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La voce al centro
L'esperienza del foniatra,
direttore e compositore Marco Podda

di Walter Marzilli
dossier "La voce del cantore", Choraliter 53, settembre 2017

Foniatra, compositore, direttore di coro, Marco Podda riesce a essere il punto di incontro di diversi modi di analizzare la voce, dal punto di vista medico e nel suo utilizzo artistico. Nato come cantante e chitarrista, studia poi composizione, direzione, medicina e chirurgia. Consulente foniatrico di vari teatri, docente di Fisiologia ORL e Foniatria della voce artistica, ha fondato e dirige diversi cori. Si divide tra professione medica, insegnamento, direzione e composizione, con un catalogo di oltre 200 numeri di opus, eseguiti e pubblicati in Italia e all’estero. La voce è al centro delle sue diverse professioni, facce della stessa medaglia. In questa intensa attività i cori costituiscono un interesse peculiare ed è per questo che abbiamo voluto trattare questo specifico segmento del mondo della musica vocale attraverso lo sguardo di un professionista che probabilmente guarda al suono prodotto dal coro da un punto di vista diverso.

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Nell’attività regolare dei cori, la cura dello strumento-voce raramente rientra nelle priorità…

Non posso dare una regola universale su modalità e priorità. Ovviamente io non posso esimermi dal guardare all’attività corale anche attraverso la lente professionale da foniatra e quindi, secondo me, una delle priorità nell’approccio al corista è innanzitutto inquadrare a grandi linee la corretta estensione e tessitura. Questo è già un grande lavoro e una grande responsabilità, anche perché ci sono tante realtà vocali estremamente dissimili una dall’altra. Nelle formazioni che utilizzano coristi con una tecnica vocale evoluta e con alle spalle un percorso di maturazione musicale, l’individuazione dell’ambito tessiturale è secondaria alla selezione per timbro, dinamica e velocità di lettura e apprendimento della parte. Quando ci si trova invece di fronte cori dove si fa anche formazione con soggetti nuovi che non solo non hanno esperienza vocale, ma proprio non hanno mai cantato, la classificazione è molto più difficile perché hanno ovviamente lacune tecniche di emissione, quindi si possono commettere errori che saranno in alcuni casi penalizzanti a livello psicologico e vocale. Inoltre l’imprinting del tipo di suono che devono emettere può condizionarli pesantemente per il resto della loro carriera, seppur amatoriale, di coristi quando non arrecare anche patologie cordali. 

Una volta individuati gli ambiti vocali, sarebbe fondamentale proporre a queste voci il repertorio adeguato alle loro possibilità… 

Personalmente non ho mai diretto cori formati esclusivamente da cantori esperti, ma ho sempre formato coristi, quindi per me il fatto di creare “nuove realtà vocali” è stato un fenomeno predominante rispetto alla determinazione della letteratura corale, che ho sempre scelto non in base a quello che mi piaceva, ma nell’ottica di non condizionare pesantemente la vocalità dei miei coristi. Questo è secondo me il primo grosso dilemma che un direttore di coro deve porsi in maniera etica. L’altro grande spartiacque si pone invece tra quello che si vuole fare a livello di didattica e quello che si vuole fare per ambizione personale. Ci sono repertori che adoro ma che non ho mai affrontato perché ritengo non siano adeguati al mio coro. Ovviamente questo può essere frustrante per i coristi che si sentono più evoluti e rodati e ambirebbero a qualcosa di più. La scelta del repertorio che tenga conto della salute vocale del gruppo non suscita necessariamente gratitudine nel singolo corista, il quale tuttavia non sempre è capace di una lettura critica del proprio status quo di emissione vocale. Soprattutto l’imprinting psicologico della prassia fonatoria non corretta può essere pesante: si può acquisire e automatizzare una modalità di emissione della voce cantata che sarà difficilissima da rimodellare in mancanza di seri studi di tecnica vocale. L’impostazione di base della vocalità del corista è estremamente importante. Anteporre la scelta del repertorio alle competenze vocali che attualmente si hanno a disposizione può comportare un adeguamento della risorsa vocale alle pianificazioni musicali, con conseguenti usi impropri, specialmente nella classificazione del corista.   

Ci sono grandi differenze tra chi inizia a fare attività corale da bambino e chi inizia da adulto? 

Dipende sempre dall’esperienza che si intraprende. Conosco persone che hanno cantato da bambini e sono diventati eccellenti professionisti vocali, ma nella mia esperienza foniatrica ho visto anche molti soggetti che hanno cantato nei cori da bambini con classificazioni sbagliate e che nel post muta vocale non sono mai riusciti a ottenere un equilibrio fonatorio. I cori dei bambini che si dedicano a un repertorio classico sono numericamente inferiori, ma hanno di media un’esigenza competitiva musicale superiore ai cori amatoriali degli adulti, quindi la classificazione dei coristi è abbastanza rapida in un’età in cui la struttura laringea ha un’evoluzione enorme ed è spesso pesantemente sottomessa al repertorio da eseguire. Dobbiamo preservare qualunque voce si addentri nel campo della vocalità, tanto più se infantile.   

Quali dinamiche si innescano rispetto ai coristi (e ai loro eventuali problemi vocali) in un direttore che è anche foniatra?

Il foniatra è come un meccanico che aprendo un cofano sente un rumore e immagina immediatamente quale sia la parte meccanica logorata o non perfettamente funzionante che lo produce. Non ho mai mandato via nessun corista con disordini fonatori, ma ho proposto percorsi di didattica se il problema consisteva nell’aspetto tecnico, o di terapia e di riabilitazione, se c’era un problema organico e/o disfunzionale.   

Il riscaldamento è un buon momento per poter costruire con i coristi una base omogenea e dare loro i mezzi per occuparsi della salute vocale.

Il mio riscaldamento vocale è personalizzato a seconda delle sezioni, non faccio cantare tutti assieme. L’impegno della struttura laringea nella frequenza è assolutamente dissimile in una voce mediana, acuta o grave. Le voci mediane sono statisticamente maggiormente rappresentate rispetto ai più rari antipodi, quindi è inutile insistere in un riscaldamento vocale su frequenze estremamente acute o gravi. Personalmente inizio con vocalizzi modulari, dagli ambiti vocali gravi verso l’alto e viceversa. Altrimenti la voce non si scalda, si consuma.

Quali sono i sintomi delle patologie più diffuse in ambito corale?

Un sintomo da considerare è il fatto che un corista al termine di una prova di due ore abbia una voce affaticata e sia disfonico, ovvero avverta nel parlato un’alterazione della voce. In condizioni normali, due ore di prove non modificano la voce. Se ciò avviene, significa che durante quelle due ore il corista ha avuto un atteggiamento ipercinetico, cioè ha usato molta più energia, fatto molta più fatica, ovvero che l’accordo pneumofonatorio non è congruo. Ovviamente oltre le due ore si può avvertire un affaticamento, ma lo standard delle prove regolari di un coro amatoriale solitamente non supera questa durata. Quando sul settore medio-acuto è difficile mantenere l’intonazione su una nota tenuta e la nota tende a calare, mentre la voce è “indietro” e non si riesce a eseguire un crescendo o un diminuendo, vuol dire che è tecnicamente male inquadrata o comunque ha un difetto a livello respiratorio e di sostegno. Se è difficile comprendere il testo ovvero non si riesce ad articolare, vuol dire che l’appoggio non è stabilizzato. Quando non si riesce a mantenere una lunghezza di fiato media, vuol dire che c’è un difetto di adduzione cordale, per cui c’è un grande consumo d’aria rispetto alla produzione di suono. Tutto questo a grandissime linee.

Le patologie sviluppate dai coristi sono diverse da quelli dei cantanti d’opera?

Stranamente il cantante d’opera ha altre patologie. Gran parte delle patologie del cantante professionista sono di tipo organico, che si riflettono in ambito fonatorio. Si tratta ad esempio di allergie, calo dell’immunità, aumento della pressione arteriosa e della frequenza cardiaca, reflusso gastroesofageo, lombalgie che normalmente si riflettono sulla postura e sulla respirazione. Ci sono anche cantanti lirici con patologie a livello cordale, ma nel 90% dei casi sono patologie di tipo acuto, dovute o ad altri fenomeni morbosi, afferenti soprattutto alle vie respiratorie, o a fenomeni infettivi. Dal punto di vista dell’analisi specialistica, su 100 professionisti vocali che hanno disordini vocali, il 10% avrà alterazioni anatomiche a livello cordale, mentre la percentuale aumenta al 25% nel cantante amatoriale. In questo caso le alterazioni della tecnica vocale di emissione arrivano al 40%. 

L’utilizzo scorretto della tecnica vocale influisce su suono, estensione, dinamica. Sono problemi di disomogeneità del gruppo (e quindi della resa generale) che riguardano la maggior parte dei cori amatoriali, formati da soggetti con esperienze e capacità molto diverse.

Qualsiasi problema di carenza tecnica di emissione, se preso singolarmente, è molto evidente. Ma il coro è un insieme di soggetti che cantano assieme e quindi, se nelle singole sezioni si eliminano le più evidenti macroproblematiche intonative e di ritmo, il problema della preparazione eterogenea può essere mascherato. Sicuramente in alcuni repertori con esigenze vocali particolari, l’utilizzo scorretto della voce si slatentizza subito. 

Quando il risultato non ideale è causato “semplicemente” da carenze tecniche, la soluzione comporta solitamente un lavoro aggiuntivo da parte del direttore e molta pazienza da parte degli altri coristi…

Ho scelto di non fare selezione e questo ovviamente ha suscitato sempre critiche da parte dei coristi più esperti che chiedevano maggiore severità nell’approccio alla scarsa abilità tecnica del singolo, per non rallentare il lavoro di tutti. Io però non ho mai pensato di fare il direttore di coro in quanto tale, ovvero immaginando una carriera in questo campo. L’ho fatto perché mi affascina l’utilizzo e il riutilizzo della voce. Mi interessa l’aspetto divulgativo, anche perché ho la fortuna di poter considerare la musica un’altra professione, non un hobby. Questo mi consente di avere una certa libertà e indipendenza di pensiero. Inoltre gli ambiti delle mie due professioni in gran parte si toccano e si intersecano.

Come compositore scrive molto per le voci e come le considera nella sua scrittura?

La musica vocale e per coro rappresenta circa il 50% del mio catalogo. Ho iniziato a scrivere per le voci imitando, emulando e sperimentando come tutti, ma senza prestare veramente attenzione alle problematiche specifiche dello “strumento voce”. In seguito ho cercato di scrivere brani pensando alla loro reale eseguibilità, ovvero domandandomi: potrei proporre questo brano al mio coro amatoriale ed eseguirlo con una buona resa? Iniziando a pormi interrogativi sulla fattibilità, ho ovviamente piegato alcune esigenze espressivo-tecnicoscritturali all’eseguibilità da parte dello strumento-voce. Mi rendo conto di quanto questo sia un fattore generalmente trascurato. Chiunque studi composizione impara di non poter richiedere mai un la bemolle acuto da un fagotto, perché sarebbe assurdo e sbagliato. Perché allora non è sbagliato richiederlo a uno strumento come la voce? Personalmente ho cercato, nel pormi dei limiti, di mantenere il mio obiettivo linguistico-espressivo, ma con caratteristiche di orchestrazione fisiologica dello strumento voce. In seguito ho considerato il coro come uno strumento aggiunto all’orchestra, ma non necessariamente con un utilizzo da coro concertato. Ora sto andando verso l’utilizzo “obbligato” dello strumento-coro nell’ensemble sinfonico, dove la parte testuale (cantata o frammentata) si riduce a un pretesto semantico. Da compositore cerco di trattare la voce tenendo conto dei suoi limiti estensionali e di orchestrazione imposti dall’ortofisiologia vocale. 

Obiettivi artistici e considerazione dei limiti vocali, ovvero delle specifiche esigenze vocali del repertorio non vanno sempre di pari passo.

Ci sono repertori in cui la vocalità è più pesante, più dedicata a professionisti vocali. Non per questo sono preclusi ai cori amatoriali, ma occorre porsi la domanda di come eseguirli. Ho ascoltato per esempio esecuzioni ben costruite di brani del repertorio tardoromantico tedesco e dell’espressionismo con coristi dalla vocalità non completamente formata dal punto di vista tecnico, assieme a strumentisti oppure orchestre di professionisti. Tuttavia mi domando: se in questo contesto esecutivo ci fosse un utilizzo di strumenti barocchi dalla dinamica esile e dal suono antico, esso verrebbe molto criticato e contestato in quanto risulterebbe stridente per questo repertorio anche alla sensibilità dell’ascoltatore medio. Per quanto riguarda la parte vocale, invece, perché ci si pone poche volte il problema di questa diversità tecnica di emissione e viene accettata la “sbiancatura” timbrica? Ritornando al tema della salute vocale: se abbiamo parti abbastanza impegnative dal punto di vista dinamico e ipertrofizzate verso il registro tonale acuto, una voce che non abbia la copertura, il sostegno e l’immascheramento sufficiente, ha un aumento del tempo di contatto cordale ampio, quindi soffre. Anche se il risultato estetico potrà essere gradevole nell’assieme corale, mi domando se per questa voce sia corretto affrontare questo repertorio senza prima aver seriamente studiato il canto.

Ed è forse giusto dal punto di vista estetico-musicologico?

Lo sarebbe se ritenessimo in modo generalistico che si può affrontare qualsiasi repertorio in qualsiasi modo e con qualunque strumento. Se questa affermazione ci sembra uno scandalo, allora evidentemente in ambito amatoriale esistono incongruenze di pensiero e analisi rispetto a esecuzione, produzione e utilizzo del prodotto musicale. Sicuramente sono cambiati i tempi; oggi con la digitalizzazione e internet le informazioni costano meno e hanno un’altissima velocità di scambio e veicolazione, quindi è più facile trovare repertori corretti alle voci che si hanno a disposizione, pianificare programmi concertistici, guidare l’estetica della fruizione corale, anche se amatoriale.

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