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Tradizione e innovazione nel nome della storia:
Il Grande Coro Piemontese

di Eleonora Briatore, Raffaella Tassistro
dossier "Speciale Grande Guerra", Choraliter 57, gennaio 2019

Quando si progetta un evento si ha un’idea di massima, un’ispirazione che fa da filo conduttore e che unisce il primo pensiero all’ultimo applauso, ma quello che fa la reale differenza è il nome del progetto, il titolo. In questi ultimi quattro anni si è parlato molto della prima guerra mondiale e anche se all’inizio si è partiti un pochi nel 2014 e molti nel 2015 – del resto la nostra Italia ha combattuto la stessa guerra su fronti diversi – alla fine ci si è ritrovati tutti a commemorare la conclusione di una guerra che ha unito il tessuto connettivo delle nostre tradizioni, attraverso una grande officina di scrittura, portandole verso una profonda consapevolezza di unità linguistica. 

Si sta come
d’autunno
sugli alberi
le foglie

Soldati, Bosco di Courton, luglio 1918, Giuseppe Ungaretti

La parola dunque domina il primo conflitto mondiale in modo indelebile tanto che cento anni dopo, dimenticati i morti, le fatiche e i colpi di cannone, rimangono gli scritti; ed è proprio a uno di questi scritti che ci ispiriamo per il nostro progetto. Certo non ci affidiamo a una penna qualunque ma rimaniamo folgorati dall’incipit della breve poesia di Giuseppe Ungaretti: Si sta come d’autunno… Nasce così il primo vero progetto del Grande Coro Piemontese, formato da coristi appartenenti a diversi cori, di vario organico, iscritti all’Associazione Cori Piemontesi.
Le elaborazioni dei canti della Grande Guerra a opera di Mauro Zuccante sono la base del progetto musicale che viene articolato in tre blocchi distinti: brani a sole voci maschili e a sole voci femminili con accompagnamento di pianoforte e brani per coro misto accompagnato da ensemble di archi.
Il repertorio viene scelto per dare immaginaria voce ai protagonisti del periodo che si intende raccontare. Le voci maschili cantano dei soldati che vanno al fronte: intonano Senti cara Nineta, canto dei coscritti veronesi richiamati al fronte, che lasciano a casa le loro amate per andare a compiere il loro dovere di alpini; Bersagliere ha cento penne, un canto in cui sono assenti riferimenti a episodi bellici ma che mettono in risalto le qualità del soldato, la capacità di resistere alle difficoltà e il coraggio; Al comando dei nostri ufficiali, un inno ottocentesco che trova la sua naturale collocazione nel periodo 1915-1918 in cui si alternano obbedienza, coraggio e un pensiero per le madri.
Le voci femminili, invece, intonano le note di Monte Nero, il canto che celebra l’azione che si svolse nella notte tra il 15 e il 16 giugno 1915, protagoniste cinque compagnie dei battaglioni Susa ed Exilles del III Reggimento Alpini di tradizione Piemontese; Dove sei stato mio bell’alpino, un brano permeato di una forte umanità che si muove tra la tenera cura della donna e la descrizione dura della battaglia sull’Ortigara; Pacem meam do vobis, composizione originale sui versi di padre David Maria Turoldo, contestualizzato nel percorso storico evocativo, come un auspicio di pace per le nuove generazioni.
Per concludere, il grande coro a voci miste che si esprime attraverso i canti storici della prima guerra mondiale intonando Ta Pum, Monti Scarpazi, Era una notte che pioveva e Sul ponte di Bassano alternando ballate di tradizione epico-lirica e serenate dei primi anni del Novecento riadattate sul nuovo contesto storico; non potevano mancare due canti con una forte connotazione autoctona della montagne che hanno fatto da scenario alla Grande Guerra come la ninna nanna della Val Lagarina (Fente le nane, fentele cantando) concludendo con il famoso brano friulano Ai preât la biele stele, costruito su una villotta. Il testo, ovviamente in lingua friulana, esprime l’accorata preghiera di chi, da civile, è coinvolto nel dolore della guerra, e si rivolge a un raggio di luce che possa rischiarare il buio del presente. 

Un percorso fatto di suoni e parole che ha emozionato il pubblico fin dalle prime note nell’alternanza delle voci e degli strumenti accompagnatori. Un percorso articolato e complesso che non si sarebbe potuto realizzare se non con un grande lavoro di squadra: Associazione Cori Piemontesi ha saputo trovare le risorse necessarie e coagulare intorno a questa proposta l’entusiasmo di ottanta coristi di tutte le età, provenienti dalle più disparate esperienze corali, uniti dalla passione del canto e dal desiderio di lavorare sotto la guida di un musicista affermato e coinvolgente come Marco Berrini che con energia e professionalità ha conquistato il coro e l’orchestra.
La vera unità di intenti e l’obiettivo di portare a casa un risultato condiviso hanno consentito di superare alcune difficoltà organizzative e i disagi legati alla distanza; date queste premesse è stato possibile effettuare una buona preparazione (coadiuvati da due giovani maestri, Cris Juliano e Fabrizio Engaz), per affrontare la fase di concertazione con orchestra e pianoforte curata dal maestro Berrini. I sacrifici sono stati ampiamente ripagati dall’esecuzione dei brani in tre concerti realizzati in luoghi di prestigio: Teatro Il Maggiore di Verbania (28 ottobre), Duomo di Torino (3 novembre) e Sala San Giovanni di Cuneo (1º dicembre), sempre con una grande partecipazione di pubblico e autorità.

Dopo i saluti di rito, finalmente coro e orchestra sono pronti: dal silenzio emerge l’atmosfera rarefatta della musica di Mauro Zuccante, un tappeto sonoro evocativo e ricco di suggestioni e sottolineature, sul quale i coristi, stretti l’uno all’altro quasi come in trincea, intonano i canti: una narrazione musicale che racconta fatti realmente accaduti ma che soprattutto mette in vibrazione le corde profonde di emozioni legate ai vissuti sonori di tante generazioni che la guerra l’hanno sperimentata o l’hanno sentita raccontare proprio attraverso i canti della tradizione; il racconto doloroso di enormi sofferenze, perdite e lutti che diventa però anche occasione per esprimere i sentimenti umani in tutte le loro complesse sfaccettature: l’amore, il dolore, la malinconia, la gioia del ritrovarsi e la condivisione della sofferenza e della paura.
Un turbinio di emozioni che diventa denso e quasi tangibile in quell’istante sospeso tra l’ultima nota del concerto e l’esplosione liberatoria dell’applauso che come una catarsi riporta il pubblico al momento presente.
Certamente un’esperienza emotivamente pregnante, sottolineata anche dalle parole del presidente Feniarco Ettore Galvani che ha espresso il rammarico per la scomparsa del canto in famiglia e nella quotidianità, come segno della perdita di interesse per la memoria storica e per l’identità nazionale.
E proprio questo è stato il valore dell’iniziativa: salvaguardare la memoria di un evento estremamente significativo della nostra storia e della nostra identità, raccontandolo e rivivendolo attraverso i sentimenti di un popolo, espressi e trasfigurati da un’espressione artistica potente quale è la musica che eseguita e ascoltata insieme cura le ferite e, intensamente, tiene vivo il ricordo.

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