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Canti di lavoro e tradizione popolare del Lazio

di Ambrogio Sparagna
dossier "I canti del lavoro", Choraliter 46, aprile 2015

I canti di lavoro rappresentano un genere musicale assai vario e ampio che si caratterizza per la presenza sia di canti specifici, utilizzati per ritmare il lavoro (soprattutto collettivo), che di quelli destinati ad accompagnare il tempo del lavoro individuale e collettivo. I canti che appartengono al primo tipo hanno strutture ritmiche e impianti melodici in diretta corrispondenza con le precise necessità funzionali a cui sono destinati. Gli altri presentano modi e forme rappresentative assai diverse fra loro e si caratterizzano per una serie di riferimenti specifici sia alle modalità che alle condizioni del lavoro. Questo forte legame con le tematiche dell’esperienza lavorativa li connota come canti sociali. Il canto di lavoro è presente in tutte le culture popolari. La sua esistenza è strettamente connessa col tipo di lavoro con cui si accompagna, tanto che la crisi di un certo tipo di lavoro genera direttamente l’estinzione della pratica del canto specifico. Nella maggior parte dei casi questo genere di componimento sonoro non ha accompagnamento strumentale. La voce, sola o in gruppo, intona il canto sullo sfondo di rumori di lavoro che talvolta diventano intermezzi ritmici del canto e quindi parte strutturale del canto stesso.

Appartengono al genere di canti di lavoro anche i richiami, le grida, gli incitamenti e i segnali, i quali non hanno quasi mai una funzione ritmica diretta ma contribuiscono in modo determinante alla condivisione collettiva dell’azione lavorativa. Rientrano in questo gruppo anche i richiami pastorali, le grida dei venditori ambulanti, gli incitamenti agli animali da soma, i segnali della pesca, ecc. Le profonde trasformazioni introdotte nelle tecniche del lavoro manuale hanno determinato il cambiamento e in molti casi la scomparsa di questo genere di canto un tempo diffusissimo dovunque nel nostro Paese. Oggi questo repertorio si conserva soprattutto nella memoria di anziani lavoratori che con i loro gesti e i lori antichi suoni rappresentano la testimonianza vigile di un passato che è parte essenziale della nostra storia sociale. Una delle peculiarità del repertorio italiano è quella di essere legato ad attività lavorative che impegnavano gruppi abbastanza numerosi di lavoratori sia essi uomini che donne. È questo l’esempio dei canti in filanda, in risaia (tipico del repertorio delle mondine) e di molti altri modi legati alla varietà dei lavori agricoli. Nel territorio laziale il repertorio di canti di lavoro è fortemente connesso al lavoro contadino. In particolare ancora largamente diffusi e praticati sono quelli legati alla raccolta delle olive nell’area della Sabina e quelli per la raccolta del tabacco diffusi nella Valle del Liri.
Nel territorio laziale la musica tradizionale conserva ancora importanti isole di persistenza culturale, tanto che in alcune aree è possibile incontrare repertori di grande interesse, a testimonianza di quello che è stato fino agli anni Settanta un vero e proprio sistema musicale autonomo. Questa variegata e originale cultura possedeva al suo interno diversi livelli di produzione e di competenza, tramandati oralmente da tanti cantori e strumentisti, alcuni dei quali in possesso di un alto livello di specializzazione tecnica. Di quella antica varietà di repertori oggi è rimasta solo una piccola parte, in particolare quella legata alla vita sociale di alcune comunità agro-pastorali. In questi contesti culturali alcune pratiche rituali tradizionali come ad esempio le feste patronali religiose, i pellegrinaggi, i riti del carnevale, le serenate, sono ancora momenti in cui la musica popolare rappresenta il segno connotativo di una comunità. Oggi da più parti assistiamo a un rinnovato interesse per il recupero di forme musicali tipiche del mondo contadino. Un esempio è la diffusa proliferazione in tutto il territorio regionale di numerosi gruppi musicali di riproposta e di centri di documentazione sulle forme della cultura tradizionale, che pongono come asse centrale e immediato della loro ricerca il recupero e la riproposta di canti popolari. È però qui necessario sottolineare che, nonostante gli importanti contributi scientifici che l’etnomusicologia italiana ha dato alla conoscenza del nostro folklore, il repertorio dei canti popolari è ancora poco conosciuto. Un esempio indicativo è la relativa diffusione di questo repertorio in ambito scolastico nonostante i programmi ministeriali da anni affermino la centralità dell’uso dei canti popolari per una concreta alfabetizzazione musicale di base. Sappiamo ancora poco e quel poco che si conosce è destinato a scomparire a causa delle numerose difficoltà che questo repertorio incontra nel continuare a sopravvivere; molti interpreti sono anziani e se non si interviene in modo rapido gran parte del loro repertorio cadrà nell’oblio. Nel Lazio la tradizione musicale contadina si connota per l’uso di scale di impianto modale dove di frequente compaiono intervalli strutturali di II diminuita, IV aumentata, VII diminuita. In questi canti, che spesso sono di argomentazione religiosa, le melodie hanno carattere melismatico e ornamentale e si articolano su piccole estensioni costruite prevalentemente su gradi congiunti. La vocalità prevede un uso frequente di forme monodiche anche se non mancano interessanti esempi di polivocalità che viene impiegata soprattutto per l’esecuzione di brani cerimoniali legati al ciclo della Settimana Santa. C’è una prevalenza di una scansione metrica ternaria che costituisce la base su cui si articola lo svolgimento ritmico di molto repertorio laziale.
Questi elementi si ritrovano in molte aree della regione tanto che è possibile formalizzare alcuni stilemi musicali omogenei che si riscontrano con caratteristiche simili anche in aree distanti. È il caso ad esempio delle analogie strutturali comuni diffuse in zone fra loro distanti come il Cicolano, l’Alta Valle dell’Aniene e l’area dei Monti Lepini, Ausoni e Aurunci.

Accanto a questo tipo di canti nel Lazio sono diffusi altri repertori caratterizzati da impianti melodici tonali che impiegano gradi congiunti e hanno ambiti più estesi. In alcuni casi su questo genere di melodie si applicano modalità esecutive polivocali a due o tre parti distinte che talvolta utilizzano formule con terze parallele. È questo il caso dei repertori di tradizione settentrionale diffusi nell’agro romano e pontino a seguito della bonifica avvenuta negli anni Trenta. In questo repertorio, sia esso di tipo religioso o profano, la scansione ritmica si basa su formule binarie.
Rispetto alla ricca presenza di documenti sonori contenuta in vari archivi pubblici e privati e in antologie discografiche, scarso è il numero delle trascrizioni musicali dei materiali contenuti nelle raccolte. Tant’è che, nonostante la datazione ormai obsoleta, l’unica raccolta areale che possiede un adeguato apparato di trascrizioni musicali specifiche è ancora quella di Colacicchi effettuata sui Canti della Ciociaria negli anni Trenta. Le altre trascrizioni riguardano o lavori monografici su singoli paesi o repertori strumentali specifici. In questo contesto privo di adeguati supporti analitici diventa difficile operare per chi intende utilizzare le forme del canto popolare laziale per costruire nuovi repertori. E ancora più complesso per chi voglia rielaborarli proponendoli in ambito corale. In questi particolari contesti le esperienze più frequenti utilizzano trascrizioni già edite realizzate con armonizzazioni stilizzate che annullano la valenza del canto contadino originario, appesantito da incastri polifonici. In questo tipo di elaborazione un elemento che appare evidente è la mancanza di vivacità ritmica che invece costituisce uno degli elementi essenziali del canto contadino. In alcuni di queste elaborazioni la linea melodica originale tende a perdere nell’esecuzione corale il carattere originario. Impiegare forme di canti popolari è utilissimo per l’attività corale. Il canto contadino insegna alla semplicità e all’immediatezza melodica, induce alla sintesi formale, è ricco di espedienti ritmici e di originali interrelazioni linguistiche. Può quindi diventare, specie per cori amatoriali, un’occasione di notevole crescita musicale perché obbliga a superare con naturale progressione le difficoltà insite nel cantare in polifonia. Ma per utilizzare le tante possibilità che questo tipo di repertorio offre è necessario trattarlo in modo sapiente.
Chi elabora un canto popolare deve comprendere che ha fra le mani un tipo di melodia speciale, molto affascinante ma difficile da trattare. Ogni nota sovrapposta deve accrescere le qualità già presenti all’interno del canto stesso ma contemporaneamente non deve appesantirlo. In alcuni casi deve valere la regola della limitazione dell’intervento elaborativo: poche note ma essenziali per restituire il carattere originario del brano. 

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