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Ritorniamo all'antico, sarà un progresso
Intervista a Claudio Chiavazza

di Efisio Blanc
Portrait, Choraliter 48, dicembre 2015


Se non sbaglio, in quanto musicista, tu nasci come clarinettista. Che cos’è che ti ha portato verso la musica corale?

Direi che è stato un caso: quando ho iniziato gli studi in conservatorio, attorno al 1970, venne istituito nel mio paese un Corso di Orientamento Musicale a indirizzo corale, da cui ha poi avuto origine la Corale Polifonica di Sommariva Bosco, un coro che per molti anni ha rappresentato un vero laboratorio di coralità, centro promotore di progetti musicali e scambi di esperienze. Per cinque anni ho cantato nel coro; ci si trovava ben tre sere alla settimana e accanto ad armonizzazioni di canti popolari, che rappresentavano allora il genere più praticato dai cori della nostra zona, riuscivamo, grazie alla lungimiranza del nostro maestro, ad assaporare anche le prime esperienze di polifonia rinascimentale: per me era come scoprire un mondo nuovo. Poi mi è stato chiesto di prendere la guida del coro che ho diretto per una trentina di anni.

Tu che sei anche docente di strumento, perché un insegnante dovrebbe incentivare la partecipazione dei propri allievi alle lezioni di esercitazioni corali?

Con questa domanda sfondi una porta aperta; come ho appena detto, alla mia prima fase di apprendimento tecnico-strumentale come clarinettista si è subito affiancata molta pratica del canto corale; sono venuto a conoscenza prima del Cantar Leggendo di Roberto Goitre, poi della metodologia Kodály, che ho poi approfondito andando direttamente alla fonte in Ungheria. Tutti sanno quale e quanta importanza abbia il canto corale in queste (ma non solo in queste) visioni didattiche, non solo per quanto riguarda l’apprendimento della lettura musicale, ma per una più ampia e completa formazione del musicista.

Mi sembra queste ragioni siano valide, perché allora non è sempre così?

A dire il vero io sono a conoscenza di alcuni conservatori in cui la pratica del canto corale ha guadagnato il giusto spazio e gode di ottima considerazione; senz’altro è merito delle capacità di coinvolgere gli allievi da parte degli insegnanti titolari di questa disciplina. Non si può generalizzare, ci sono realtà diverse nelle diverse parti d’Italia, ma sono sempre i buoni insegnanti che fanno buona la scuola; poi ci possono anche essere situazioni, ormai sempre più rare, in cui i docenti di strumento osteggiano le esercitazioni corali perché ritengono che sia una perdita di tempo. Alle volte però sono solo difficoltà dovute alla sovrapposizione degli orari delle molte discipline che gli allievi devono seguire, specialmente a seguito della riforma dei conservatori.

La tua formazione corale poggia saldamente sul repertorio polifonico rinascimentale. Cosa pensi del fatto che si tratta di un repertorio sempre meno frequentato (anche nei concorsi) e cosa si potrebbe fare per rilanciarlo.

Semplicemente perché è molto difficile; è un po’ come suonare Mozart per uno strumentista: subito tutto appare relativamente semplice, almeno sotto il punto di vista tecnico, poi ci si rende conto che questa musica ti mette a nudo; allora molti preferiscono repertori anche più impegnativi tecnicamente, ma senz’altro di più facile effetto, sia per i propri cantori che per il pubblico. Ho assistito a concorsi in cui cori strepitosi e ottimi direttori sono caduti proprio sulla polifonia rinascimentale; ultimamente ho notato che questo succede anche per il grande repertorio corale romantico e del novecento storico e temo che anche questo sia un segno dei nostri tempi. Questo è un po’ preoccupante e sinceramente non saprei come fare per rilanciare questo repertorio; dipende molto dalla convinzione dei direttori di coro, perché se loro sono convinti anche i cantori poi affronteranno con il necessario entusiasmo queste pagine, che solo apparentemente possono sembrare obsolete e lontane dalla loro sensibilità.

Tu hai diretto per diversi anni la Corale Polifonica di Sommariva Bosco, dirigi l’ensemble Gli Affetti Musicali oltre al Coro Maghini: quali sono le affinità e quali le differenze di formazioni così diverse anche per finalità?

Le differenze sono nella struttura di ciascun complesso: da un lato un coro polifonico dedito prevalentemente al repertorio a cappella; dall’altro un ensemble vocale-strumentale specializzato nella musica antica, oppure un coro di grandi dimensioni che lavora prevalentemente con orchestre, entrambi con una forte caratterizzazione professionale. Le affinità invece risiedono unicamente nel proprio modo di far musica e non importa se hai di fronte coristi amatoriali o cantanti professionisti; devi certamente tenere conto delle differenze dello strumento che hai a disposizione, ma in ultima analisi devi sempre dare forma sonora a ciò che la partitura ti suggerisce, anzi ti impone, e lo devi fare senza compromessi. Non credo sia giusto dire, come spesso ho sentito dire, «ma con questi coristi cosa posso fare?»; mi torna in mente una frase di Fosco Corti (uno dei miei maestri, a cui devo moltissimo): «non esistono buoni cori o cattivi cori ma solo buoni direttori o cattivi direttori». Certamente con i professionisti puoi realizzare musiche tecnicamente più difficili e riesci comunque a portare a termine progetti anche complessi in tempi rapidi. Con i cori amatoriali per contro puoi vedere crescere giorno per giorno un programma musicale, condividere con i tuoi cantori l’emozione della scoperta della sua bellezza; anche questo è molto gratificante perché affianca all’esperienza estetica una missione educativa, che secondo me è una parte importantissima del lavoro del direttore di coro.

Hai parlato di Fosco Corti; ma quali sono i maestri con cui ti sei formato?

Direi innanzitutto Sergio Pasteris, per il suo giusto rigore negli anni cruciali del conservatorio; dico cruciali perché se non inizi bene (per gli strumentisti e per i cantanti si parlerebbe di impostazione) poi tutto diventa molto più difficile; senz’altro Giovanni Acciai che specialmente per la polifonia rinascimentale ha dato a molti direttori della mia generazione una visione ampia e nello stesso tempo profonda, sempre sulla base di un approccio filologico alla pagina musicale; fondamentale per me è stato poi l’incontro con Peter Erdei in Ungheria, che sul versante della tecnica direttoriale e per quanto riguarda l’interpretazione del repertorio romantico e contemporaneo è stato un vero maestro.

Tu sei direttore del Coro Maghini di Torino che spesso collabora o ha collaborato con l’orchestra Nazionale della Rai. Come è nato questo coro e quali sono le sue caratteristiche?

Anche questa realtà, che ha fortemente connotato e anche condizionato la mia attività, è nata quasi per caso: nel 1995 l’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai, non potendo più disporre dei propri cori appena disciolti, aveva necessità di eseguire un brano (il Concerto per pianoforte di Ferruccio Busoni) che prevedeva, caso abbastanza insolito, un breve intervento conclusivo di un coro maschile. Mi venne chiesto di sopperire a questa necessità e nell’arco di 48 ore, chiedendo aiuti agli amici direttori con cui avevo già collaborato per la realizzazione di progetti comuni, è stata allestita una formazione corale ad hoc. In seguito siamo stati richiamati per produzioni sempre più impegnative e poco a poco, attraverso audizioni mirate, il coro si è trasformato in una realtà professionale a tutti gli effetti; anche molti coristi della prima ora hanno seguito questo percorso, studiando canto e acquisendo l’adeguata preparazione. Il Maghini si potrebbe definire un coro freelance, con tutti i vantaggi e i tanti svantaggi del caso: si forma di volta in volta con cantanti e organici che variano a seconda del repertorio, delle caratteristiche e del budget di ogni produzione. Ultimamente, anche grazie alla stretta collaborazione con l’Academia Montis Regalis e con il suo direttore Alessandro De Marchi, abbiamo affrontato molto repertorio barocco, tantissimo Bach, con presenze costanti al Festival di Innsbruck e a MiTo Settembre Musica. Grazie a ciò si è formato quello che in questo momento è il nucleo fondamentale del coro; ma in passato e ancora oggi con l'OSN della Rai, accanto a queste pagine abbiamo eseguito un po’ di tutto, da Mozart a Stravinsky, da Beethoven, Brahms, Verdi, Mahler fino agli autori più vicini al nostro tempo come Orff, Gershwin, Britten, Penderecky, con organici fino a 80, 100 voci miste. È stata ed è tuttora un’esperienza esaltante; devo dire che non avrei mai immaginato in quei lontani anni ’70-’80, quando portare a termine un’esecuzione dell’Ave Maria di Arcadelt rappresentava già un risultato di cui essere fieri, che avrei avuto la fortuna di poter realizzare queste grandi partiture sinfonico-corali, collaborando con direttori quali Christopher Hogwood, Helmuth Rilling, Jeffrey Tate, Fruebeck de Burgos.

Ma chi era Maghini?

Rispondo in due parole: per chi lo ha conosciuto è stato innanzitutto un grande maestro; a livello istituzionale è stato, oltre che docente al conservatorio, direttore del Coro Sinfonico della Rai di Torino nei suoi anni migliori; nel momento in cui ci è stato chiesto di formare un coro da affiancare alla appena fondata Orchestra Nazionale della Rai, che come si sa ha sede in Torino, ci è sembrato giusto e doveroso intitolarlo a Ruggero Maghini.

Quali sono le principali diversità nel dirigere un coro amatoriale e un coro professionale o semi-professionale?

In parte penso di aver già risposto a questa domanda; aggiungo che i professionisti sono molto più severi nei confronti del loro direttore; ti senti sempre sotto esame e quindi devi essere sempre ben preparato. Ribadisco solo che la differenza tra il contesto amatoriale e quello professionale non deve far dimenticare che i coristi, siano essi amatoriali o professionali, non sono strumenti ma innanzitutto persone dotate di una sensibilità musicale, di una loro storia e di una voglia di far musica che il direttore deve rispettare e saper valorizzare al massimo livello.

E quali gli aspetti caratterizzanti nel preparare un coro che dovrà esibirsi con l’orchestra, con un altro direttore?

In effetti, rispetto al percorso che mira alla realizzazione di un proprio progetto concertistico, c’è una grande differenza nel modo di affrontare una partitura quando si deve preparare il coro per un altro direttore; in questo caso bisogna essere estremamente oggettivi, non farsi condizionare da una propria idea interpretativa del brano e prevedere anche diverse possibili soluzioni. Questa però non è una fase asettica o impersonale in cui non puoi lasciare una tua impronta; è proprio nello spazio ristretto di questa prima fase di studio, attraverso un lavoro accurato sull’intonazione, sulla pronuncia, sugli equilibri timbrici delle voci, spesso diverse a seconda delle produzioni, che si determina l’identità sonora del coro, una certa qualità del suono che diventa poi elemento caratterizzante e riconoscibile di una formazione corale, anche quando viene consegnata nelle mani di un direttore d’orchestra. Tutto questo deve essere realizzato nei tempi stretti delle produzioni professionali; è una sfida che si rinnova ogni volta, alla ricerca di un equilibrio tra oggettività nella realizzazione sonora del segno e soggettività della tua percezione e immaginazione del suono corale, ma è anche un lavoro estremamente affascinante. Nel corso degli anni ho constatato che la necessità di un approccio oggettivo alla pagina musicale mi ha giovato anche quando sono stato io stesso concertatore e direttore del concerto; mi sono accorto che troppo spesso noi anteponiamo la nostra personalità, il nostro narcisismo alle volte, alla realtà oggettiva della musica.

So che non sei solo un direttore di coro, ma riesci anche a occuparti di varie iniziative di divulgazione della musica e del canto corale.

Ultimamente un po’ meno, però sono sempre riuscito a complicarmi la vita cercando di mettere in contatto persone ed esperienze diverse; gli Incontri Corali ad esempio, organizzati a partire del 1980 dalla Corale di Sommariva Bosco, penso siano stati una grande occasione, non solo per la coralità piemontese, per conoscere realtà diverse e per far sì che i nostri cori si confrontassero con una civiltà corale che allora era molto più avanzata rispetto alla nostra. Negli anni in cui gli Incontri Corali si svolgevano ad Alba abbiamo ospitato cori di primissimo livello, ne cito uno per tutti il St. Jakobs di Gary Graden; ma accanto alle rassegne ci sono stati anche i seminari dei grandi maestri (Graden stesso, Erdei, Suttner…). Poi molte cose sono cambiate, ma penso che una traccia sia rimasta e vedo con piacere che molte idee lanciate allora si sono sviluppate in diverse direzioni. Una mia convinzione è sempre stata quella di coniugare l’esperienza corale con la didattica: dapprima con il Centro Goitre, un progetto a cui ho dedicato parecchi anni e che ora prosegue sotto la guida di un abile gruppo di operatori musicali; più recentemente con l’Accademia Maghini, sorta accanto al coro ufficiale, che oltre a organizzare concerti e rassegne si occupa, attraverso corsi e masterclass, della formazione, sia in ambito amatoriale che professionale, di una nuova figura di cantante-corista adeguata alle nuove esigenze.

Dalla tua esperienza, che cosa trovi di particolarmente positivo nella nuova generazione di direttori di coro e quali invece gli aspetti che consiglieresti loro di migliorare o approfondire?

Premetto che diversamente dal passato, quando anche partecipavo o mi facevo promotore di manifestazioni corali, ho avuto meno occasioni per osservare le nuove generazioni di direttori. Tuttavia ho potuto constatare che essi sono molto più informati di quanto lo eravamo noi: adesso le notizie circolano più in fretta (pensiamo solo a quanta musica e quante esecuzioni si possono ora trovare in internet); si sono moltiplicate le iniziative che permettono un confronto costruttivo di esperienze diverse e anche il repertorio si è notevolmente allargato, includendo generi di ogni provenienza. La vastità di interessi e di generi, nuovi e spesso anche tra loro contrastanti, rappresenta senz’altro un dato positivo; ma se mi posso permettere un consiglio direi ai nuovi direttori di non trascurare, anzi di fidarsi di più del repertorio storico (rinascimento, barocco, romantico, novecento) perché è proprio attraverso il confronto con i grandi maestri del passato, attraverso la pratica di generi che ti mettono a nudo, che ti costringono a scavare in profondità e a porti delle domande, che possono arricchire la vastità delle loro conoscenze con una maggiore capacità introspettiva e anche sviluppare un certo senso critico verso alcune scuole di pensiero, intendo a livello compositivo, molto in voga ultimamente e forse anche un poco sopravvalutate. Non credo proprio di essere un conservatore, ma in questo caso mi viene in soccorso la famosa frase di Verdi: «Ritorniamo all’antico e sarà un progresso».

Biografia di Claudio Chivazza

Si è formato presso il Conservatorio di Torino dove ha studiato Clarinetto, Musica Corale e Direzione di coro, sotto la guida di Sergio Pasteris, diplomandosi con il massimo dei voti. Si è poi perfezionato in direzione corale e musicologia con Adone Zecchi, Fosco Corti, Giovanni Acciai, Andrea von Ramm, Piero Damilano e, successivamente, con Peter Erdei presso l’Istituto Kodály di Kecskemét in Ungheria. Le sue attività principali sono costituite dalla direzione di coro e dall’insegnamento, attualmente presso il Conservatorio di Torino: in qualità di direttore ha tenuto concerti in Italia, Ungheria, Francia, Belgio, Olanda, Svizzera, Austria, Spagna, Grecia, Repubblica Ceca, Ex Yugoslavia. Ha ottenuto diversi premi e riconoscimenti (concorsi corali di Vittorio Veneto, Arezzo, Arnehm-Olanda); è spesso chiamato a far parte di giurie in importanti concorsi internazionali. Fin dalla sua fondazione (1995) è direttore del Coro Filarmonico Ruggero Maghini di Torino con cui, insieme all’Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI, ha affrontato le più importanti pagine del repertorio sinfonico-corale, collaborando con direttori quali Rafael Frühbeck De Burgos, Yuri Ahronovitch, Kirill Petrenko, Gerd Albrecht, Kristian Jarvi, Serge Baudo, Simon Preston, Jeffrey Tate, Juanio Mena, Gianandrea Noseda, Wayne Marshall, Helmuth Rilling, Cristopher Hogwood, Robert King, Ottavio Dantone, Ivor Bolton. Dal 2006 collabora stabilmente anche con Academia Montis Regalis e con il suo direttore Alessandro De Marchi. Nell’ambito della musica antica ha diretto diversi complessi tra cui i Musici di Santa Pelagia, Orchestra del Festival di Musica Antica di Cagliari, Accademia degli Imperfetti di Genova, Compagnia Barocca Stanislao Cordero di Pamparato partecipando a importanti festival quali MiTo-Settembre Musica, Tempus Paschale di Torino, 50° Settimana Internazionale di Musica Sacra di Monreale (Pa), Armoniche Fantasie, Musica Recercata di Genova, Festival dei Saraceni, 5° Festival Musicale della Via Francigena, Les Baroquiales di Sospel, Musique Sacrèe en Avignon, MA Festival di Bruges (Belgio), Innsbrucker Festwochen der Alten Musik (Austria). Dal 1996 al 2010 è stato direttore musicale e responsabile artistico dell’ensemble Gli Affetti Musicali con cui ha realizzato diversi progetti di ricerca in collaborazione con l’Istituto per i Beni Musicali in Piemonte, prime incisioni di musiche inedite di Giovan Battista Fergusio, Filippo Albini, Sigismondo D’India, Francesco Durante, Alessandro e Domenico Scarlatti per le case discografiche Opus 111, Stradivarius e Sarx Record. Ha inoltre partecipato, come direttore di coro, a produzioni discografiche Hiperion, Deutsche Harmonia Mundi, Rai - Orchestra Sinfonica Nazionale.
Parallelamente a quella concertistica svolge un’intensa attività di promozione e divulgazione della musica sul territorio: è stato direttore della Corale Polifonica di Sommariva Bosco dal 1976 al 2005, fondatore e direttore del Centro Studi di Didattica Musicale Roberto Goitre di Torino (1983-1990), ha curato l’organizzazione di eventi significativi quali la rassegna internazionale di cori polifonici Incontri Corali (1980-2010), i festival di musica antica Musica al tempo di Carlo Emanuele I di Savoia (2003-2005), I Labirinti di Orfeo (2006-2009), le dieci edizioni del circuito concertistico regionale Musica nei luoghi dello spirito (2006-2015).

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