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Musica, non piroette!
L'intervista al direttore Stojan Kuret

di Rossana Paliaga
Portrait, Choraliter 49, aprile 2016

Stojan Kuret è un protagonista autorevole della coralità internazionale. La sua è una personalità artistica modellata nel punto di incontro tra est e ovest dell’Europa corale: competente, rigoroso, esigente, selettivo, fa di questi elementi il fondamento per poter esprimere al meglio una forte sensibilità musicale. Dopo un brillante esordio nella sua città natale, Trieste, ha deciso di sviluppare la carriera di direttore di coro principalmente in Slovenia. È salito ben due volte sul gradino più alto del podio al Gran Premio Europeo, prima con il coro accademico di Ljubljana, del quale è stato storico direttore, poi con il coro virile VAL, con il quale sta scrivendo un nuovo capitolo della storia della coralità slovena.

Kuret ha tanto da insegnare, eppure è tra i (pochi) direttori stellati che è possibile incontrare nelle sale da concerto, ai concorsi corali (anche quando non è in giuria e nemmeno sul palco), seduto ad ascoltare con la curiosità di chi ha ancora molto da imparare. Una curiosità vivace lo ha portato negli ultimi anni a realizzare diversi progetti di musica antica, ma anche a continuare ad approfondire lo studio dell’opera del triestino Marij Kogoj e di Pavle Merkù, tema del dottorato di ricerca che sta ultimando presso la facoltà di musicologia dell’Università di Ljubljana. 

Quando ha iniziato a interessarsi alla direzione corale?

All’età di sedici anni il mio insegnante di pianoforte e direttore del centro musicale sloveno Glasbena matica di Trieste mi ha proposto di assumere la direzione del coro giovanile di voci bianche della scuola, nel quale fino a quel momento avevo cantato. Così sono passato dall’altro lato del leggio. Ho cercato di avere fin da subito un approccio molto responsabile al nuovo compito: volevo acquisire più competenza in materia di direzione, quindi ho iniziato a seguire vari corsi e a frequentare regolarmente gli eventi corali di spicco del momento, come il festival dei cori giovanili di Celje in Slovenia. I risultati si sono fatti notare dopo qualche anno, quando il coro giovanile della Glasbena matica ha ottenuto un primo riconoscimento al concorso corale nazionale sloveno di Zagorje (1978). Ho capito che questa avrebbe potuto essere la mia strada, ma con la consapevolezza che per progredire sarebbe stato necessario porsi obiettivi di studio più alti. Ho iniziato concretamente a pensare allo studio a Vienna, poi sono stato convinto a scegliere un percorso più progressivo, passando per Ljubljana. A dire il vero avevo iniziato gli studi di economia, ma ho capito presto che non mi interessava, quindi durante l’estate ho preparato gli esami di audizione per entrare all’Accademia di musica. L’esperienza nel coro giovanile mi aveva infatti convinto a studiare direzione d’orchestra. Per fortuna dopo il conseguimento della laurea all’Università di Ljubljana ho concluso anche gli studi di pianoforte con il diploma finale al Conservatorio di Trieste; questo mi ha permesso in seguito di concorrere per il posto di supplenza annuale come docente di esercitazioni orchestrali, ruolo che ricopro, nello stesso conservatorio, dal 1982. Due mesi prima avevo avuto occasione di fare esperienza come pianista accompagnatore al fianco del maestro Aldo Danieli alla Fenice di Venezia.   

Quali sono stati i cori che hanno maggiormente caratterizzato il suo percorso di direttore?

Fin dal tempo degli studi sono stato legato ai cori di voci bianche e giovanili e non ho abbandonato la direzione del coro giovanile della Glasbena matica nemmeno nel periodo degli studi a Ljubljana. Ho diretto questo coro per quindici anni, vincendo molti primi premi ai concorsi, ad esempio a Vittorio Veneto, Celje, Prato, Zagorje, Neerpelt, Deen Haag e Nantes. Con loro abbiamo affrontato programmi di valore, ad esempio l’opera completa per voci bianche dei triestini Marij Kogoj e Pavle Merkù, o la grande letteratura ungherese, tedesca, inglese e francese. Poi è arrivato il momento del coro misto Jacobus Gallus a Trieste e del coro accademico di Ljubljana che per un periodo ho diretto contemporaneamente. Con il coro accademico APZ Tone Tomšič ho collaborato per dieci anni e per un ulteriore anno nella stagione scorsa.

Se consideriamo poi il coro virile VAL e molte altre collaborazioni, possiamo dire che nella sua carriera ha sperimentato tutti i tipi di organico e le loro diverse esigenze.

Il coro virile è stato un mio grande sogno, finalmente realizzato. Prima del VAL ho provato a lavorare con gli organici più diversi, scoprendo le loro diverse caratteristiche. Nei cori femminili ho apprezzato la serietà del lavoro e il fatto che le coriste si siano sempre dimostrate molto collaborative, ma è il coro misto l’organismo più completo, come un’orchestra sinfonica, che ti permette di avere maggiore libertà, varietà e ampiezza nella scelta del repertorio.

Quali sono secondo lei gli aspetti che andrebbero potenziati nell’educazione dei direttori di coro?

A livello accademico non ci si rende conto pienamente dell’importanza di una corretta istruzione degli insegnanti e direttori dei cori di voci bianche o giovanili. Alla fine dello studio i direttori cercano il massimo della perfezione e della complessità, ma chi penserà invece alla crescita dei coristi più giovani? È da loro che bisogna partire, dai brani monodici, poi a due voci, costruendo passo passo la propria esperienza, perché è soltanto così che si imparerà veramente a gestire un coro. Inoltre c’è sempre poca attenzione per il corretto sviluppo e utilizzo della voce. All’inizio non avevo competenze di tecnica vocale, ma ho capito da subito che senza una base solida in materia non avrebbe funzionato. Tuttora ritengo che la grande differenza nei cori risieda proprio nella preparazione vocale del singolo. Più alta è la consapevolezza della presenza vocale, più possibilità si ha nella scelta dei pezzi, nei colori. È proprio la qualità del suono il biglietto da visita di ogni coro.

È regolarmente invitato a far parte delle giurie dei più importanti concorsi corali internazionali. Anche giudicando si impara?

Un musicista ascolta in maniera critica e può sempre imparare anche da quello che non gli piace. Analizzando il motivo di determinate impressioni, dettagli tecnici, vocali, di direzione, equilibrio vocale, deve essere capace di individuare precisamente pregi e difetti di un’esecuzione, dando risposta a ogni perché. 

Quali sono in questo caso gli elementi vincenti per un coro?

La musica è comunicazione e un coro mi convince quando trasmette un messaggio, non quando fa le piroette; al primo ascolto alcuni cori sorprendono, poi ripetendosi iniziano ad annoiare, perché non sorretti da un discorso musicale coerente e di qualità. Mi interessa il fine, più che la difficoltà stessa. Un bel fraseggio mi può commuovere, mentre il salto mortale no; non si riferisce alla musica, rimane un effetto.

Perché ha deciso di sviluppare il suo percorso professionale nella coralità principalmente in ambito sloveno?

In quegli anni in Italia non trovavo abbastanza stimoli, mentre la Slovenia era già e rimane un punto di riferimento nel mondo corale. Inoltre mi interessava in particolare la musica contemporanea. Alcuni decenni fa era questa la situazione, ma nell’ultimo decennio l’Italia ha fatto grandi passi avanti e questo grazie ad alcune personalità molto forti. Così è stato anche in Slovenia, perché i grandi progressi sono sempre frutto dell’impegno di singoli, non delle istituzioni. È fondamentale dare a queste persone la possibilità di esprimersi, di lavorare, di mostrare le loro capacità e fare in modo che le possano sviluppare ed evolvere per il bene di tutti. Un ruolo importante in questo processo viene giocato anche dall’apertura, dal confronto che genera una sana concorrenza e offre utili esempi. Personalmente coltivo da sempre rapporti con gli ambienti corali che offrono questo tipo di opportunità. Ricordo con piacere il bel legame con Bruna Liguori Valenti e i nostri scambi di opinioni, ma anche di letteratura corale, attraverso i quali sono passate opere di molti compositori italiani contemporanei. Con Orlando Dipiazza ci si incontrava sempre a concorsi e festival. Penso anche ai coniugi Visentin, assidui frequentatori di tutti concorsi corali, ai vari colleghi tra i quali Dominutti, Filippi e Sofianopulo. Un ruolo importantissimo come sincero amico e grande musicista l’ha avuto indubbiamente il concittadino Pavle Merkù. Ultimamente posso citare anche una bella collaborazione con Giovanni Bonato. Ci sono direttori e compositori che lavorano molto bene, facendo crescere la qualità del mondo corale in Italia anche oggi (Bressan, Berrini, Marchetti, Paraninfo, Barchi, Pavese, per citarne soltanto alcuni, ma per fortuna ce ne sono ancora molti altri), inoltre va citato l’esempio di Lorenzo Donati anche nel campo pedagogico e organizzativo. Nell’insieme vedo tanto fervore e voglia di progredire nelle singole regioni; Sardegna, Sicilia, Puglia, Campania, oltre ai sempre attivi Veneto e Friuli. Il risultato lo si vede nei tantissimi giovani emergenti, seri e preparatissimi (Petra Grassi, Matteo Valbusa e Luca Scaccabarozzi tra gli altri). Non va dimenticato inoltre il grande lavoro della Feniarco, con la sua continua, fondamentale attività. Senza una costante spinta in tutti i sensi, tutto questo sarebbe rimasto soltanto un bel sogno di singoli entusiasti. 

Anche lei ha avuto esperienze di lavoro in Italia, ad esempio con la direzione del Coro Giovanile Italiano.

Ho assunto la direzione del Coro Giovanile Italiano dopo Filippo Maria Bressan che ha dato a questa realtà corale una spinta importante verso la professionalità. Abbiamo commissionato a diversi compositori arrangiamenti di musica popolare. Pensavo di poter fare qualcosa per ravvivare l’approccio nei confronti del repertorio popolare. Nella coralità italiana si tratta di un campo piuttosto misconosciuto e trascurato, perché la canzone popolare italiana, nella sua versione originale, è fondamentalmente monodia accompagnata, anche se conosciamo esempi di tradizione polifonica soprattutto in Liguria e Sardegna. Quindi c’era bisogno di una trasformazione artistica che mantenesse un sapore popolare. In Slovenia la letteratura popolare è molto diffusa nei cori, ma occorre considerare che in questo paese il canto popolare nasce già alla base polifonico.   

Lavorando sia in ambito professionale che in ambito amatoriale, avrà notato quanto ancora oggi esistano molti infondati pregiudizi nella considerazione della coralità amatoriale.

L’approccio è riduttivo, certamente. Ma nel momento in cui uno di questi detrattori viene a contatto con le eccellenze della coraltà amatoriale, l’opinione cambia completamente. Per questo è importante che ai cori che lavorano ad alti livelli venga data la possibilità di farsi notare su palcoscenici importanti. Forse non funzionerà fin dall’inizio, ma poi qualcosa cambierà. Per questo mi sono sempre impegnato anche nella ricerca di programmi da concerto professionali, ad esempio portando la Messa di Gloria di Puccini in Repubblica Ceca o facendo conoscere lo Stabat Mater di Pergolesi e I canti della prigionia di Dallapiccola in Slovenia, o la Messa da campo di Martinů in Italia. Bisogna trovare il modo di farsi conoscere dal mondo della musica alta. L’amatorialità di livello inoltre è scomoda, perché dimostra come sia possibile ottenere una qualità professionale con pochissimi mezzi. Essere amatore non vuol dire non essere capace di fare le cose, ma vuol dire farle con amore e dedizione.

Per questo motivo ha deciso, pur potendo scegliere, di dedicarsi principalmente alla coralità amatoriale?

Nel mondo della musica professionale si pretende troppo spesso di fare qualsiasi cosa, che sia nuova o già eseguita, in un paio di prove. Le istituzioni culturali non sono per loro natura redditizie e inoltre la necessità di fare numeri influisce significativamente sul modo di lavorare. Con i gruppi amatoriali puoi permetterti invece di approfondire un programma, di analizzarlo da diversi punti di vista, non diventi mai un musicista che fa le cose per abitudine. Ovviamente esistono molte felici eccezioni che riscontro negli ultimi tempi soprattutto nel campo della musica antica, dove è molto vivo il desiderio di ricerca. Voglio che il lavoro mi dia soddisfazione. I cori amatoriali mi hanno dato l’opportunità di restare un musicista integro e soddisfatto.   

Biografia di Stojan Kuret

Stojan Kuret ha studiato pianoforte al centro musicale sloveno Glasbena matica di Trieste, ha conseguito il diploma di pianoforte al conservatorio Tartini e il diploma di direzione all’Accademia di musica di Ljubljana. Nel 1974 ha fondato il coro giovanile della Glasbena matica che ha ottenuto importanti riconoscimenti e con il quale ha contribuito a valorizzare, anche a livello discografico, l’opera dei compositori triestini Kogoj e Merkù. Per dieci anni ha diretto il coro accademico Tone Tomšič di Ljubljana con il quale ha conquistato molti primi premi ai maggiori concorsi internazionali (Tours, Varna, Gorizia, Maribor) e il GPE nel 2002 ad Arezzo. Da questo coro è derivato il gruppo femminile ČarniCe che ha diretto e con il quale ha inciso due CD. Dal 2003 al 2005 è stato direttore del coro da camera della Radiotelevisione slovena. Dal 2007 ha diretto per un bienno il Coro Giovanile Italiano. È spesso invitato a far parte di giurie di importanti concorsi corali internazionali (Tours, Tolosa, Arezzo, Varna, Debrecen, Maribor, Maasmechelen, Bergen, Olomouc, Budapest, Londra, Sankt Petersburg, Bologna, Hong Kong). Nel 2008 ha fondato il coro virile VAL che nel primo anno di attività ha vinto il Grand Prix a Arezzo e nel 2010 è stato il primo coro virile a conquistare il Gran Premio Europeo. Nel 2011 ritira ad Arezzo il premio Guidoneum Award per meriti artistici. Nel 2012 è stato insignito del prestigioso premio Prešeren, massimo riconoscimento nazionale sloveno, per i risultati ottenuti in campo corale. Si dedica con interesse a repertori meno frequentati, senza limiti di epoche, e spesso commissiona nuovi brani per diversi organici a compositori contemporanei. 

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