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Luce, parodia e amore.
La mia scrittura per voci

di Carla Magnan
Dossier Compositore, Choraliter 65, settembre 2021

Nella mia produzione per voci, alcuni titoli mi sono più cari di altri, per la capacità evocativa che sento riescono a trasmettere. Uno di questi è tratto da Phos Hilaròn, ossia luce gioiosa: Φῶς ἱλαρὸν ἁγίας δόξης ἀθανάτου Πατρός, O luce radiosa, splendore eterno del Padre.
È l’inizio di un antico inno cristiano della Chiesa greca, che si cantava al tramonto, nel momento in cui si accendevano le lampade della sera. Un verso antico dalla straordinaria forza evocativa, che ci rimanda agli albori delle cristianità. È il primo inno cristiano conosciuto utilizzato al di fuori della Bibbia ancora in uso oggi. Fa parte dei vespri di rito bizantino, ed è incluso anche in alcune liturgie moderne anglicane e luterane.
La tradizione vuole che a Gerusalemme una lampada fosse tenuta perennemente accesa nella tomba vuota di Cristo, il suo bagliore un simbolo della luce vivente di Gesù. Mentre i cristiani si riunivano per adorare, l’inno veniva cantato e, in una tradizione nota come accensione delle lampade, una candela accesa dalla lampada veniva fatta uscire dalla tomba, la sua fiamma solitaria e luminosa chiamava la chiesa a celebrare il Signore risorto. Un inno ancora oggi cantato in tantissime lingue e che continua a trasmettere la sua potenza comunicativa.

Sono stata felicissima quindi di avere l’opportunità di lavorare su questo testo, che mi è stato proposto da Feniarco, per la realizzazione di un brano da inserire in un volume di composizioni corali dedicate al Natale, dal titolo Nativitas Domini, nella traduzione in italiano proposta dalla Comunità Ecumenica di Bose.
Lucernario, che ho declinato nel mio Canto della luce, per voci femminili a cappella (soprani e contralti), è strutturato come richiesto dalla committenza, con un’alternanza di strofe e ritornello. Nella composizione del mio lavoro mi sono ispirata al numeroso materiale musicale pervenutoci dal passato e reperibile in rete, che riporta l’antico canto nelle diverse lingue (greco, armeno classico, slavo ecclesiastico russo…) e con i diversi sistemi di notazione (neumi bizantini ad esempio) ma con un’unica scontata matrice comune: l’uso per la parte musicale della modalità antica.
Scelto il modo e l’andamento (anche ritmico) che più mi ha affascinato, è stato necessario poi operare delle scelte di trasposizione dello stesso, poiché i canti originali presentano tutti un tipo di ambito vocale tipicamente maschile, che non poteva qui essere utilizzato. Confesso che dopo aver trascritto e lavorato tanto sul materiale originale, la trasposizione (se pur necessaria) mi ha tolto qualcosa dell’aurea che sentivo nella prima versione del lavoro.
Anche la lingua che ho utilizzato (l’italiano) con le sue varianti fonetiche rispetto alle lingue più arcaiche ha inciso profondamente sulla direzione da dare alla composizione, soprattutto nel ritornello.
Ho cercato di mantenere la mia idea di canto monodico, cullato da un’armonia che fosse in grado di esaltarlo e non solo di accompagnarlo. Non potendo utilizzare delle voci soliste, ho scelto di far entrare le diverse sezioni vocali in alternanza, accompagnate sempre da una specie di bordone armonico in continuo movimento, quasi fluttuante, da cui le melodie partono, prendendo sostegno o spinta per librarsi più liberamente nello spazio musicale. 

In modo differente, un materiale musicale e linguistico preesistente è stata la fonte ispiratrice di un altro mio lavoro: L’immoto guardo, per quintetto vocale (soprano I e II, mezzosoprano, tenore e basso) scritto a quattro mani con Carla Rebora, con la quale da anni condividiamo una ricerca costante di colletive creation.
Commissionatoci dall’Ensemble La Dolce maniera e dall’Associazione Pasquale Anfossi nel 2015, L’immoto guardo è un omaggio all’opera di Carlo Gesualdo da Venosa. I suoi madrigali diventano il pretesto per la scelta di alcuni stralci musicali, a cui viene sovrapposto un nuovo testo, una riflessione sul tema del Tempus fugit. In poesia, la sonorità e il ritmo delle parole hanno una diretta ripercussione sul significato stesso: una parola non è intercambiabile con un suo sinonimo, perché esso determinerebbe una mutazione di suono e quindi un cambiamento nel senso stesso della frase.
Considerare la parola anche sotto l’aspetto fonetico oltre che quello semantico porta con sé un’altra conseguenza, per noi affascinatissima: poter sfruttare le proprietà sonore delle parole stesse. Questo ci ha dato l’opportunità di agire creando una nuova drammaturgia, scrivendo un testo che utilizza il latino, l’italiano e l’inglese, ampliando così le possibilità delle sonorità delle parole ma anche del loro significato. Viene così ripresa in una nuova “chiave” l’antica tecnica della tropatura, dove un testo nuovo appositamente concepito, viene in qualche modo sovrapposto ad alcuni frammenti musicali scelti appositamente, per la loro aderenza alla semantica delle parole ma soprattutto in funzione della drammaturgia creata. Il nuovo percorso linguistico è una breve elaborazione scelta dalla traduzione inglese di alcune parti del III libro delle Georgiche di Virgilio, ad opera di due grandi poeti inglesi: James Rhoades (Bucolics, Aeneid, and Georgics of Vergil. Ginn & Co., Boston 1900) e John Dryden (The Works of Virgil: Containing His Pastorals, Georgics, and Æneis, 3rd ed., vol. I, pp. 163-166, Jacob Tonson London 1709).
Il testo in latino è sempre trattato musicalmente in modo omoritmico, scandito; l’italiano più articolato e madrigalistico; l’inglese ha un’armonia più attuale, con ampi respiri ritmici.

Il tema è quello comune del senso della vita, il trapasso, il tempo dopo la morte, la bellezza della natura e l’amore:
For Love is Lord of all; and is in all the same. / But time is lost. As point to point our charmed round we trace. / L’amore è Signore di tutti; ed è in tutti uguali. / Il tempo è perduto. Come da un punto all’altro, il nostro percorso incantato tracciamo.
Di questo brano esiste una versione per coro misto, L’immoto guardo incantato, che ha ricevuto nel 2016 una menzione d’onore al red note New Music Festival Composition Competition (Illinois State University, US).
Non è la prima volta che mi sono cimentata in giochi linguistici all’interno di una composizione per voci: Mentre vi miro… è una “parodia amorosa” ispirata al madrigale Cor mio di Claudio Monteverdi, commissionatomi dall’ensemble Camerata Nova nel 2004. L’opera prende spunto dal gioco suggerito da una diversa lettura del testo del madrigale musicato da Monteverdi su testo del Guarini. Fra equivoci, trasformazioni (anche fonetiche) e reciproche contaminazioni vengono introdotte forme di intervento a carattere dialogico e imitativo (anche onomatopeico) che permettono di raccontare un diverso percorso narrativo attraverso il gusto per la parodia. La forma musicale si sviluppa così sulla falsa riga del madrigale originale, che ritorna nell’utilizzo del testo e di alcuni frammenti musicali nella Prima e nella Seconda Parte (Elogio della bellezza). Il racconto viene così modificato: il protagonista non è più solo il testo letterario equamente distribuito tra i cantanti, ma viene incarnato nella figura del tenore (l’unico a cantare per intero l’omonimo madrigale), il quale si strugge perennemente d’amore tra la commiserazione e il tentativo consolatorio del resto del gruppo. Dopo la Prima Parte tutti si alternano in un contrappunto poliritmico basato su accenti sincopati e campi armonici più complessi nell’Intermezzo Erotico, autocelebrazione delle fantasie del tenore, che termina nel punto culminante del suo “morboso” desiderio. Quasi per reazione gli altri cantanti inneggiano un Elogio della bellezza, emblema dell’amore “puro”, virtuale e naturalmente sofferto perché ideologicamente non corrisposto, tanto da far desiderare la morte all’innamorato, che ci vuole illudere ancora della platonicità del suo amore. Inevitabile è il commento del resto del coro nel Finale («…in rileggendo le proprie note…») che, stufo di sentire gli esagerati lamenti del protagonista che continua sempre più spasmodicamente a bruciar e a morir d’amore (e che naturalmente non muore mai), risponde all’ennesimo grido «…ardo… avvampo… acqua…» con un solo commento: «…e che il cor ti s’incenerisca!».
La scelta dei testi è avvenuta dopo un’attenta lettura e analisi dei madrigali di Monteverdi, in particolare del IV, V e VIII libro (Madrigali amorosi e guerrieri), estrapolando parti dei testi e atteggiamenti musicali che mi erano necessari per seguire ed esaltare il mio percorso narrativo.

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