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Ma il coro che fa? Balla!
L’esperienza di Cinzia Zanon

di Katia Spoldi
dossier "Coro e movimento", Choraliter 47, agosto 2015

Se nell’immaginario comune è normale aspettarsi che un coro canti, è sicuramente sorprendente scoprire che un coro può anche ballare. Nel vicentino i cori, almeno due sicuramente, ballano eccome! Abbiamo chiesto al maestro Cinzia Zanon, direttrice di Gioventù in cantata di Marostica e di Giovani Voci Bassano di Bassano del Grappa, di raccontarci la sua esperienza. 

Sei stata sicuramente pioniera nell’introdurre il movimento nelle esibizioni delle tue formazioni corali. Come e perché hai scelto di portare la tua attività, in ambito corale, verso questa innovativa direzione?

L’avvicinamento alle metodologie didattiche Orff e Dalcroze, la conseguente formazione e l’incontro con docenti specializzati alla fine degli anni ’80 sono stati per me una scoperta, una vera rivelazione. L’entusiasmo per questo nuovo, all’epoca, approccio alla musica mi ha spinto a mettermi in gioco. Da subito ho avuto la forte percezione di quanto fosse importante il coinvolgimento del corpo nell’attività musicale. La possibilità di sperimentare su me stessa gli effetti benefici, in termini di apprendimento, coinvolgimento e coordinazione, dell’attività motoria legata al “fare musica”, è stata determinante per credere fortemente nel suo valore e nella sua applicazione. La curiosità ha fatto il resto: studio, ricerca, sperimentazione sono stati compagni sempre presenti, allora come adesso!

Come sei riuscita a introdurre l’associazione del movimento e delle spazializzazioni al canto?

Negli anni ’90, nei corsi di propedeutica musicale con i bambini dai 4 ai 7 anni, ho mantenuto l’elemento motorio sempre presente: danze strutturate, danze cantate, giochi ritmici in movimento, ecc. Agli inizi con il coro, invece, non ho osato molto. Ero preoccupata da tanti altri aspetti. Alcuni brani, ricordo, mi permettevano di inserire il semplice battito di mani o di piedi sviluppando nei ragazzi un coordinamento ritmico-motorio non proprio scontato. I gesti suono, sempre più complessi, sono stati una buona palestra. È stato un lungo percorso di maturazione e sperimentazione; non avevo modelli di riferimento. Quando ho introdotto i primi movimenti, cercavo di abbinare mosse e gesti semplici ma efficaci, volti a sottolineare il contenuto del testo: è stato il tempo dei miei piccoli atti creativi! Anche i ragazzi in un primo tempo venivano coinvolti nell’individuare movimenti adeguati e sensati. Pensavo ed elaboravo, anche con il loro contributo, semplici coreografie.Ho avvertito presto, però, l’esigenza di strutturare maggiormente questo nuovo elemento in quanto la sua qualità poteva pregiudicare la resa stessa del brano. Disciplina e competenze specifiche cominciarono ben presto a essere necessarie e anche se il cantare bene è sempre stato l’obiettivo prioritario, ho cercato di dare il giusto spazio e valore al movimento laddove il brano o il progetto al quale stavo lavorando lo permettevano.Un incontro illuminante è stato, nel settembre del 2006, quello con le AGC (Australian Girls Choir), un gruppo di ragazze australiane tra i 10 e i 17 anni. Abbiamo ospitato questa compagine a Marostica tre volte e in ognuna di queste occasioni ho potuto godere, in qualità di spettatrice, di performance coinvolgenti, divertenti e di grande impatto. Vedere e ascoltare queste ragazze, percepire ed essere invasa dal loro grande piacere e dalla loro gioia nel fare musica è stato per me fonte di riflessione che mi ha dato quella spinta necessaria per inoltrarmi ulteriormente e in profondità nel percorso di associazione del movimento al canto.

Negli ultimi anni, con i tuoi ragazzi, hai presentato al pubblico alcuni spettacoli veri e propri dove sei stata capace di fondere insieme capacità canore, coreutiche, scenografiche e talvolta teatrali, come sei arrivata a raggiungere questo significativo traguardo?

Tra il 2006 e 2007 abbiamo allestito l’opera natalizia Emmanuele Dio con noi. Ho chiesto aiuto a due insegnanti di danza: è stato un lavoro importante, bello ma al contempo faticoso. Ho lavorato insieme a loro, fianco a fianco; non conoscendo le esigenze del cantore ero sempre presente nel far prendere forma alle coreografie, evidenziando cosa poteva essere funzionale al canto e cosa no. Non era forse la strada giusta, ma l’allestimento è servito per capire quanto tempo ulteriore e quanta disciplina erano necessari per raggiungere un certo tipo di risultato. Al di là del favore del pubblico che aveva accolto con grande entusiasmo la proposta, ho visto nei ragazzi crescere la fiducia e l’interesse per questa nuova sfida.
Da allora di strada ne abbiamo fatta davvero tanta! Fondamentale è stato il coinvolgimento di Alberto Cenci (ex cantore, musicista e amante della danza) e Giulia Malvezzi (corista e docente di danza); sono loro che seguono da alcuni anni la formazione del gruppo dal punto di vista coreutico e con loro sta diventando sempre più chiara la strada da percorrere e le modalità di approccio da seguire per ottenere il massimo rendimento con uno sforzo adeguato. Negli anni abbiamo realizzato diversi spettacoli
(I ragazzi che si amano, I believe, Adiemus, In nome di Maria, Smile) e partecipato alla messa in scena di opere importanti, in primis Pinocchio (nel 2008 e 2010) e La Regina delle nevi (nel 2011) di Pierangelo Valtinoni. 

Non pensi che l’introduzione del movimento possa in qualche modo penalizzare la resa dell’esecuzione canora?

Ovviamente non tutto il repertorio corale si presta a essere utilizzato per realizzazioni di questo tipo. Non ho dubbi sul fatto, però, che il “movimento corale” amplifichi e rafforzi tutti i valori insiti al cantare insieme. È sempre stato chiaro per me che il movimento deve essere un valore aggiunto che nulla deve togliere al bel canto, ma l’energia che si crea è assolutamente straordinaria!

Quali sono state le prime reazioni dei ragazzi? Quali difficoltà hai incontrato e quali vantaggi hai ottenuto negli anni da questo tipo di esperienza?

I ragazzi hanno risposto bene e con entusiasmo, soprattutto i più piccoli che, privi di inibizioni, si sono messi in gioco vincendo eventuali titubanze. Rapportarsi con il proprio corpo, lo spazio, i compagni è stata una nuova sfida che va ben oltre al fatto di fare i movimenti giusti. Prendere confidenza con il proprio corpo, avere consapevolezza dell’io in movimento in rapporto con lo spazio, spesso diverso, e con i propri compagni, è un buon modo per tracciare un sentiero che porta all’autostima, alla sicurezza, alla morbidezza, alla fluidità, alla leggerezza, all’attenzione, all’adattabilità, alla concentrazione, al piacere, alla bellezza, all’armonia, all’ordine e all’equilibrio.I bambini che hanno vissuto sin dall’inizio le sperimentazioni legate al movimento, grazie alla loro curiosità, passione e crescita, hanno sviluppato una certa facilità e naturalezza nel farlo.

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