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Caritas et amor di Z. Randall Stroope

di Mattia Culmone
Dossier Compositore, Choraliter 51, dicembre 2016

Analizzare un brano musicale, sia esso vocale o orchestrale, appartenente al repertorio antico o contemporaneo, implica in ogni caso delle scelte di carattere interpretativo. Decidere quali elementi accomunano una sezione a un’altra, cosa distingue le parti e articola l’architettura formale, quali figure sono derivate da una medesima idea è una scelta in fin dei conti soggettiva che può tuttavia essere guidata da una conoscenza diretta del compositore, della sua produzione generale, ma soprattutto dei criteri con cui egli stesso dichiara di operare in fase creativa.È quello che tenteremo di fare nell’analisi di Caritas et Amor, brano del compositore americano Z. Randall Stroope piuttosto conosciuto ed eseguito in Italia e adatto a una larga platea di cori polifonici misti.

Scelta e trattamento del testo

Il testo utilizzato (“Ubi caritas et amor, Deus ibi est”) è molto noto, conviene però ricordare che si tratta di un inno composto di numerose strofe di cui solitamente viene musicata unicamente la prima. Il contenuto fa riferimento alla carità e all’amore di Gesù Cristo verso i suoi discepoli poiché in ambito liturgico esso viene intonato durante la lavanda dei piedi nell’ufficio del Giovedì Santo.Nel caso in questione il compositore utilizza solo l’incipit “Ubi caritas et amor, Deus ibi est” tagliando il resto del testo e recuperandone solamente la parte finale, in maniera leggermente modificata: “Gaudium quod est immensum et probum Saecula per infinita saeculorum” viene trasformato in “Gaudium quod immensum est, secula infinita!”. Viene inoltre aggiunta l’espressione “Alleluia Domine”, non presente nel testo originario. Tutte queste libertà testuali trovano evidentemente giustificazione nelle scelte musicali, sono cioè funzionali alla definizione dell’architettura musicale del brano, indicandoci così fin da subito una destinazione concertistica più che liturgica della composizione. Le due sezioni di testi principali (“Ubi caritas…” e “Gaudium…”) offrono inoltre al compositore due intenzioni contrastanti, la prima più calma e devota, la seconda più energica e gioiosa, mentre il testo aggiunto “Alleluia Domine” ha principalmente funzione di chiusura delle sezioni.

Struttura formale

Il compositore nell’introduzione suggerisce di far precedere l’esecuzione del brano dall’intonazione del canto gregoriano. Come vedremo fra poco il materiale melodico è desunto dalla linea del canto gregoriano stesso.
Il brano si apre con le tre voci gravi che nella tonalità di mi maggiore (che mai verrà abbandonata durante tutta la composizione) accennano a una linea melodica fatta di note ribattute e gradi congiunti e armonizzata con ripieni di quarta e sesta. Poco dopo il soprano entra con un carattere diverso, una sorta di contro canto su note pedale. Questa sezione funge da introduzione (a0.1) introducendo molti degli elementi significativi del brano (melodie con ripieni, pedali, tratti melodici desunti dal canto gregoriano). 

Dalla battuta 5 (sezione a1.1) il contralto intona la melodia principale che non è (come per esempio nel celebre Ubi caritas di Duruflé) la stessa del canto gregoriano, ma una sua diretta derivazione. Si notano le prime note ribattute, il grado congiunto ascendente, l’ambito che tocca il quarto grado come nota apicale, la chiusa della parola “amor”, con due note lunghe sulla sillaba “mor”. Si noti l’apertura delle due voci centrali (T, A) dalla stessa nota (mi3), elemento che definiremo “apertura a ventaglio” e che ricorre nella sezione a1 del brano. La stessa melodia è riesposta al basso (con un’anticipazione sul levare, altro elemento ricorrente), mentre l’entrata delle voci femminili dal grave all’acuto ha una funzione di completamento/arricchimento ritmico e melodico, per dare un senso di sviluppo della frase musicale e portare alla seguente sezione a2.1 (batt. 12).
Pur utilizzando lo stesso materiale armonico infatti le voci si ritrovano qui finalmente unite in maniera quasi completamente omoritmica (fa eccezione il pedale superiore del soprano primo), intonando il testo aggiunto “Alleluia ibi est, Alleluia Domine”, che conduce alla prima cadenza sulla tonica mi (batt.15). Qui la dinamica va in diminuendo e il ventaglio si richiude sul mi3.

Vengono ripetute in maniera quasi identica le sezioni a1.1 e a1.2 con la variazione del pedale iniziale, non più al grave ma all’acuto. Va segnalata anche la figurazione del tenore che alla battuta 24 imita la melodia del soprano secondo con l’attacco in levare. Nella cadenza finale (batt. 26) le voci non si raggruppano più all’unisono ma restano aperte sull’ottava per segnare una discontinuità importante che conduce alla sezione b.
Come anticipato il testo “Gaudium quod immensum est” viene musicato con una grande energia e gioia: il coro canta ff a sei parti, i soprani raggiungono il punto apicale (la4) e l’articolazione ritmica risulta molto incisiva. In particolare si potrebbe ipotizzare l’uso di un piede ternario dalla misura 28. Pur tuttavia l’interpretazione più convincente, alla luce dell’estetica del compositore, sembra quella di propendere per la propulsione ritmica data dall’uso della sincope e dalla mancanza del battere, che per Stroope è un elemento di grande interesse. 

La sezione b viene ripetuta per due volte (batt. 27 e 36) inframezzata da un breve ponte che riprende il materiale introduttivo e che non esitiamo a denominare a0.1: si ritrova il testo, la melodia armonizzata con ripieni nelle voci gravi e il pedale superiore del soprano, che però questa volta viene articolato sulla parola “Alleluia” introducendo un elemento ritmico chiave per la parte dello sviluppo, ossia le semicrome in levare (batt. 35).
A partire dalla battuta 41 e fino alla 54 troviamo una ampia sezione in cui elementi apparentemente nuovi (il testo “secula infinita”, una nuova figura su “Alleluia” e la prima comparsa di “Amen”) si mischiano ad altri già visti (la ripresa della melodia iniziale “Ubi caritas” alla misura 47). In realtà si tratta interamente di materiale sviluppato rispetto alla prima esposizione. In particolare decidiamo di denominare a1.3 la sezione delle misure 41-43. Si può notare infatti come la tecnica dell’apertura a ventaglio sia ripresa questa volta solo dalle voci femminili. È palese inoltre nel soprano primo il riferimento alla melodia usata sul testo “Ubi caritas” dal contralto nell’omologa sezione a1.1.

Allo stesso modo la parte che va da batt. 44 a 46 può essere facilmente ricondotta agli elementi caratterizzanti a2.1 (uso di accordi in primo rivolto, melodia del soprano secondo, pedale del soprano primo), la denomineremo dunque a2.2. Si noti la figurazione di “Alleluia” in ottave fra tenore e soprano primo che riprende e consolida l’elemento di semicrome in levare evidenziato poc’anzi.
Lo stesso criterio di sviluppo del materiale lo si trova poco dopo dalla misura 47 a 49 (a1.3) e 50-52 (a2.3).
Dopo un’ultima ripetizione del b le ultime battute (59-64) riprendono per la terza volta l’elemento caratteristico dell’introduzione (melodia armonizzata con ripieni di seste e note pedale) amplificata ora grazie all’uso di raddoppi di ottava e sdoppiamenti fino a sei voci. Uno sguardo alla tabella successiva aiuta a cogliere in un unico sguardo la struttura dell’intero brano per coglierne la macrostruttura.

Macrostruttura

Come possiamo raggruppare le sezioni in modo tale da avere un’idea di macrostruttura che non sia la semplice giustapposizione di parti differenti? Un aiuto può venirci dal computo delle battute, dall’accorpamento delle parti più imparentate fra loro. Potremmo inoltre farci guidare dai modelli formali che più spesso stanno alla base delle grandi architetture. Se accorpiamo tutte le sezioni a1 e a2 in α, e denominiamo le sezioni b con β e le sezioni a0 con ω troviamo una bella simmetria incrinata solo da una ripetizione di troppo di β: 

ω α α β ω β α α β ω

Ancora più convincente risulta invece considerare la prima sezione fino alla misura 26 come A, seguita da un B (27-40) e da un A che rappresenta (come evidenziato precedentemente) uno sviluppo degli elementi iniziali. Si trova così la classica forma:

AB A1 

laddove anche il computo delle battute sembra avvalorare questa scelta (26 + 14 + 24).

Conclusioni

Abbiamo condotto un’analisi che a partire da microelementi e dalla combinazione di essi dà luogo a un’architettura interna variegata e che allo stesso tempo conduce a una macrostruttura solida ed efficace. Tutto ciò conferisce evidentemente al brano una solidità poderosa che gli permette di funzionare svelando così come nei particolari iniziali siano già contenute tutte le armi che il compositore utilizzerà per rendere il brano coerente e consistente. Non ci siamo troppo soffermati sulle scelte melodiche e armoniche, che risultano molto facilmente decodificabili, per privilegiare invece una chiave di lettura più interna e nascosta che però svela la grande maestria del compositore, e soprattutto la sua capacità di poter creare un brano musicale di notevole valore artistico anche partendo da elementi assolutamente semplici e di facile fruibilità. Scelta che si rivela vincente sia per i cantori che per il pubblico che immancabilmente saluta con grande plauso l’esecuzione di questo brano in concerto.

La composizione è edita da Alliance Musica Publishing. Un abstract del brano è consultabile qui

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