamo studiato e fatto quello nelle nostre vite precedenti. Assieme avevamo iniziato un percorso studiando i classici del teatro musicale italiano del secolo scorso. Cominciando dal caffè chantant, Petrolini, molti altri fino ad arrivare al Quartetto Cetra. E scoprire che esisteva un modo balzano per coniugare armonizzazioni vocali e comicità. Due cose che ci trovavano parecchio in sintonia.
Sentite di appartenere più al teatro o al musical?
Non c’è differenza fra le due cose. Nel teatro da secoli ci si esprime col corpo, con la voce, recitando, ballando, cantando. La distinzione è nociva. Chi fa musical deve recitare attraverso la parola e il corpo. Ogni attore deve, anzi dovrebbe, essere ben preparato in tutte le discipline.
Avete dei particolari modelli a cui avete fatto riferimento?
I Cetra te li ho già detti. Siamo stati, e siamo, appassionati gaberiani. Per il rigore che ci ha insegnato nello scrivere i testi e metterli in scena. Siamo Monty Pythoniani per la follia liberatoria che hanno portato nel mondo. Ma siamo anche tante altre cose. Cerchiamo continuamente confronto con altre realtà/modelli. Nel teatro, nella musica, nella scrittura.
Quali sono stati i vostri percorsi musicali?
Ciò che ci accomuna è un percorso teatrale. Passando tutti, fra le altre cose, dalla BSMT, Accademia di Musical di Bologna. In quella sede peraltro si impara a lavorare duramente anche a livello musicale e corale. Poi ognuno ha i suoi percorsi. Gli altri quattro Oblivion hanno esperienze varie e improbabili con strumenti a fiato, spesso in banda. Francesca ha studiato anche pianoforte. Io ho iniziato come chitarrista, diplomandomi in conservatorio una ventina, ahimè, di anni fa. Poi ho seguito altre strade nella musica corale da camera, nella musica antica rinascimentale e medievale che a un certo punto ho coniugato con l’heavy metal in un progetto abbastanza strampalato. Comunque tanti percorsi accidentati che hanno lasciato traccia anche nel repertorio Oblivion.
Vi considerate un coro?
No. Per rispetto dei cori. E dei gruppi a cappella. Però facciamo dei cori. Può bastare?
Come lavorate sull’amalgama vocale di cinque solisti?
Facendo ore di prove. Anche perché rimaniamo degli attori cantanti, non un gruppo a cappella. Per cui quando ci salta in mente di fare qualcosa di strano e virtuoso dobbiamo lavorare il triplo.
E che rapporto avete con la coralità?
Ci piace molto. Ci stressa anche quando non viene bene. Ci chiediamo anche chi ce l’ha fatto fare. Ma poi puntualmente ci ricaschiamo.
Quali difficoltà si nascondono dietro questa apparente leggerezza e divertimento dal punto di vista vocale?
Tante difficoltà. Quasi sempre sormontabili col duro lavoro. Però stiamo diventando anziani.
Come avete lavorato sul movimento in scena?
Con Giorgio Gallione che è il nostro insostituibile regista anche nel nostro ultimo show, il musical originale La Bibbia riveduta e scorretta. E con Francesca che più che una coreografa è un’OSS, un’assistente sociale. Data la nostra proverbiale bravura come ballerini.
Qual è l’idea che sta alla base della vostra tipologia di performance?
L’idea che anche fare i pirla sul palco va fatto seriamente.
Come riuscite a essere così comunicativi?
Due di noi sono laureati in Scienze della Comunicazione :))
Nell’ultima produzione La Bibbia riveduta e scorretta vi siete dedicati al tema del sacro con brani originali. Nell’atto della performance il fatto di presentare vostre composizioni ha influito?
È bello. È anche un vantaggio perché abbiamo potuto scrivere canzoni appositamente per ogni snodo scenico. E la cosa paga. E poi cantare tutte le sere per quattro mesi la stessa canzone assume un senso maggiore se è una cosa che hai contribuito anche tu a creare.