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Parlando di qualche mia composizione

di Corrado Margutti
Dossier Compositore, Choraliter 53, settembre 2017

Tra i brani corali che ho scritto, vi sono alcuni filoni che possono essere facilmente individuati.
Il primo di questi è costituito da una serie di brani scritti su poesie dei due poeti valdostani Orfeo Cout e Jole Trèves, in due delle lingue parlate in Valle d’Aosta: il francese e il patois. È un corpus di brani, per ora tredici, nati in seno al Coro Saint-Vincent che dirigo e in cui cantava anche Orfeo (v. foto seguente), prematuramente scomparso nel marzo 2017. Quando i brani erano ancora dodici, li abbiamo raccolti in un cahier dal titolo Ensembio, che in patois significa “insieme”, a cui è stato allegato anche un CD. Ho cominciato a parlare della mia musica partendo da questo progetto sia perché vi sono legato da profondi sentimenti di amicizia con i poeti, ma anche perché è stata un’esperienza pluricorale che ha coinvolto numerosi cori della Valle d’Aosta. Ho lavorato a stretto contatto con i due poeti che spesso hanno limato i loro testi sulle mie esigenze musicali, mentre io componevo cercando di andare incontro alle caratteristiche del coro per cui stavamo scrivendo. Una pluralità di voci, di lingue, di penne che hanno collaborato per dar vita a un lavoro unitario in cui compaiono anche i disegni, nati appositamente per questo libro dalla mano della scenografa torinese Eleonora Rasetto, ispirati ai testi e alle musiche. L’occasione per cui ho scritto tutti questi brani nel corso di questi anni è stata l’Assemblée Règionale de Chant Choral che ha luogo ogni anno in Valle d’Aosta nel mese di maggio. È occasione per scrivere brani nuovi che magari, per lingua o temi trattati, si avvicini alla regione e alle sue tradizioni e alle sue caratteristiche. 

A tutti i compositori capita di calarsi profondamente nei testi che musicano, ma per me è stata esperienza, in questo caso, ancora più intensa proprio perché progetto artistico vivo e interdisciplinare. I temi trattati, che ho cercato di assecondare con la mia musica, spaziano da quelli di carattere naturalistico, come la riflessione di Cout sull’acqua fonte di vita e di lavoro, a quelli di carattere più folcloristico, come le feste di paese che Jole e Orfeo mi hanno fatto conoscere mentre imparavo a conoscerle davvero coi miei occhi. Come quando ho lavorato sui testi di poeti lontani, come Lorca, mi sono accorto quanto il compositore sia fortunato a poter vivere quei colori letterari per colorarli a sua volta con i propri, che sono musicali. Entrare in contatto con il folclore e con le tradizioni attraverso la porta della letteratura e della poesia è un modo per potersi sentire parte di quella tradizione pur non essendo nati in essa; è un modo che il compositore ha per farsi accompagnare da un poeta o uno scrittore che ha il ruolo ben più profondo di quello di guida, sia per chi scrive, sia per chi canterà. Insomma, andare in Spagna con Lorca o in Valle d’Aosta con Orfeo Cout e Jole Trèves o in Portogallo con Fernando Pessoa è un privilegio grande che ha chi lavora con l’arte e con la cultura lasciandosi fecondare da suggestioni artistiche e poetiche di chi usa le parole. In breve: il lavoro del compositore corale. Ecco perché mi sta a cuore questo Ensembio e vorrei che chi volesse conoscermi come compositore di musica corale partisse da qui. Vi troverebbe musiche di livello diverso perché le caratteristiche delle compagini corali per cui son state scritte non sono tutte uguali; vi troverebbe il frutto della mia curiosità nel mettere in musica una lingua regionale che non è la mia; vi troverebbe, credo, uno dei lavori più genuini che io abbia prodotto in questi miei ventitré anni dedicati a comporre. 

Un secondo gruppo di composizioni è confluito in un altro lavoro editoriale, pubblicato in Slovenia, questa volta, che è la Missa Lorca. In realtà si tratta oramai di un brano unico, ma, come si può evincere dal catalogo delle mie opere, non è nato tutto nello stesso momento. Come spesso succede, la storia della nascita di un pezzo può segnare fortemente il pezzo stesso. Mai come in questo caso, un piccolo brano con una piccola idea, come l’Agnus Dei da me composto nel 2002 per il Torino Vocalensemble di Carlo Pavese, si è visto coinvolto dagli eventi circostanti. Il brano originario, l’Agnus Dei appunto, nacque per un progetto del Torino Vocalensemble che prevedeva di rielaborare, per mano di diversi compositori, la Missa in illo tempore di Claudio Monteverdi. Decisi così di rielaborare l’Agnus Dei a sei voci, sovrapponendoci un brano a quattro voci che mettesse in musica la poesia Mondo di Federico García Lorca, tratta dall’Ode al Santissimo Sacramento dell’Altare. L’idea mi fu suggerita dalla poesia stessa che reca, sotto il titolo, la citazione della prima parte dell’Agnus Dei in latino, esattamente lo stesso testo del primo Agnus Dei della Missa di Monteverdi: «Agnus Dei, qui tollis peccata mundi, miserere nobis». Questo brano, nato col titolo spagnolo di Mundo, sarebbe ben presto diventato l’Agnus Dei della Missa Lorca. Fu Gary Graden che, sentito Mundo, mi propose di scrivere un Gloria con una tecnica compositiva analoga, in occasione di un anniversario del suo coro. Mi preparai a comporre il Gloria già con l’idea di scrivere, in seguito, i numeri mancanti di questa strana messa che stava per nascere. Pensai che la scelta più coerente sarebbe stata quella di usare testi di Lorca in tutti i numeri ed elementi musicali tratti dalla messa di Monteverdi. Fu così che nel corso degli anni mi dedicai a uno studio profondo sui testi del poeta spagnolo e individuai poesie estremamente aderenti ai testi della messa, sia dal punto di vista letterario che suggestivo. 

Ebbi, fino all’ultimo, dubbi riguardo al Credo; mi pareva strano inserire un Credo in una messa che usava i testi di un poeta dichiaratamente ateo. Ma un testo di Lorca mi suggerì di scrivere un Credo che ora esiste e si incastona tra il Gloria e il Sanctus, distinguendosi dal resto della messa sia per disposizione del coro, che per tecnica compositiva, che per assenza totale del testo latino. Ho utilizzato, infatti, due brevissime poesie di Lorca, tratte dalla Suite degli specchi che si intitolano Raggi e Simbolo. In tutto sono sette frasi, tre dalla prima e quattro dalla seconda poesia, che recitano (ne fornisco la traduzione italiana):
  1. Tutto è ventaglio.
  2. Fratello apri le braccia.
  3. Dio è il punto.
  4. Cristo teneva uno specchio in ogni mano.
  5. Moltiplicava il suo stesso spettro.
  6. Proiettava il suo cuore negli sguardi scuri.
  7. Credo!
Era evidente il riferimento alla Trinità e al Symbolum (altro termine per individuare il Credo). La Missa Lorca, che venne eseguita a Stoccolma nella Sankt Jakobs kyrka dal St. Jakobs Kammarkör, sotto la direzione di Gary Graden, il 18 novembre 2006, nacque quindi negli anni tra il 2002 e il 2006 e, fatta eccezione per l’Agnus Dei, fu scritta per il celebre coro svedese. Il Kyrie alterna un organico a sei voci (SSATTB) con uno a quattro voci (SATB) più sei solisti (SSATTB). La messa comincia di sera – «l’ora in cui bisogna essere sinceri», come dice Lorca – momento della giornata e della vita in cui sia nel significato umano che religioso si riconoscono le proprie mancanze. Il Gloria, brano di grande difficoltà, mette in musica una poesia che si intitola Demonio e che, in mezzo a fiammeggianti immagini e descrizioni allucinate (siamo sempre nell’ultimo Lorca, quello dell’Ode al Santissimo Sacramento dell’Altare), rappresenta la battaglia tra bene e male e la vittoria del primo sul secondo. L’organico prevede un doppio coro molto diviso (SSATTB - SSATTB) e un percorso armonico e simbolico porta il brano dalla tonalità più alterata con sette diesis in chiave a quella senza alterazioni, attraverso le due tonalità con tre diesis e tre bemolli. Dopo il Credo, il coro sarà diviso a otto voci (SSAATTBB) per il Sanctus in cui un baritono solo si staglia su una complessa polifonia, quasi come in un cante jondo stilizzato, sulle parole di una sorprendente poesia di Lorca, Azione di grazie, che già dal titolo si riferisce chiaramente all’omonimo momento della messa. Anche il testo, di cui fornisco una traduzione parziale, risulta essere una preghiera sulla falsariga del Sanctus latino: Oh Santo, santo, santo che mostri il divino momento della morte senza veli, al mio spirito! Dammi la dignità dell’uccello e del ritmo delle sue ali spiegate dinnanzi all’imbrunire. Non è difficile immaginare quale sia la parte del Sanctus che porta il seguente testo lorchiano: Viviamo sotto il grande specchio. L’uomo è azzurro! Osanna!  L’Agnus Dei non sarebbe stato sufficiente per concludere la messa, in quanto il testo utilizzato da Monteverdi nel primo Agnus si fermava al «miserere nobis». Aggiunsi così il sesto brano della messa: il Dona nobis pacem che, accanto alle parole latine, mette in musica alcuni versi di una poesia di Lorca dal titolo Pioggia. Si tratta di un brano a quattro voci (SATB) piuttosto semplice rispetto ai precedenti che, sia dal punto di vista letterario che musicale che emotivo, garantisce uno scaricamento del materiale finora messo in gioco. Una pioggia leggera – francescana, per usare l’aggettivo di Lorca – che, nella simbologia del poeta spagnolo, rappresenta un bacio azzurro, una benedizione che l’infinito concede alla terra, un sacramento che ci unge con lo spirito santo del mare. La Missa Lorca termina con una sorta di ninna-nanna, un ritmo a suddivisione ternaria molto quieto e sereno.

Nel 2014 sono tornato, grazie a una commissione del Coro Maghini di Torino, a Lorca e alla politestulità con i suoi versi tratti dall’Ode già citata; questa volta, però, senza Monteverdi, ma con Tomás Luis de Victoria e con otto strumenti, in occasione del Pange lingua, in cui il testo spagnolo si mescola al testo latino di San Tommaso d’Aquino (citato da Lorca all’inizio dell’Ode). 

L’ultimo gruppo di brani, con cui concludo questa mia presentazione, è una serie di tre danze corali. Le tre poesie che ho messo in musica in questa occasione sono del poeta torinese Nino Costa (1886-1945), poeta dialettale che scrisse anche qualche poesia in italiano e tre in francese. Il ciclo di danze per quattro voci miste (è in corso la trascrizione per voci pari) comprende: Le Mensonge (La bugia) - tango (SATBe TTBB); Rêverie (Fantasticheria) - valzer (SATB); La Chanson de l’Alouette (La canzone dell’allodola) - foxtrot (SATB+ T solo). Tutt’e tre i brani sono caratterizzati da un livello di difficoltà abbastanza basso. Sono stati scritti in occasione di diverse edizioni della già citata Assemblée Règionale valdostana e dedicati alla Chorale C.C.S. Cogne di Aosta che ho diretto per lunghi anni con Marcella Tessarin. Il tango, che dà voce alla menzogna (je t’aime), tratta con ironia la provocatoria e in un certo senso amara poesia del poeta Nino Costa che, nello scrivere in francese, amava firmarsi Jean Kosta. Il valzer, forse il brano più complesso dei tre (non tanto per difficoltà delle singole parti, quanto per l’intreccio a tratti un poco più tortuoso), è una poesia erotica che loda la bellezza della donna amata e che mantiene sospeso, al contempo, l’aspetto onirico e fantastico (il termine rêverie deriva dal francese rêve, sogno) che aleggia sulla magia della seduzione. L’ultimo dei tre, il foxtrot, gioca su un testo piuttosto vago, se non nell’aspetto più strettamente poetico, sicuramente nella sfumatura vagamente sognante che il poeta vi instilla. Dal punto di vista musicale è realizzato come un brano in cui un solista (indicato come tenore, ma che può essere una voce media per via di un’estensione esigua) viene accompagnato lungo tutto il pezzo da un coro che punteggia con il tipico andamento del fox. Sto portando a termine le versioni per voci pari del valzer e del fox così come sto lavorando a un progetto di madrigali su testo di Gabriele D’Annunzio, due dei quali sono già stati scritti nel 2015 su commissione dell’Arcova Vocal Ensemble (allora diretto da Davide Benetti); i restanti sono in cantiere per il Coro Giovanile Piemontese diretto da Loreta Pinna.    

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