Cookie Consent by Free Privacy Policy website

Voci che danzano, corpi che cantano

di Marta Raviglia
dossier "Coro e movimento", Choraliter 47, agosto 2015

Raccontare la voce è sempre molto difficile perché si tratta di uno strumento di straordinaria complessità che si è evoluto, rispetto a quell’incredibile macchina che è il corpo umano, in maniera del tutto originale. Infatti la laringe, ovvero lo scrigno delle corde vocali, è uno sfintere che si aziona ogni volta che compiamo un’azione impegnativa dal punto di vista del dispendio energetico: nel sollevare un peso, nel defecare o nel partorire, per esempio, essa si mette immediatamente in moto coadiuvando il compimento dello sforzo stesso.

È per questo che i nostri antenati non hanno sempre articolato dei suoni organizzati, che potremo definire più semplicemente parole: hanno incominciato a farlo proprio quando la laringe ha assunto all’interno del cavo orale la posizione attuale, così detta bassa. In quel momento si è passati dalla produzione di suoni sfinterici a quella di suoni organizzati e, così, ha avuto origine il linguaggio verbale.
I nostri antenati, tuttavia, riuscivano a comunicare in modo estremamente efficace anche quando non erano ancora in grado di parlare: il corpo veniva in loro aiuto con possibilità espressive pressoché infinite dal punto di vista gestuale e anche dal punto di vista sonoro. Non essere in grado di pronunciare una parola non vuol dire necessariamente non essere in grado di produrre dei suoni; ancora oggi, infatti, gli esseri umani possono lasciare intendere molte più cose con un grido o un sospiro, con un gesto della mano o con un certo atteggiamento posturale che descrivendo a parole il proprio stato d’animo. Le parole, alle volte, possono essere traditrici: in questo senso, posso affermare che qualcosa mi piace, anche se in realtà non è così, perché magari non voglio offendere o ferire il mio interlocutore. Il corpo, invece, non mente mai e quello stesso interlocutore potrebbe percepire il mio disagio dal modo in cui la frase è stata pronunciata e dalla gestualità che l’ha accompagnata. Questa modalità comunicativa prende il nome di comunicazione non verbale e comprende anche il canto inteso nel senso più ancestrale del termine.
Se il corpo, allora, non mente neanche la voce può mentire poiché la voce è il corpo e attraverso voce e corpo si manifesta l’alternanza degli stati emotivi cui siamo sottoposti. Il motivo per cui sulla faccia della terra non esistono due voci umane perfettamente identiche tra loro è dovuto al fatto che non esistono due persone altrettanto identiche dal punto di vista della struttura ossea e muscolare. La voce è unica perché unico è il corpo che la genera e che la nutre e avendo noi esseri umani corpi con forme più o meno palesemente diverse anche le nostre voci lo saranno di conseguenza. Per questo motivo spesso si commette l’errore di identificare e localizzare la voce solo con gli e negli organi che compongono l’apparato fonatorio dimenticando, invece, che si muove nel corpo e condivide con esso ogni forma di tensione muscolare ed emotiva.
Purtroppo la maggior parte degli occidentali sono vittime della dualità di matrice cristiano-giudaica tra anima e corpo per cui si sperimenta una sorta di scissione culturale tra ciò che compete l’anima e, conseguentemente, l’intelletto, i cui prodotti sono in genere considerati di grande valore, e ciò che compete il corpo che, al contrario, produrrebbe in quest’ottica materia qualitativamente meno rilevante. Al di là di possibili e pericolosissime generalizzazioni a riguardo, la dicotomia anima-corpo, da un punto di vista puramente performativo, è estremamente dannosa poiché è impossibile pensare di avere una voce libera quando il corpo è in gabbia.
Se, dunque, è vero che la voce si muove nel corpo, sarà altrettanto vero che ogni qual volta questa incontrerà un ostacolo, ossia una qualche forma di tensione, dovrà interrompere bruscamente o rivedere con degli aggiustamenti di vario tipo il suo percorso di proiezione verso l’esterno col risultato che certi passaggi saranno più macchinosi oppure che, nel peggiore dei casi, verrà meno il piacere nel cantare.
In virtù di ciò, non si può non prescindere dalla presa di coscienza per cui le tensioni dell’essere passano inevitabilmente attraverso il corpo e, dunque, la voce, che diventa così lo specchio dell’anima. Innegabile è una certa tendenza da parte dei cantanti a somatizzare la preoccupazione, ovvero l’ansia da prestazione, sviluppando le più svariate patologie dell’apparato fonatorio: si può passare da un semplice raffreddore o da un generico mal di gola, alle più fastidiose tracheite, laringite, faringite. Non è un caso che, tra gli atleti, i calciatori hanno spesso infortuni alle ginocchia o alle caviglie, i tennisti alle spalle o ai polsi: alla luce di ciò, il tallone d’Achille di un cantante è normalmente identificato con l’apparato fonatorio che, del resto, sarà soggetto a queste e altre patologie finché lo si continuerà a investire di quell’aura sacrale che ha sempre avuto nella didattica del canto. Senza nulla togliere all’importanza della conoscenza dei raffinatissimi meccanismi fono-articolatori che regolano la produzione del suono, così come delle cavità di risonanza in cui indirizzarlo per renderlo più ricco e modulabile e delle varie modalità respiratorie, si ritiene opportuno in questa sede partire, nello studio della voce e del canto, proprio dal corpo nella sua globalità attraverso un processo di reintegrazione tra le emozioni e la loro manifestazione concreta. Ed ecco che il movimento viene in nostro aiuto.

Ho incominciato a interessarmi di teatro, danza, movimento creativo, espressione corporea, ritmica Jaques-Dalcroze, bioenergetica e altre valevoli discipline quando è sopraggiunta la consapevolezza che la mia voce, molto duttile ed estesa per natura, non si muoveva serenamente nel corpo che percepivo, con grande imbarazzo, più nel suo ingombro e nella sua presunta goffaggine, che nel suo potenziale espressivo. Ed è stato così che ho intrapreso un cammino di ricerca lungo, lento e doloroso che ancora oggi porto avanti e che ha avuto delle conseguenze radicali sulla vita personale e sulle scelte professionali. Cantare in movimento mi ha permesso di conoscere sempre più a fondo il mio strumento, che è la voce, che è il corpo, che sono io stessa. Cantare è conoscersi. Cantare col corpo tutto è godere della bellezza di cui si è capaci e imparare a condividerla. È farsi musica e darsi all’altro da sé. È donare. È amare.

Tradizionalmente nello studio del canto ai classici esercizi di respirazione e vocalizzazione viene affiancato il lavoro sulla postura, ossia su quel modo di stare che permette al cantante di sviluppare una profonda consapevolezza dei micro-meccanismi muscolari interni che sono alla base della produzione del suono.
Quando si insegna a stare in postura si pone l’accento sull’importanza del radicamento, da parte di piedi e gambe; sulla rotazione del bacino, che permette l’allineamento dell’asse testa-collo-colonna vertebrale e che attiva la catena dei diaframmi e permette la creazione della colonna d’aria; su una certa flessibilità del busto; sull’apertura dello sguardo. Tuttavia, per quanto si ricerchi nella postura una certa morbidezza, spesso si finisce con lo sviluppare delle tensioni in eccesso che vengono inevitabilmente trasferite anche sulla voce.
Fare esperienza del movimento, nel riscaldamento quotidiano della voce, permette in concerto di cantare in qualsivoglia posizione avendo sempre presenti le potenzialità espressive del nostro strumento ed evitando un’eccessiva dispersione dell’energia che può corrispondere, tra le altre cose, a un’intonazione non sempre precisa, all’impossibilità di gestire le modulazioni timbriche e dinamiche, a delle oscillazioni sostanziali sul tempo dato. Sperimentare la gioia del movimento equivale a sperimentare la gioia di un canto libero e autentico, in cui si assiste alla corrispondenza della persona con la sua stessa voce.
Il movimento potenzia, infatti, la percezione del corpo nello spazio e della risonanza del suono a seconda della posizione che viene assunta e a seconda degli spostamenti che si effettuano. Fare musica attraverso il movimento vuol dire comprendere appieno la relazione dalcroziana spazio-tempo-energia. Tutto ciò tradotto a livello interpretativo può voler dire: canto quello che sento così come lo sento nel pieno delle mie facoltà, dunque, canto me stesso nella musica e per la musica.
Riappropriarsi del potenziale espressivo del corpo, allora, vuol dire ritrovare il proprio centro che è anche il centro reale dello strumento corpo: ovvero il bacino, snodo di fondamentale importanza rispetto alla nostra struttura interna-esterna. Il bacino, di fatto, collega la parte inferiore con la parte superiore del corpo ed è la sede degli organi genitali, strettissimamente imparentati con l’apparato fonatorio. La laringe è, a tutti gli effetti, un organo genitale secondario che giunge a maturazione nel momento in cui l’essere umano acquisisce la maturità sessuale: questo è il motivo per cui la voce, durante lo sviluppo, da bianca diviene adulta. Quindi cantare liberamente, ossia cantare col corpo, fornisce una sensazione di profondo piacere, benessere e, molto spesso, di liberazione: ecco perché molte persone manifestano il desiderio di cantare pur non avendo un talento particolarmente sviluppato in tal senso.
Ricorrere al movimento nella pratica quotidiana del canto ha, inoltre, il vantaggio di poter superare certi ostacoli con maggiore consapevolezza e maggiore facilità. Per esempio, scaldare la voce muovendosi a tempo e contemporaneamente vocalizzando e drammatizzando col corpo l’evoluzione melodico-armonica dell’esercizio aiuta a distogliere l’attenzione dalla paura di affrontare gli acuti, o di sperimentare suoni e timbri di varia natura. L’attività di vocalizzazione in movimento, del resto, è di grande aiuto per il singolo nel momento in cui si lavora in gruppo. Il gruppo diviene uno specchio e fornisce moltissimi stimoli: nel confronto con l’altro si impara più rapidamente poiché ci si concentra sul raggiungimento di un obiettivo comune.
Cantare in movimento presenta moltissime possibilità espressive per il cantante che impara gradualmente a eliminare tutto ciò che è superfluo rispetto al gesto vocale e a riconnettersi alla sua natura. Ci si muove a tempo o senza tempo per riconoscere e, successivamente, interiorizzare la pulsazione di base; si marcano gli accenti principali di un brano per individuarne le caratteristiche del fraseggio; si descrive con dei movimenti più o meno elaborati il senso di un pezzo per imprimere all’interpretazione un senso di direzione; si coltiva la pratica dell’improvvisazione che dal movimento viene trasferita alla voce; si prepara il gesto in relazione al respiro; si cerca il contatto con l’altro per imparare a fidarsi e sviluppare l’interplay. Cantare muovendosi, in sostanza, contribuisce a trasformare le tensioni muscolari, che sono anche le tensioni dell’essere, in tensione emotiva e a canalizzare attraverso di essa un’espressività del tutto autentica e genuina.

Il movimento, però, non è appannaggio della pratica quotidiana del canto, che sia individuale o collettiva, ma trova delle applicazioni di grande interesse e valore anche in ambito performativo. Non è certo un caso che molti cantanti affianchino al canto lo studio della recitazione o della danza o, addirittura, di entrambe ma, soprattutto, non è un caso che difficilmente ci dimentichiamo di un grande cantante (o di un grande musicista) che sia anche un grande performer perché il suo modo di rapportarsi allo spazio scenico trasuda pienezza. Ogni gesto è naturale e necessario: motivato dagli slanci profondo dell’essere, integrato, completo nella sua finitezza.
Dal melodramma al musical, dal teatro canzone al teatro danza, la presenza simultanea di voce e movimento non è più una novità e non è certo legata tanto alla contemporaneità, quanto a un ritorno sentimentale al concetto di arte totale sviluppatosi e affermatosi nell’antica Grecia.
Tante voci, ovvero tanti corpi, che cantano e si muovono nello spazio disegnano paesaggi sonori cangianti, ribaltano continuamente la prospettiva, si prendono gioco della percezione e della propriocezione, obbligano chi fruisce della musica a perdere ogni punto di riferimento per poi ritrovarlo profondamente mutato.

-

Bibliografia

Nanda Mari, Canto e voce. Difetti causati da un errato studio del canto, Ricordi.
Antonio Juvarra, Il canto e le sue tecniche, Ricordi.
Antonio Juvarra, Lo studio del canto, Ricordi.
Antonio Juvarra, I segreti del belcanto. Storia delle tecniche e dei metodi vocali dal Settecento ai nostri giorni, Ricordi.
Françoise E. Goddard, La voce. Tecnica e storia del canto dal gregoriano al rock, Franco Muzzio Editore.
Françoise E. Goddard, La voce dell’anima, Edizioni Urra.
Ida Maria Tosto, La voce musicale. Orientamenti per l’educazione vocale, EDT.
Alfred Tomatis, L’orecchio e la voce, Baldini & Castoldi.
Daniela Battaglia Damiani, Anatomia della voce, Ricordi.
Gisela Rohmert, Il cantante in cammino verso il suono. Leggi e processi di autoregolazione nella voce del cantante, Diastema Libri.
Serge Wilfart, Il canto dell’essere, Servitium.
Claudio Chianura (a cura di), Il libro della voce, Auditorium.
Laura Pigozzi, A nuda voce, Antigone Edizioni.
Laura Pigozzi, Voci smarrite, Antigone Edizioni.
Joachim-Ernst Berendt, Il terzo orecchio, Red Edizioni.
Kenny Werner, Effortless mastery, Jamey Aebersold.
Frederick Matthias Alexander, La tecnica Alexander, Astrolabio.
Patrizia Buzzoni e Ida Maria Tosto (a cura di), Gesto, musica, danza, EDT.
Émile Jacques-Dalcroze, Il ritmo, la musica e l’educazione, EDT.
Susanne Martinet, La musica del corpo, Erickson.
Susanne Martinet, Esplorare il pensiero di Jaques-Dalcroze, Progetti Sonori.
Silvana Sinisi, Storia della danza occidentale, Carocci.
Alexander Lowen, Bioenergetica, Feltrinelli.
Alexander Lowen, La spiritualità del corpo, Astrolabio.
Marie-Christine Mathieu, Gesti e posture del musicista, Edizioni Fisiocorsi.

Questo sito utilizza cookies propri e di altri siti. Se vuoi saperne di più . Continuando la navigazione ne autorizzi l'uso.