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Esiste la capacità di dare il meglio? Si chiama tecnica
Intervista a Luigi Marzola

di Rossana Paliaga
Portrait, Choraliter 52, aprile 2017

Si definisce “serio, ma non serioso”, è un rigoroso entusiasta che condivide con grande slancio le proprie competenze professionali con i cori amatoriali. Luigi Marzola ha assunto da questa stagione [2017] e insieme a Carlo Pavese la direzione del Coro Giovanile Italiano, in questa prima fase sulle ali del romanticismo tedesco. Nel suo passato ci sono l’Accademia di Santa Cecilia, collaborazioni prestigiose in qualità di organista, continuista, direttore di coro, nel suo presente una vivace attività pedagogica in conservatori e altre istituzioni musicali. 

La sua storia corale inizia molto tempo fa, un po’ per caso, come spesso accade e come ci racconta…

I cori sono entrati nella mia vita per caso. Quando frequentavo le scuole medie, cantare in coro rientrava tra le materie complementari obbligatorie. Mi piaceva molto, un po’ per mia natura, un po’ grazie a un bravo maestro che ci proponeva attività interessanti. In conservatorio ho studiato altre cose, ma ho incontrato nuovamente i cori più avanti e in modo del tutto casuale. Un mio allievo di pianoforte alla fine di una lezione mi ha proposto di andare ad ascoltare le prove del suo coro, un coro di montagna. Mi è piaciuto, sono ritornato, ho iniziato a cantare con loro. Il maestro aveva in programma di andarsene, mi hanno invitato a prendere la direzione ed è iniziato tutto.

Insegna al conservatorio, ha una formazione assolutamente accademica e professionale, ha frequentato istituzioni di riferimento. Cosa la attira nei cori amatoriali?

Sono sempre stato trasversale. Non rifiuto a priori collaborazioni che ritengo di buon livello e promosse con intenzioni serie. Mi è sempre piaciuto lavorare in contesti dove ho trovato occasioni favorevoli per sviluppare un lavoro con atteggiamento professionale. Viaggio tra i due campi con piacere e senza nessuna spocchia.

Insegnando sia in Italia che all’estero avrà forse notato differenze nelle esigenze e nelle ambizioni degli allievi?

Le ambizioni sono ovunque le stesse, cambia il substrato culturale. Un elemento in comune che ho notato è la vocazione quasi sempre tardiva per la direzione di coro. Generalmente questa attività non attira in giovanissima età, ma le cose stanno cambiando rapidamente grazie a una maggior semina e diffusione della cultura corale.

Che ruolo rivestono o potrebbero rivestire in questo senso i conservatori?

I conservatori devono e possono avere un ruolo fondamentale. Purtroppo questo accade realmente soltanto in alcuni conservatori perché tradizionalmente il corso di direzione di coro è molto sbilanciato sull’aspetto compositivo e poco su quello direttoriale in quanto tale. Potrebbe sembrare paradossale, ma generalmente non ci sono persone che cantano alle lezioni di direzione di coro, quindi si può sviluppare una reale esperienza soltanto nel caso di un direttore di coro che effettivamente svolga questa attività fuori dal conservatorio. È capitato per generazioni che in conservatorio gli allievi di direzione di coro studiassero prevalentemente composizione corale, dirigendo all’esame gruppi di ragazzi assemblati per l’occasione. Eppure esiste l’obbligo delle esercitazioni corali e nulla vieterebbe agli allievi dei corsi di canto solista di fare esperienza mettendosi a disposizione degli allievi della classe di direzione di coro.

Quali sono state invece le sue esperienze fondamentali come allievo e direttore?

Sicuramente è stato fondamentale incontrare Mino Bordignon ai tempi della mia direzione di un coro amatoriale nei dintorni di Brescia. Lui era un professionista del settore, un maestro celebre che si è dedicato molto alla realtà amatoriale, un sognatore che ha investito nella diffusione della cultura corale amatoriale, pur provenendo da una formazione professionale ed essendo stato un direttore professionista. Questo incontro mi aveva molto segnato perché sentivo in lui la forza e il desiderio di sognare, progettare, ricercare. Questo desiderio di vocalità da allora non mi ha più abbandonato. Quando mi sono specializzato a Roma, ho seguito un master in direzione di coro con l’austriaco Norbert Balatsch, direttore a Bayreuth, Vienna, Santa Cecilia. L’aspetto del repertorio lirico sinfonico mi aveva affascinato e lui era conoscitore di un repertorio che non avevo avuto occasione di frequentare. C’è anche un’ulteriore esperienza che mi ha aiutato a crescere, ovvero il lavoro di maestro preparatore presso il Coro della Radio Svizzera di Lugano con Diego Fasolis che mi ha chiamato spesso a preparare in tempi brevi produzioni di grande peso. Questo mi ha insegnato molto sulla gestione del lavoro. 

Collabora in qualità di insegnante con la Scuola Superiore per Direttori di coro della Fondazione Guido d’Arezzo, che ha un posto di rilievo nel panorama nazionale in materia di formazione corale. 

La scuola di Arezzo è capostipite di altre importanti scuole nate in altre città d’Italia e in questo panorama mantiene un ruolo centrale. La mia collaborazione è iniziata dodici anni fa, quindi ho visto crescere intorno a questa esperienza una realtà che non immaginavo potesse svilupparsi tanto e così in fretta. I giovani direttori che hanno concluso il percorso triennale non solo hanno seminato e raccolto il frutto del proprio lavoro, ma hanno creato una vera e propria rete di incontri e scambi di esperienze. Esistono realtà di cori giovanili di alto livello che producono e desiderano cultura, che studiano e decidono di investire energia e tempo in questa attività. Vent’anni fa questo in Italia non era possibile. La musica corale era diffusa, ma limitata ad ambiti di minore respiro. 

Nel suo lavoro non punta soltanto sulla musica, ma all’approccio alla musica, che è una questione di rigore e di etica. Come dire che si dovrebbe evitare di cantare “tanto per cantare”? 

Il pericolo c’è e in particolar modo, per quanto sembri paradossale, proprio tra i professionisti. Chi conosce e comprende il “codice” musicale spesso si accontenta, pensando di aver raggiunto l’obiettivo. Chi non è in grado di leggere la musica o ha esperienze vocali spontanee, è mosso da motivazioni diverse, c’è sincerità in ciò che esprime. Il recupero di questa autenticità è più difficile davanti a una parte scritta, ma l’interpretazione è trovare il modo di far tuo quel linguaggio e far rivivere attraverso l’esecuzione emozioni, significati, suoni a chi ti ascolta. Sono sempre stato molto attento a ciò che scrive il compositore, per poter tradurre in gestualità direttoriale e prima ancora vocale il mio lavoro di interpretazione. È necessario se vuoi fare questa attività in modo professionale. Dal punto di vista esecutivo tuttavia è anche impensabile poter essere sempre nelle condizioni ottimali per poterlo fare: nessuno ha la possibilità di convocare un pubblico quando è particolarmente in forma, quando tutto funziona. Ognuno ha appuntamenti precisi e in quel preciso momento deve essere in grado di dare il meglio. Questa capacità va esercitata, perché non è affatto naturale: si chiama tecnica.

In Italia c’è stato in passato un problema di vocalità e approccio, ma anche di repertori. Quali sono in questo percorso i repertori che dobbiamo ancora esplorare?

Certamente il fatto che più ha limitato l’attività ha due aspetti: da una parte la scarsa preparazione, ovvero la mancanza di competenze, dall’altra, di conseguenza, la limitatezza dei repertori, dato che i compositori scrivevano poco per coro. La crescita del potenziale stimola invece i musicisti a scrivere per un determinato strumento. Altrove, in esperienze nordiche, questo filo diretto tra chi esegue e chi compone non si è mai rotto. Oggi in Italia ci sono ottimi cori e quindi aumenta il numero di bravi compositori giovani che scrivono bene e per “strumenti” specifici, non genericamente per cori ipotetici. La composizione nata per un gruppo specifico diventa poi facilmente repertorio comune, circolando tra vari cori. Per crescere ci vogliono strutture come Feniarco che pubblica, diffonde, distribuisce musica corale. Il problema maggiore rimane la poca competenza vocale, dato che alcuni repertori rimangono preclusi a causa di difficoltà tecniche. Talvolta questo aspetto viene trascurato dai direttori. Puoi affrontare qualsiasi repertorio se vivi in un paese dove tutti studiano canto e tutto funziona, altrimenti devi essere in grado di costruire lo strumento, non solo di farlo suonare. Per costruirlo devi avere però competenze tecnico-vocali. Dovremmo ricordare più spesso che la cosa che colpisce al primo ascolto è la qualità del suono. Dopodichè si passerà a valutare se il coro è duttile, se la vocalità cambia in base al repertorio. Quando c’è competenza vocale, la senti subito e inizi ad ascoltare con orecchie diverse. Insomma: i direttori di coro dovrebbero studiare seriamente canto!

Il suono del CGI è certamente buono: che tipo di programma hai immaginato per questo coro?

Il programma che ho immaginato e che dopo le prime prove mi sento di confermare, parte dal repertorio romantico. L’idea nasce dal fatto che questo coro non ha avuto finora esperienze simili nel proprio repertorio storico. Di base io dovrei essere responsabile del repertorio che va dalla musica antica all’800, mentre Carlo Pavese si concentra su ’900 e contemporaneo. Sollecitato da questo e dalla bellezza della scrittura di Mendelssohn, Brahms, Schumann, ho selezionato insieme a Carlo voci che potessero funzionare. A livello di programma, la prima scelta è caduta su un Kyrie giovanile di Mendelssohn, brano scritto quando aveva 14 anni. Segue un pezzo tardo di Mendelssohn, uno dei mottetti dell’op. 69 dedicati alla chiesa inglese, poi Brahms con il mottetto op. 74, uno dei capolavori della scrittura corale a cappella, preceduto dalla Missa canonica in latino, utilizzata come materiale compositivo per la scrittura del mottetto. Inoltre, considerando l’invito al festival Mito che verrà dedicato al tema della natura, inseriremo qualche Lied corale di Mendelssohn e Brahms con testi di Eichendorff e Heine. Si tratta di un repertorio conosciuto, ma di grande impegno vocale. Siamo invitati inoltre al Festival Europa Cantat che si terrà a Tallinn nel 2018, dove sarebbe bello presentare repertorio italiano. In questo caso mi piacerebbe ritornare un po’ indietro nel tempo, e magari abbinare a questa scelta un mottetto di Bach, per completare il percorso tedesco. 

Qual è il suo repertorio di elezione?

Talvolta mi sento vicino a cose che chi mi ascolta pensa non siano poi tanto adatte a me e mi trova più adatto in repertori che non pensavo di essere adatto a fare. In alcuni ambiti mi definiscono un esperto di musica barocca, qui vengo accostato al repertorio romantico. Mi sento effettivamente molto vicino al repertorio ottocentesco, anche se in realtà lo frequento poco rispetto ad altri. 

Con che idee e aspettative entra in questo grande progetto Feniarco?

Sono entrato in contatto con Feniarco perché mi hanno invitato anni fa al Festival di Primavera di Montecatini Terme come docente. Credevo di trovare classi intere di ragazzi a giocare con il telefonino, ovvero poco interessati alle mie lezioni. Con i ragazzi ho deciso di lavorare come in ambito professionale: loro non hanno battuto ciglio per le molte ore di studio, anzi, a fine giornata proponevano ulteriori brani. Vedere questi cori preparati da bravi insegnanti mi ha fatto pensare che non ci fosse solo una china che tendeva all'imbarbarimento collettivo, ma persone che stavano seminando e costruendo bene. Ero contentissimo. Ora che ho l’onore, insieme a Carlo Pavese, di rivestire questo ruolo prestigioso, non vedo l’ora di condividere con il CGI questo pezzettino di percorso. Il livello di competenza è alto, c’è sete di cultura: la semina fatta da Feniarco in questi ultimi anni è straordinaria e sono pieno di entusiasmo. Oggi ci sono tanti cori diretti da giovani direttori che cercano repertori impegnativi e lavorano per avere lo strumento adatto a farlo. Ho il desiderio di fare la mia parte e spero di farla bene per dare una mano a queste brave persone che si sono rimboccate le maniche.

Biografia di Luigi Marzola

Diplomato in organo e in pianoforte presso il Conservatorio G. Verdi di Milano e in direzione di coro presso la Civica Scuola di Musica di Milano, ha frequentato corsi di formazione con docenti di fama internazionale, fra i quali Peter Erdei e Mark Brown, specializzandosi con Norbert Balatsch presso l’Accademia Santa Cecilia di Roma. Ha studiato canto con Margaret Hayward e repertorio vocale da camera come pianista con Dalton Baldwin. La sua eclettica attività artistica l’ha portato, in qualità di organista, continuista all’organo, al fortepiano e al cembalo pianista e direttore di coro, a collaborare con vari musicisti e registi teatrali tra i quali Moni Ovadia, Diego Fasolis, Peter Stein, Giovanni Sollima, Arturo Annecchino, Filippo Crivelli, Teresa Berganza, Françoise Ogéas, Margaret Hayward, su invito di varie organizzazioni. Dal 1996 al 2013 è stato direttore del Gruppo Vocale Cantemus di Lugano e nel 1998 ha costituito il duo Calycanthus con il soprano Dan Shen. Per dodici anni ha collaborato con la Musikhochschule di Lugano in qualità di direttore di coro, docente di direzione di coro e di liederistica per cantanti e pianisti. Dal 2003 è docente di tecnica della direzione presso la Scuola Superiore per Direttori di coro della Fondazione Guido d’Arezzo. Presso il conservatorio di Milano è docente di ruolo di Accompagnamento pianistico.

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