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Canto ergo sum

di Walter Marzilli
dossier "La voce del cantore", Choraliter 53, settembre 2017

Facciamo una considerazione iniziale: in certi ambienti musicali un difetto può diventare una caratteristica ed essere apprezzato proprio per la sua peculiarità. Nell’ambito della musica pop, ad esempio, la voce roca di Fausto Leali ha fatto la sua fortuna (ma hanno contribuito anche la sua buona intonazione e il suo assetto blues); quella graffiante di Ligabue lo ha fatto amare dai suoi fans (anche se probabilmente è collegata ai recenti problemi delle sue corde vocali). La voce asprigna di Venditti e Baglioni nei primi anni di attività può essere collegata al loro successo, e la voce ricca di componenti di falsetto ha reso unica e inconfondibile l’emissione dell’indimenticato Pino Daniele, e anche di Mango…

I difetti della voce

In ambito colto, invece – non si offenda nessuno per questo regale aggettivo – un difetto resta tale, e deve essere eliminato. Qual è il più comune? La voce frequentemente schiacciata dei soprani nella tessitura medio-alta. Semplificando al massimo si può risolvere il problema aumentando il volume della cavità orale, cioè abbassando la mandibola (e conseguentemente la lingua) e innalzando il velo del palato. Vogliamo aggiungere un’ulteriore semplificazione? Allora dite ai soprani di sbadigliare! Se poi vedete che il cantore ha le vene del collo gonfie oppure mostra tensione e stringe la gola, allora fatelo cantare mentre cammina: questo dovrebbe essere sufficiente ad allontanare la tensione intorno alle corde vocali, che è spesso causa del gonfiore-tensione.

Altro difetto tipico del cantore poco esperto è la voce cosiddetta velata. Durante l’emissione si riconosce una componente diciamo “ventosa” del suono, che appanna e appunto “vela” il suono stesso. La causa è la mancata totale adduzione delle corde vocali, che restano piuttosto lontane tra di loro, permettendo il passaggio dell’aria che non si trasforma tutta in suono. Soluzione: ovviamente l’avvicinamento tra loro delle corde vocali. Più facile a dirsi che a farsi. Il primo passo, peraltro essenziale, è che il cantore si accorga del suo difetto, altrimenti è tutto inutile. Ci si riesce facendogli porre le mani a conchiglia intorno al padiglione auricolare – preferibilmente il destro – come si fa quando si vuole sentire qualcosa il cui suono è troppo leggero, e ponendo un quaderno piegato concavo davanti alla bocca del cantore. In questo modo il cantore può avvertire per la prima volta il caratteristico fruscio della sua voce velata. Una volta che il difetto è stato svelato è utile alternare la s sorda (quella di sasso) con la z sonora (zero). In questo modo il cantore impara a riconoscere quando le corde sono separate (s sorda), distinguendo il momento in cui si uniscono (z sonora). Si tratta di una piccola ginnastica delle corde vocali, che rispettivamente si separano e si accollano. Si rivela anche molto utile mostrare un video delle corde vocali con difetto di accollamento (molto comuni in internet e di facile reperimento). Dopodiché il maestro fa l’esempio di voce velata e, senza interruzione, di voce pulita senza velatura con qualunque vocale, invitando il cantore a imitarlo. Dal punto di vista fisiologico si tratta di muovere opportunamente le cartilagini aritenoidi che si trovano nella laringe, e che appunto avvicinano le corde vocali. Basta poco per riuscire, ma se non fosse sufficiente allora si deve anche abbassare la laringe (sbadiglio). Questo tirerà in basso un piccolo muscolo che si chiama crico-tiroideo, che permetterà un ulteriore avvicinamento delle corde vocali. Il suono diventerà anche più rotondo e coperto, a vantaggio del timbro. Ma attenzione se fate musica antica: il suono deve essere alquanto chiaro…

La mancanza del riscaldamento vocale. Purtroppo non tutti i cori fanno la “ginnastica vocale di riscaldamento” prima di una esibizione. Lasciamo da parte la situazione obbligata delle rassegne e dei concorsi, quando non si può disturbare l’esecuzione di un altro coro con i propri vocalizzi. Per il resto, visto che l’emissione vocale prevede l’utilizzo di più di sessanta muscoli, come ogni attività muscolare non andrebbe intrapresa senza un adeguato tempo di riscaldamento. Diversamente si rischia un pericoloso surmenage vocale, e si può anche compromettere la riuscita della prima parte del concerto, fin tanto che i muscoli impegnati nella fonazione non si siano scaldati. E non basta, purtroppo, un sorso di una qualche bevanda alcolica per scaldare i muscoli, benché a onor del vero l’alcol, essendo un vasodilatatore, causa un maggiore afflusso di sangue caldo nell’apparato vocale.

Ecco un difetto che ultimamente sembra divenuto molto di moda: l’attacco “da sotto”. Rientra in questa categoria sia l’attacco con la consonante d iniziale gonfiata più del dovuto, che quello con la n che precede qualunque attacco. Entrambi dipendono dal fatto che il cantore apre il flusso dell’aria attraverso la laringe prima che la cavità orale sia stata predisposta per pronunciare il fonema giusto. Si può risolvere solo dopo che il cantore se ne accorge (normalmente si stupisce e si dissocia quando lo si accusa di avere questo difetto…!) invitandolo fermamente a non ripetere l’errore. La questione più generale del vero attacco “da sotto” per la verità deriva dalla prassi rinascimentale degli abbellimenti. Giovan Battista Bovicelli [Giovan Battista Bovicelli, Regole, Passaggi di musica, Madrigali e Mottetti passeggiati, Venezia, Giacomo Vincenti editore, 1594, p. 11] nel 1594 consigliava espressamente di attaccare le note almeno una terza o una quarta sotto al suono reale. Questa prassi si è poi consolidata nel periodo romantico con l’attacco effettuato con il portamento inferiore. Adesso sembra essersi ulteriormente trasformato in quel fastidiosissimo suono “scavato”, piuttosto gutturale, che precede l’attacco, di cui parlavamo all’inizio. Chi lo conosce… lo evita. Tutto si risolverebbe se il cantore facesse alcune cose essenziali prima di ogni attacco: pensare al suono da emettere; predisporre lo spazio boccale per la vocale da emettere, a bocca aperta; respirare attraverso quello spazio creato; attaccare il suono mantenendo quella stessa posizione.

La mancanza dello “squillo” nella voce dei tenori. A parte la ben nota e diffusa difficoltà nel reperire buone voci di tenore, il problema sta nel fatto che quelle che abbiamo spesso non “squillano”, ma si mantengono entro un colore opaco di tipo tenoril-baritonale. O la voce è dotata in modo naturale di penetrazione e profondità, oppure le si devono ottenere entrambe – squillo compreso – attraverso l’utilizzo della cosiddetta “voce piena”, contrapposta alla voce con componente di falsetto. Tale “voce piena” si ottiene abbassando la laringe (sbadigliando), attraverso lo stesso movimento descritto in precedenza come ultima soluzione per evitare la voce velata. Questo procedimento, come si dirà in seguito, non è applicabile alla musica rinascimentale, nella quale i tenori acuti, utilizzati nel ruolo di altus, devono cantare appunto nel registro acuto con voce alta e chiara.

Non trascurabili risultano anche certe componenti nasali e gutturali del suono, ma questo riguarda un po’ tutte le sezioni corali, con esclusione – in genere – dei bassi. Il colore nasale dipende dal passaggio aperto lasciato dal velo del palato verso la zona appunto nasale. In caso di suoni acuti la componente nasale del suono si trasforma in un importante apporto di risonanza di testa (voce in maschera, che abbiamo già visto). Rimane invece un difetto la nasalità presente nei suoni medio-gravi. La soluzione è l’innalzamento del velo a chiudere il canale dell’oro-faringe, proprio come si fa quando si… sbadiglia!
La voce gutturale è invece data dalla retrazione della lingua verso la faringe. È un difetto che risulta un po’ più complicato da sanare, ma è assicurato un grande aiuto se si posiziona la punta della lingua a toccare gli alveoli dei denti inferiori. In questo modo la lingua assume una posizione più avanzata e il problema diminuisce, fino a risolversi.

La mancanza della profondità nella voce dei contralti e dei bassi. Quando i contralti hanno fatto il loro ingresso nei cori hanno scalzato i tenori acuti, che dal Rinascimento in poi occupavano il ruolo di altus. Ma con ben altri intenti timbrici, però. I tenori acuti dell’altus costituivano la punta delle sezioni maschili, che nel coro antico erano caratterizzate da una continua ascesa timbrica verso il suono chiaro, passando attraverso il bassus, poi il tenor dal timbro e l’estensione baritonale, fino appunto all’altus, che costituiva la punta di questa piramide, completata dal cantus (falsettisti, castrati o bambini). Con l’avvento delle donne nella parte dell’altus cambia l’equilibrio timbrico dei cori. Dal basso al tenore si va verso il timbro chiaro e acuto, ma poi si avverte una introflessione data dal colore scuro dei contralti, che si schiarisce di nuovo con la voce dei soprani. Se però i contralti non sono abbastanza scuri – o per lo meno “rotondi” – la doppia piramide timbrica del coro moderno va a farsi benedire, e ci si ferma a una situazione ibrida e non ben caratterizzata. Sfido chiunque a sentire con facilità la linea del contralto nei contrappunti fugati del Requiem di Mozart… Ognuno deve svolgere il suo ruolo: i soprani devono essere morbidi e piuttosto chiari, diciamo di colore giallo o arancione, mentre i contralti appunto devono “scavare” i suoni, usare maggior spazio interno orale e andare verso il colore rosso.
Per quanto riguarda invece i bassi, essi sembrano essersi attestati entro un colore centrale come il marrone chiaro, di tipo baritonale. Peccato, perché il basso, anche nella composizione rinascimentale, è alla base di tutto il contrappunto. Basti pensare che la quinta diminuita esposta al basso non era usata, mentre era di uso comune se esposta tra le altre parti (quinta diminuita sempre e solo in primo rivolto). Anche in orchestra le proporzioni tra il numero di violini (circa ventotto) e i contrabbassi (quattro-sei) la dicono lunga sull’importanza del basso, che da solo regge il peso di tanti altri archi, comprese le viole e i violoncelli. Quindi bisognerà che i bassi aprano bene la gola, abbassino un po’ il capo (questo contribuisce a scurire il suono), abbassino bene la laringe [Può essere molto interessante notare che la laringe di un bambino è posizionata molto più in alto rispetto a quella di un uomo. Questo significa che per ottenere la caratterizzazione timbrica maschile di un adulto la laringe deve andare in direzione contraria: verso il basso, come per lo sbadiglio. E questa è la nona volta che lo sbadiglio (e l’abbassamento della laringe) viene nominato per risolvere qualche problema: che sia la panacea di tutti i mali…?], e soprattutto non temano di apparire vocalmente importanti, se non addirittura ingombranti…

Il problema delle persone stonate. Ma esistono davvero persone stonate? Sì, ma la loro difficoltà è legata a gravi cause di natura fisiologica o uditiva. Già, perché io posso cantare solo quello che sento, e se sento male, allora canto male. Per il resto possiamo parlare di persone “ineducate all’ascolto”. Il circuito bocca-orecchio, infatti, per funzionare deve essere chiuso, proprio come un circuito elettrico, che accende la lampadina solo quando viene chiuso. Mai, per esempio, giudicare la capacità di riprodurre un suono dato usando il pianoforte. Il candidato non riesce a chiudere il circuito perché non è in grado di riconoscere bene l’altezza dei suoni emessi dal pianoforte. Bisogna sempre usare l’esempio vocale, altrimenti si rischia di definire privo di orecchio musicale una persona che invece ne è dotata. Quante persone, del resto, riescono a sentire ma non sanno ascoltare?! Basta far sentire loro suoni differenti di pochi cents (ma con differenze superiori a 12 cents, che è il limite ammesso durante esecuzioni musicali di alto livello - Righini 1974) per sentirsi rispondere che sono uguali. La colpa è anche del dilagante sistema temperato, che costringe tutti noi a pensare che l’intervallo più piccolo che sia possibile distinguere sia il semitono. Niente di più falso! La musica antica e quella rinascimentale esigono conoscenze e consapevolezze intonative che vanno molto al di là della banale scala temperata. La musica orientale ancora di più, ma questo particolare ambiente sonoro riguarda solo marginalmente un musicista occidentale. Peccato, perché avremmo molto da reimparare nell’ambito della sensibilità intonativa. Senza andare così tanto indietro nel tempo fino al Rinascimento, si deve ricordare che durante il periodo romantico la scala di Pitagora (con le quinte crescenti ma anche con le terze molto aperte) tornò prepotentemente in auge. E qui si tratta di saper distinguere e riprodurre intervalli piccolissimi, fino a due cents, per intonare una vera quinta giusta. Limitarsi al semitono do diesis posto tra do e re equivarrebbe a un pittore che potesse usare il rosso (do), il giallo (re) e un solo tipo di arancione (do diesis), senza tutte le sfumature intermedie. Impensabile! Tanto più che il do diesis, posto di trovarsi in do maggiore, lo posso usare soltanto se modulo a re, altrimenti ho a disposizione solo il rosso e il giallo. I colori primari sono sette, come le note… ma un pittore non potrà mai dipingere nessun quadro di valore utilizzando solo i colori primari, privandosi delle infinite sfumature di colore di cui parlavamo poco fa. Invece la stragrande maggioranza della musica occidentale – possiamo anche parlare della totalità del repertorio occidentale – è stata scritta usando solo i colori primari della scala musicale…

Il mistero dell’appoggio

In effetti finché il cantore non impara a respirare attivando il diaframma, l’appoggio rimarrà sempre un mistero… È il diaframma, infatti, che lo fornisce, ma soltanto dopo che è stato abbassato durante la fase dell’inspirazione dell’aria. Tale abbassamento può arrivare a circa 12 cm. L’appoggio nasce nel momento in cui il diaframma comincia a risalire durante l’emissione: in quel momento il diaframma fornisce automaticamente (quasi…) l’appoggio necessario al fiato-suono. Altra cosa è invece il sostegno. Esso è offerto dai muscoli addominali (e dai visceri) al diaframma. Quindi, semplificando, l’appoggio è fornito dal diaframma, il sostegno è fornito al diaframma. In altre parole: al di sopra del diaframma vi è l’appoggio, al di sotto il sostegno. Le varie questioni, se rimanere con la cintura addominale in fuori durante il canto o se farla rientrare, se respirare usando anche il movimento delle costole fluttuanti o no, se respirare dal naso oppure dalla bocca, sono tutte situazioni che non possono prescindere dall’abbassamento del diaframma. 

Il passaggio di registro

Al di fuori della pratica rinascimentale, il passaggio di registro è l’unico lasciapassare per raggiungere i suoni acuti. Cominciamo con il dire che ciò che comunemente si intende per “passaggio di registro” è già un secondo passaggio. Esso è preceduto da un primo passaggio, che avviene in forma più naturale e spontanea all’interno della tessitura vocale. In pratica serve per usare le casse di amplificazione più adatte all’altezza dei vari suoni. Nessuna casa produttrice si sognerebbe di far risuonare i bassi di un impianto stereo dentro le piccolissime casse dei tweeter che servono per amplificare i suoni acuti. E viceversa. Ecco, il passaggio di registro permette – detto in soldoni – di passare dalle risonanze del petto dei suoni gravi alle risonanze della testa per i suoni acuti. Ma perché in testa? Perché lì ci sono tante piccole ma preziose insenature dette seni (frontali, mascellari, sfenoidali, etmoidali) che servono proprio per amplificare i suoni acuti e farli risuonare correttamente. Come la coda di un pianoforte: nella parte lunga sono disposte le corde dei suoni gravi, mentre in quella piccola a destra risuonano le corde più corte e sottili dei suoni acuti [In questo senso il pianoforte verticale è un compromesso piuttosto malriuscito dal punto di vista acustico, perché obbliga tutti i suoni, acuti e gravi, a risuonare nella stessa unica cassa acustica!]. Come nella famiglia degli archi, nei quali le dimensioni delle casse armoniche sono direttamente proporzionali all’altezza dei suoni, in ordine crescente dal violino al contrabbasso. Ma come si fa a mandare i suoni in testa? Attraverso una sorta di passaggio a livello, che si può alzare e abbassare abbastanza a piacimento: il velo del palato, posizionato in figura 1 sopra la base della lingua. Se lo alzo esso viene a contatto con la faringe e chiude il canale nasale, rendendo così inutilizzabili le piccole casse di amplificazione dei seni. Se lo abbasso appena un po’ permette all’aria-suono di invadere la zona dei seni, innescando le risonanze di testa. Ecco cosa significa quando si dice “voce in maschera”: è la voce che risuona proprio nella zona dove si indossa una maschera, dietro alla quale sono situati tutti i seni, come si vede nella figura 2. Tecnicamente il (secondo) passaggio si ottiene operando un opportuno scurimento (meglio dire arrotondamento) del colore vocale, conseguenza dell’abbassamento della laringe (sbadiglio). Se si unisce un alleggerimento contestuale della pressione aerea è ancora meglio, magari circa una terza sotto al punto del passaggio di registro, che è diverso per ogni voce e riconoscibile con l’esperienza [Teoricamente, e per semplificare al massimo, le voci girano alle seguenti altezze: basso al do centrale, baritono al re, tenore al mi. Le donne lo stesso, ma un’ottava sopra. Naturalmente sulla posizione del punto del passaggio inciderà la classe di appartenenza vocale specifica: un tenore drammatico tenderà a “girare la voce” prima di un tenore leggero. Similmente per le altre classi vocali]. Il cantore poi, passerà il resto del suo tempo a uniformare i due registri, quello di petto sotto al passaggio, e quello di testa, sopra al passaggio. Si può anche usare un particolare registro detto misto, specialmente nella zona (definita anfotera) che sta intorno al passaggio. 

Figura 1

(app Sinus ID)

Figura 2

La copertura dei suoni

Serve soltanto quando si affronta il repertorio dal Romanticismo in poi. In questi casi è insostituibile. È invece totalmente inadatta nel repertorio rinascimentale e precedente a esso. È inoltre strettamente legata e dipendente alle risonanze che si ottengono con il passaggio di registro. Consiste nell’emissione in voce piena, contrapposta a quella nella quale si riconosce una componente di falsetto. Come si ottiene? Abbassando la laringe e sbadigliando… Dal punto di vista pratico si può aiutare il cantore facendogli emettere una a e poi, senza modificare l’apertura della bocca e delle labbra, chiedendogli di emettere una o. Naturalmente il cambiamento da una vocale chiara come la a a una più scura come la o implica un aumento del volume interno della cavità orale, che si ottiene facilmente abbassando la lingua. Questo movimento, a causa dei collegamenti stretti che esistono tra lingua e laringe – ossei e muscolari –, causano l’abbassamento della laringe stessa, e quindi l’emissione della voce piena. Naturalmente si tratta di un esercizio propedeutico, che serve per imparare ad abbassare la laringe per coprire i suoni. La o così prodotta, essendo frutto di rigidità labiale, sarà rigida anch’essa. In seconda battuta si deve imparare ad abbassare la laringe come si deve, cioè agendo sul muscolo crico-tiroideo (vedi figura 3 in rosso), per allungare le corde vocali e trovare l’emissione in voce piena. 

La consapevolezza vocale del cantore

È molto difficile da ottenere fin tanto che il cantore rimane all’interno della sua sezione di appartenenza. Se costui/ei è debole finirà per essere il clone di qualcun altro. Se è forte finirà per essere clonato da altri. Ma sempre di cloni si tratta, e non di figure vocalmente specifiche e caratterizzate. Uno dei modi più efficaci per aumentare la consapevolezza vocale del cantore è quello di isolarlo dalla sezione di appartenenza, in modo che le sue orecchie non siano entrambe invase da una melodia e da un suono uguale al suo, emesso da chi sta ai suoi lati. Questo ascolto naturalmente diminuisce il controllo vocale della propria voce, che si mischia e si confonde con quella dei compagni a lato. Mentre il cantare isolato permette a ogni cantore un controllo molto maggiore sulla sua voce, che arriva alle sue orecchie senza essere mischiata o coperta da una uguale o molto simile. Ci sono tanti modi per isolare il cantore. Per esempio alternando i cantori tra uomini e donne o tra bassi e tenori. In questo modo si ottiene anche il vantaggio di aumentare di molto (in pratica raddoppiare) il fronte sonoro di ogni sezione. Oppure disponendo i cantori nel modo consueto, ma facendo attenzione a lasciare uno spazio vuoto tra l’uno e l’altro (anche così raddoppia il fronte sonoro di ogni sezione). O ancora, disponendo il coro in quartetti consecutivi disposti in un’unica fila. In questo modo la larghezza di ogni sezione, invece, addirittura quadruplica, aumentando notevolmente il fronte sonoro del coro. Dà ottimi risultati anche rimanere disposti a sezioni compatte e cantare un passaggio di un brano conosciuto a quartetti consecutivi, cominciando con i primi cantori a sinistra o a destra, per avere una distanza costante tra di essi, anziché iniziare dai primi quattro cantori al centro del coro.

Alcuni... trucchi del mestiere

Quando si sale verso la tessitura acuta il cantore ottiene un buon aiuto se stringe i glutei. Questo assicura solidità in basso, nei punti dove il diaframma si innesta sulle costole, e permette di ottenere un bel sostegno e una intensa proiezione dei suoni (se tutto funziona nella zona sopralaringea, s’intende…). Nella stessa situazione di tessitura alta, anche muovere un piede può essere sufficiente per decongestionare l’eventuale tensione, che è sempre in agguato nei muscoli intorno alle corde vocali, quando il cantore si avventura verso i suoni acuti. Quando invece un basso non ha un suono ampio e corposo nella regione grave dei suoni, allora può essere molto utile farlo cantare invitandolo a guardare in basso [Ho già accennato brevemente a questo suggerimento, parlando dello scurimento del suono…]. In questo modo lo si obbliga ad abbassare la laringe, la quale allarga il suo diametro, si rilassa, e permette l’emissione di suoni che possiamo definire più “grassi”.
Servono soprattutto in particolari situazioni armoniche. Il prof. Fussi ne parla nel suo intervento in questo dossier, ma accenno anch’io brevemente a questo suggerimento, che in brevissimo tempo fornisce grandi risultati: l’uso della mascherina facciale. Sì, proprio quella dell’apparecchio per l’aerosol [In mancanza di quella, nella sede delle prove, si può benissimo sostituirla con le mani unite intorno al naso e alla bocca]. Cantare un vocalizzo o un brano per pochi minuti dentro alla mascherina appoggiata sul volto fornisce tutta una serie di risultati sorprendenti in ordine alla proiezione dei suoni, al risveglio delle risonanze di testa, alla diminuzione della fatica vocale, all’equilibrio tra i registri ecc. Il fonema ng [Il suo uso probabilmente si deve agli studi del soprano svedese Valborg Werbeck-Svärdström]. Si tratta di una sorta di bacchetta magica anch’essa, come la mascherina. È la n che viene emessa prima della g, come nella parola angolo (non angelo!). La si ottiene alzando la base della lingua e abbassando il velo del palato, che si toccano. Questo contatto chiude il canale boccale e disabilita completamente l’utilizzo della cavità orale. Nello stesso tempo indirizza efficacemente il suono verso il canale nasale. Ricordiamo che tale canale porta direttamente il suono a contatto con tutta quella serie di piccoli seni che stanno dietro alla maschera. In questo modo si innescano bene le risonanze di testa, che rimarranno come componente importante del suono anche quando, naturalmente, lingua e velo si separeranno per pronunciare la vocale voluta. Abbiamo accennato al colore del suono adatto per la musica antica, che deve essere “alquanto chiaro” [Si veda la fine del paragrafo dedicato alla voce velata].
Prima di eseguire (in prova, naturalmente) un brano dell’epoca rinascimentale può essere molto utile sostituire ogni consonante del testo cantato con la l (ma anche n). Questo produce immediatamente un suono elegante, proiettato e chiaro. Il motivo è dato dalla lingua la quale, dovendo toccare in entrambi i casi (l oppure n) gli alveoli dei denti superiori, è obbligata a una posizione alta che, a causa dello spazio boccale ridotto, causa l’emissione di un suono chiaro. Similmente, ma per ragioni opposte, prima di cantare un brano del periodo romantico (colore scuro o almeno rotondo) è opportuno sostituire tutte le consonanti del testo con la m. Il suono prodotto avrà un bel colore rosso, molto adatto alla musica di quel periodo.
Per ottenere attacchi morbidi si eviti la fase di apnea – anche breve – dopo l’inspirazione. Se la si fa vuol dire che le corde vocali vere si chiudono bene per evitare la fuoriuscita dell’aria. Ma quando si aprono per attaccare il suono possono facilmente dare l’effetto “tappo di spumante”, causando il classico “attacco di glottide”. È un attacco duro, spigoloso. Da evitare. Per evitare di emettere la vocale è (accento grave) troppo aperta e quindi sgradevole, si pensi a una i mentre si canta la e. Attenzione però a fare il contrario, modificando le i in e (Domenus anziché Dominus). Spesso lo fanno i tenori, e ultimamente anche i soprani… Nello stesso modo, per evitare le a troppo aperte e “triangolari”, orizzontali e spigolose, si pensi a una o mentre si canta la a. Il risultato sarà una a rotondeggiante. Da fuggire come una cosa inopportuna e antiquata mutare la u in regione medio-acuta in una più comoda o (Alleloia anziché Alleluia!).
Per innescare in un cantore la respirazione diaframmatica con la necessaria espansione della fascia addominale, è molto utile mostrare immagini e video relativi a ciò che deve succedere, ma dal punto di vista pratico normalmente basta fare un breve esercizio. Ci si mette di lato al cantore posizionato con le spalle appoggiate a una parete. Mentre gli si chiede di “soffiare fuori l’aria” nello stesso momento si spinge con una certa decisione verso l’interno la sua mano aperta appoggiata sul suo ombelico. Dopodiché gli si chiede subito di inspirare dalla bocca e si “tira” in fuori la sua mano verso l’esterno. Il gioco è fatto: la parete addominale seguirà la mano e si amplierà verso l’esterno. Ma attenzione: funziona quasi subito con gli uomini, mentre con le donne ci vuole un po’ più tempo a causa del fatto che, dopo la pubertà, la loro respirazione si alza notevolmente rispetto a quella di un uomo, perché si preparano alla futura eventuale gravidanza.
Questo contributo termina con la descrizione di alcuni “trucchi del mestiere”. Ciò non ingeneri la falsa idea che il cantare sia una cosa da “prestigiatori”, avvolta nel mistero e posseduta da pochi fortunati predestinati. In realtà si tratta di una scienza, con i suoi parametri, le sue leggi e le sue necessità. Le conoscenze in campo fisiologico e foniatrico ci spingono continuamente verso nuove consapevolezze, che rendono l’arte del canto sempre più distante dalle antiche credenze. Esse erano ancora legate a sensazioni personali o tradizioni tramandate, che a ogni passaggio venivano distorte a causa della precarietà delle basi scientifiche.

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