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Il respiro nelle mani
Ovvero la musica "prima della musica"

di Dario Tabbia
dossier "Il pilastro del canto", Choraliter 60, gennaio 2020

è il 1982. In uno dei tanti corsi che il maestro Fosco Corti teneva in Italia in quel periodo, un allievo registra la lezione su una musicassetta… Dall’audio si intuisce che un altro allievo è in difficoltà nell’iniziare un brano con il coro, prova più volte senza grandi risultati. A un certo punto il maestro gli dà gli ultimi consigli e infine, allontanandosi, gli svela il più importante: «E ricorda… il respiro è già canto!».

Non sarò mai abbastanza riconoscente nei confronti di chi, inconsapevolmente, è riuscito a registrare e a tramandarci questa frase che, non solo per me, è diventata una delle basi sulle quali impostare l’attività direttoriale.
Per questo motivo l’ho scelta come titolo del libro che racchiude le testimonianze che Corti ha lasciato sotto forma di appunti o registrazioni. Quello che mi ha sempre affascinato è l’infinita valenza di significati che quella semplice frase racchiude.
Le problematiche relative alle tecniche di respirazione sono ben note a chiunque si occupi di canto. Molte sono le teorie a riguardo che portano pertanto a pratiche diverse, spesso con risultati contraddittori. Basti pensare a quanti allievi di canto viene insegnato di spingere in basso e in fuori la pancia mentre ad altri di farla rientrare innalzando il torace. Le due azioni di appoggio e sostegno vanno spesso a discapito l’una dell’altra, impedendo così quel bilanciamento fra le forze opposte, evitando ogni tipo di forzatura, che è invece alla base di una corretta respirazione. A tale proposito ecco il parere del celebre foniatra Franco Fussi: «La corretta respirazione nel canto, come anche l’uso della voce, è il risultato di un equilibrio fisiologico dell’azione di muscolature antagoniste. Come tutto l’equilibrio in natura è il gioco degli opposti, anche la gestione della respirazione nel canto si basa sul rapporto tra le esigenze di controllo della pressione dell’aria che attraversa e mette in vibrazione le corde vocali. Essa va calibrata in modo da economizzare il fiato in base alle necessità della frase musicale». Questo significa quindi ricercare un equilibrio fra l’azione di appoggio e quella di sostegno.

Tuttavia, al di là dell’aspetto tecnico, la frase di Fosco Corti riassume un modo di pensare, di vivere la musica. Sicuramente il gesto che precede l’inizio di un brano o di una semplice frase deve indicare con esattezza il respiro del cantante che la esegue, sia dal punto di vista ritmico che da quello espressivo, ricercando un equilibrio fra chiarezza ritmica e rispetto delle esigenze fisiologiche legate ai muscoli interessati alla respirazione da parte del cantante. Come lo stesso Corti amava ripetere «un gesto chiaro nasce da idee chiare». È evidente che non si parla solo della sicurezza gestuale con la quale condurre il coro ma di qualcosa di più profondo. La maggior parte dei direttori infatti tende a dirigere un coro e non tanto la musica che il coro esegue. Un vero musicista non può accontentarsi di una semplice esecuzione per corretta che essa sia, ma ha il compito di approfondire il significato della musica, di ciò che essa significa e che vuole comunicare. Quando si parla di canto non si intende semplicemente una serie di suoni eseguiti con la voce ma di una interpretazione emotiva sottintesa e che in questo caso è affidata alla voce umana. Non esiste canto che non sia espressivo, da quello che accompagna il sonno del neonato a quello festoso dei rituali popolari a quello di elevazione spirituale.

Se accettiamo l’idea che il respiro sia canto, dobbiamo soffermarci ulteriormente sul significato della seconda parola che rappresenta il fine ultimo del respiro che lo precede. Di quale canto stiamo parlando? A quale canto stiamo per dare vita? Questa è la vera domanda che il direttore deve porsi prima del gesto iniziale, senza accontentarsi di sapere se il brano cominci in battere o in levare, se il suono debba essere forte o piano. Il compito di chi interpreta è di dare un significato alla musica che il compositore ci ha affidato sotto forma di notazione musicale, di per sé fredda e approssimativa. Per questo motivo il respiro che egli indica non può limitarsi a una semplice indicazione della velocità con la quale respirare o del momento esatto in cui farlo.
Il gesto del respiro deve anticipare il carattere del brano, il suo significato, deve evocarne l’atmosfera nella quale si svolge. È necessario pertanto respirare già nella predisposizione emotiva che il brano richiede e senza questa accortezza il suono che ne deriverà sarà magari corretto ma privo del significato necessario. La qualità di un suono deriva direttamente dalla qualità del respiro che lo ha preceduto. Ma è necessario ricordare che il respiro per un cantante equivale spesso al gesto in levare di un direttore. In entrambi i casi siamo in quella fase inudibile che precede l’attacco, il suono, l’inizio della musica stessa. È un momento magico, carico di aspettative, di speranze e, perché no, di sogni, è il foglio bianco di fronte allo scrittore, la tela ancora da dipingere. È il momento in cui tutto è ancora possibile, l’attimo che fra poco quel gesto e quel respiro trasformeranno in realtà. Troppo frequentemente il gesto non è abbastanza consapevole di tutto questo e si limita a una semplice indicazione ritmica di quando cantare senza preoccuparsi del come cantare. Stabilire una perfetta sintonia fra queste due azioni è alla base di un’esecuzione tecnicamente ed espressivamente perfetta. La musica esiste prima della sua manifestazione, così come le idee precedono le azioni e le intuizioni le scoperte. Non credo sia possibile iniziare un brano senza avere interiorizzato tutto quello che il brano stesso significa, quale sia il suo contenuto, il suo messaggio. Per questo motivo è necessario prestare attenzione a un aspetto molto importante e che riguarda un ulteriore respiro, quello cioè che precede il gesto vero e proprio del direttore.

Se, come abbiamo visto, la qualità del suono dipende dal respiro che lo precede, allora bisogna considerare che il gesto del direttore è a sua volta preceduto da un respiro interno, invisibile, che darà movimento al braccio e da questo seguirà il suono. Che cosa è questo respiro interno? Nulla più della consapevolezza fisica necessaria per dare inizio al brano in questione. Così come l’atto del cantare è legato a una serie di azioni muscolari o più in generale di ordine fisico che determinano una serie di tensioni o distensioni del tono muscolare, lo stesso deve avvenire per il direttore durante l’esecuzione e, a maggior ragione, nell’istante che la precede. A seconda del carattere che vorremo dare, il tono muscolare si predispone di conseguenza in modo tale che il segno del respiro sia già inserito in un contesto preciso. La chiarezza di quale suono il direttore desidera ottenere determina quindi prima in sé stesso una attivazione del tono muscolare che darà l’impulso al gesto che indicherà il respiro, in modo tale che il suono sia la logica conseguenza di questa successione. Il cantante quindi, se il direttore è stato davvero chiaro, non vede solo il segno del respiro ma anche qualcosa che lo anticipa. È come se ci fossero due indicazioni e non una sola e questo riduce al minimo la possibilità di equivocare il gesto. In questo modo non abbiamo garantito solo l’esattezza dell’attacco ma soprattutto il giusto suono (altra espressione frequente del maestro) che appartiene a quel brano in particolare e a nessun altro.

Dal punto di vista della tecnica gestuale vorrei inoltre ricordare che per gestualità dobbiamo intendere ogni sorta di movimento che possa aiutare un’esecuzione. Se il braccio e la mano rappresentano sicuramente la parte più visibile, non bisogna dimenticare l’importanza sovrana dell’uso del viso e dello sguardo. A essi è affidato un compito esclusivamente espressivo mentre al braccio quello più tecnico, legato alla esattezza della esecuzione. Esemplificando al massimo, al braccio è affidato il compito del quando cantare, al viso quello del come cantare. In questo senso sarà quindi indispensabile affidare all’espressione del volto e dello sguardo quel respiro interno che anticipa quello che il movimento del braccio tradurrà in un respiro per chi canta. Non si può cantare bene se si respira male o anche semplicemente non nello stesso modo o nello stesso momento. Molto spesso l’attacco di un coro non è preciso proprio perché il respiro dei coristi non solo non avviene simultaneamente ma anche in modo casuale, senza una impostazione comune. Questo disordine, come è facilmente intuibile, non può che creare una serie di problemi che non si esauriscono nei primi istanti di esecuzione. L’aspetto più negativo consiste proprio nella mancanza di intenzione comune che ovviamente rivela l’assenza di una uniformità emotiva indispensabile per entrare nel modo giusto dentro al suono richiesto. Credo sia indispensabile vivere il respiro e il gesto che lo invita come uno dei momenti più emozionanti di un’esecuzione corale, perché rappresenta l’istante magico che precede il manifestarsi stesso, un gesto creativo di ancestrale memoria. Ogni direttore dovrebbe essere sempre consapevole di quello che riceve dai propri coristi e avere chiara la responsabilità che deriva dall’accettare un dono prezioso: quello che ci offre chi affida il proprio respiro nelle nostre mani.

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