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La gestione delle prove
Crescere o non crescere, questo è il problema...

di Walter Marzilli
dossier "Prima di Cantare", Choraliter 56, settembre 2018

Partiamo da una verità: c’è sempre un modo migliore dell’attuale nel fare le cose. Magari il nostro è ben consolidato, ma potrebbe non garantire un risultato eccellente. E chissà quante soluzioni ancora migliori ci sono di quelle che sto per elencare. Ma addentriamoci ugualmente entro alcune possibilità che ci sono offerte per rendere più efficace la nostra prova corale.

1. Protagonisti e comprimari

Quando il direttore decide di intensificare la preparazione – magari in vista di un impegno importante – sceglie di incontrare il coro separandone le sezioni, e spesso per comodità unisce le sezioni a due a due. In questo caso normalmente molti direttori scelgono di unire tutti gli uomini da soli e poi le donne. Così facendo vanno incontro però ad alcuni rischi che vogliamo analizzare con attenzione. Innanzitutto durante l’esecuzione dei vocalizzi di riscaldamento, e soprattutto di quelli dedicati allo studio della vocalità, saranno costretti a lasciare a riposo a turno una delle due sezioni: i contralti quando il vocalizzo raggiunge altezze troppo impegnative per loro; i soprani quando si torna indietro, addentrandosi nella regione bassa dell’estensione. Al di là della perdita di tempo di dover fermare una delle due sezioni, questa evenienza si può rivelare poco valida dal punto di vista didattico ma anche psicologico. Potrebbero essere soprattutto i contralti e i bassi a subire infatti il disagio di dover rinunciare alla zona da sempre più ambita del cantare, quella dei suoni acuti. In altre parole, certamente senza volerlo, il direttore corre il pericolo di insinuare la sensazione inespressa che esistano i protagonisti e i comprimari, e questo certamente non giova all’amalgama spirituale prima che vocale.Ma questa non è l’unica insidia del far lavorare tutte le voci femminili e quelle maschili separatamente, che peraltro viene facilmente superata utilizzando vocalizzi a due voci con estensioni diverse. Ciò che è più grave è che il perpetuarsi di questa abitudine potrebbe ingenerare una contaminazione tale per cui i timbri delle due sezioni tenderanno ad assomigliarsi. Entrambe le voci si accorderanno inconsapevolmente per incontrarsi in un punto centrale della caratterizzazione timbrica, che non rispecchia né la configurazione dell’una né dell’altra. In pratica gli uomini acquisteranno i caratteri dei baritoni, e le donne dei mezzosoprani, senza che le voci acute siano spinte a cercare lo squillo e quelle gravi la profondità loro caratteristica. 

2. Utili aggregazioni

Dividendo il coro in due parti per le prove separate risulta quindi molto più indicato unire i soprani e i tenori, e i contralti con i bassi. I pericoli del punto precedente saranno scongiurati: non ci saranno contaminazioni di timbro né di colore, poiché le sezioni così raggruppate avranno la stessa estensione seppure a distanza di una ottava. Aggiungiamo inoltre un altro importante fattore che può far risparmiare molto tempo nelle prove, legato al fatto che di norma, almeno nella maggior parte della polifonia, i soprani e i tenori cantano in successione lo stesso tema, e così anche i contralti con i bassi. In fase di studio e di costruzione di un brano far cantare simultaneamente il tema alle due sezioni – fino al momento in cui le due code si diversificheranno – significa ottimizzare il tempo a disposizione. In questo caso, oltretutto, i cantori non potranno non notare l’attenzione alla didattica e la cura degli aspetti pedagogici da parte del direttore, e questo non potrà che rafforzare la loro fiducia in lui. Aggiungiamo un’ultima considerazione. Praticando la polifonia antica si rivela molto utile unire i tenori con i contralti. In questo modo, unendo le due sezioni nella parte dell’altus, si potrebbe avere la sorpresa di scoprire tra gli uomini dei potenziali controtenori, il cui uso contribuirebbe non poco ad avvicinarsi alla prassi esecutiva dell’epoca. Se poi si è alla ricerca specifica dei controtenori sarà bene esplorare anche la sezione dei baritoni. Tra di loro si celano spesso ottimi elementi in grado di sostenere proprio questo ruolo. 

3. Autostima e consapevolezza

Dopo ogni prova generale il direttore potrebbe fermarsi con un ottetto sempre diverso (due cantori per sezione), per un prolungamento della prova. In questa occasione si evitino gli esercizi per la vocalità (l’ottetto ha la voce già calda e pronta per avventurarsi in qualunque regione della propria tessitura), e ci si concentri sul perfezionamento dei brani conosciuti, oppure di quelli in fase di avanzata costruzione. Intanto questa soluzione accrescerà l’autostima dei cantori, e la consapevolezza dell’interesse del direttore nei loro confronti. In secondo luogo potrà creare ottime occasioni per perfezionare meticolosamente alcuni fraseggi, curare particolari emissioni, raggiungere una scorrevolezza di esecuzione difficile da ottenere con il coro intero. Per quanto riguarda la musica antica poi, permetterà di costruire un suono più veritiero e vicino alla prassi esecutiva del tempo, che si avvaleva, come si sa, di piccole compagini corali. I risultati migliori, ovviamente, si ottengono passando in rassegna lo stesso pezzo con tutti gli ottetti. Alla futura esecuzione di quel brano con il coro al completo si noterà il raggiungimento di una evidente maturazione nella vocalità, nel fraseggio, nella elasticità e nella concertazione in generale. 
Avendo a disposizione un coro piccolo potranno essere usati i quartetti anziché gli ottetti, che certamente costituiscono la soluzione ottimale. La scelta della formazione in ottetto è pensata per assicurare la presenza di tutte e quattro le sezioni. La prospettiva infatti sarebbe quella di arrivare appunto a un cantore per parte anche per un coro più grande. In questo caso, però, l’assenza di un solo cantore priverebbe il quartetto di una intera sezione, rendendo incompleta l’esecuzione d’insieme. Decidendo per questa soluzione, ogni cantore potrebbe essere coinvolto in questa iniziativa soltanto una prova ogni otto (ipotizzando un coro di trenta persone, per l’esattezza trentadue). Con una prova a settimana diventa un incontro ogni due mesi, e questo potrebbe essere insufficiente. In questo caso, se il direttore ne avesse la possibilità, potrebbe incontrare un quartetto prima della prova generale, e trattenersi con un altro al termine della prova stessa. Dedicando una mezz’ora a ogni quartetto la prova per lui si allungherebbe soltanto di un’ora, mentre per i cantori la situazione rimarrebbe invariata (sottraendo mezz’ora alla prova generale). Bisogna anche considerare che una prova strutturata in questo modo offre notevoli gratificazioni artistiche al direttore, oltre che ai cantori, a causa della formazione solistica e del particolare suono che ne deriva. Se i cantori sono disabituati a cantare da soli, le prime prove potranno risultare impegnative e piene di interruzioni. In seguito i coristi aspetteranno questo appuntamento con entusiasmo, sia per l’efficacia che potranno verificare, che per le soddisfazioni e i benefici che ne potranno ottenere sul piano artistico.

4. Colori

Il coro può essere fruttuosamente diviso in due semicori completi e separati. Questo passo può essere anche considerato un primo assottigliamento del coro, mirato a raggiungere la configurazione del punto precedente. Se il coro non fosse sufficientemente sviluppato artisticamente e numericamente da non poter reggere un dimezzamento dei cantori, o se i cantori volessero esercitare una pur sempre comprensibile resistenza a questa richiesta, si potrebbe comunque dividere la compagine avendo però cura di posizionare i due semicori uno di fronte all’altro, in modo da non indebolirla. Già così la situazione può essere sfruttata al massimo, conducendo ad esempio una esecuzione alternata. Si tratterà di invitare i due cori a cantare il brano alternandosi nella esecuzione delle diverse frasi che lo formano, magari iniziando con un brano omoritmico per non creare troppe difficoltà. Questo richiederà ai cantori l’impegno di seguire contemporaneamente diversi aspetti del cantare: dall’innesto nello scorrere ritmico dell’altra parte del coro alla necessità di seguire con la mente l’intonazione della propria parte, dalla necessità di maggiore dipendenza dal gesto del direttore (egli determinerà l’alternanza dei cori senza limitarsi a chiedere interventi perfettamente simmetrici e/o consequenziali) alla ricerca di uniformità del timbro con gli altri cantori contrapposti. In questo senso il direttore può sfruttare la situazione come meglio crede. Può infatti scegliere i due semicori distinguendo nettamente il colore dei cantori (da una parte quelli dotati di un suono chiaro e sottile, dall’altra quelli dal colore più rotondo e scuro), e poi chiedere il mantenimento del colore proprio di ogni compagine, o addirittura ricercare la maggior caratterizzazione possibile delle loro proprietà timbriche. Questo servirà ad avere un coro in possesso di due colori: nell’esecuzione della polifonia antica il direttore potrà chiedere al gruppo dal timbro chiaro una presenza che sia leggermente in evidenza rispetto a quella degli altri, mentre nella musica dal periodo romantico in poi potrà chiedere la stessa cosa ai cantori con la voce più scura. Diversamente, egli potrà creare i due semicori mischiando opportunamente i cantori dal timbro chiaro e quelli dal colore più scuro. In questo modo potrà facilmente ottenere un colore generale uniforme.

Potrà anche dividere il coro facendo attenzione a tenere uniti tutti i cantori ritenuti meno sicuri, oppure quelli che egli considera artisticamente più deboli o musicalmente meno dotati. In altre parole, quelli che hanno bisogno delle cosiddette guide. In genere, ritrovarsi privati della sicurezza degli appoggi, insieme all’incoraggiamento del direttore, li costringe ad aumentare il senso di responsabilità fino a liberarsi dalla condizione di sudditanza, e ad assumere maggior sicurezza nei propri mezzi. Dopo un po’ di pratica nulla sarà più considerato eccessivo, e se il direttore vorrà divertirsi a estremizzare le alternanze tra i due semicori potrà farlo. Una battuta per ogni semicoro contrapposto riuscirà a dare persino una spazialità stereofonica molte gradevole al suono, oltre che i benefici di cui parlavamo sopra. Il direttore si potrà sbizzarrire, inventando tutti gli espedienti e le improvvisazioni che vuole. Sarà inevitabile arrivare al virtuosismo di cantare alternando i cori a ogni nota. Non si tratterà di un semplice esercizio di destrezza acrobatica, ma sarà la dimostrazione del raggiungimento di una ragguardevole perizia e consapevolezza delle parti, che potranno essere messe fruttuosamente a servizio dell’esecuzione.
Dopodichè potrà passare all’esecuzione di un brano di polifonia non omoritmico. Adesso una alternanza casuale obbligherà certamente molte sezioni a entrare nel bel mezzo di una frase musicale, impegnando i cantori molto più di prima nel seguire in silenzio la propria linea sulla bocca degli altri. Meglio ancora nel silenzio della propria mente. Difficile, non impossibile, ma efficacissimo. È proprio all’interno della mente che il mondo dei suoni conosce uno stato di particolare grazia, lontana dalle contaminazioni e le difficoltà fisiologico-anatomiche del cantare.

5. Il coro muto

Proprio da questa ultima considerazione scaturisce una variante molto interessante del numero precedente. Essa consiste nell’alternare gli interventi del coro con lo scorrere silenzioso del brano. Questo procedimento può essere efficacemente attuato con qualunque divisione del coro, a quartetti, ottetti, semicori; ed è anche perfettamente valido con il coro intero. Si dà inizio regolarmente al brano, poi a un certo punto si continua a battere il tempo mentre si fa un gesto per togliere il suono: il gesto del direttore e le battute continuano a scorrere regolarmente nel silenzio generale.
Dopo qualche scansione muta si darà un segno per far ricomparire il suono del coro, che nel frattempo avrà dovuto seguire con la mente lo svolgersi del brano, osservando attentamente i gesti del direttore. La validità elevatissima di questo esercizio risiede nel fatto che ogni cantore deve costruire all’interno della sua mente – e soltanto lì – la frase musicale che manca. Il direttore avrà cura di praticare questo esercizio iniziando con una parte muta breve, per poi allungarla progressivamente. Questo si può fare sia utilizzando brani con intrecci polifonici che pezzi omoritmici.
Se la parte in silenzio sarà stata lunga, l’apparizione del successivo accordo perfettamente intonato sarà una conquista eccitante per tutti, anche per il direttore. Non ci si scoraggi di fronte ai primi inevitabili insuccessi, e si insista, perché questo procedimento riesce a far sì che ogni cantore possa interiorizzare nel più profondo di sé le melodie che deve cantare. In questo modo egli le possiederà fino in fondo, e sarà poi più duttile ed elastico nel rispondere a qualunque sollecitazione il direttore vorrà chiedergli, sia di ordine vocale che concertativo.
Inoltre, nella fase muta dell’esecuzione, i cantori avranno a disposizione soltanto due aiuti oltre alla loro memoria: il gesto del direttore e la partitura. Il risultato sarà la necessità di collegare più strettamente questi due fattori rispetto alle condizioni normali, quando ognuno di loro si ritrovava trascinato dall’onda dei suoi compagni, e poteva anche permettersi il lusso di lasciarsi pigramente trainare. Stavolta ognuno deve per forza creare da solo i suoni e i ritmi, deve immaginare e seguire lo snodarsi della corretta intonazione, deve materializzare i segni grafici, deve guardare le note scritte e sentire i loro suoni, e soprattutto le deve collegare con il gesto del direttore… 

6. Disposizione

Qualunque sia la scelta operata per quanto riguarda la disposizione del coro, si raccomanda fortemente di variare con frequenza la posizione di ogni singolo cantore, in modo che non abbia sempre accanto le stesse due persone. Si sa che l’immobilismo della collocazione crea sudditanza nei cantori più deboli, e rafforza il predominio di quelli più intraprendenti. Inoltre causerà alcuni aspetti negativi che invece andrebbero accuratamente evitati:

  1. Per sua stessa natura il coro è in grado di avvolgere con una placenta protettiva e rassicurante chiunque si sieda nel suo semicerchio. I cantori deboli si sentiranno ancora più al sicuro se saranno accanto a quelli più esperti, e non avranno nessuno stimolo a maturare e ad affrancarsi dalla dipendenza delle cosiddette “guide”: figure utili in un senso quanto dannose nell’altro. L’assenza momentanea di una di queste ultime metterà tutto il coro in condizioni di insicurezza, giacché i cantori meno esperti assumeranno un atteggiamento remissivo e rassegnato, non certo adatto a una situazione concertistica. 
  2. È sempre in agguato l’assuefazione, anche quella verso i difetti degli altri, che finiscono per essere assimilati. A forza di sentire l’emissione del fiato tra una croma e l’altra da parte del cantore accanto, o un vibrato mal controllato o un portamento, è quasi inevitabile lasciarsi contagiare (soprattutto se il direttore non dice niente…). 
    L’avvicinamento a qualcuno di questi cantori in difetto causa invece almeno un certo sospetto nel nuovo arrivato.
  3. Il timbro si fossilizza con l’immobilità. È certamente più difficile modificare l’emissione difettosa di un cantore aggrappato al suo timbro, se accanto a lui ce n’è un altro che lo imita e che rafforza la sua emissione da cambiare. La variazione di posizione costituisce certamente un arricchimento, nel bene e nel male. Se il nuovo arrivato canta bene, sarà in grado di migliorare per imitazione la voce dell’altro. Se canta male sarà uno stimolo per rinforzare la consapevolezza di quello che canta meglio. 
    Difficilmente, infatti, il raggiungimento di una buona emissione si lascia mettere a rischio da qualcosa di meno valido.
  4. All’interno del coro è sempre in agguato la nascita di diverse “fazioni”. La continua vicinanza con le stesse persone crea una complicità che potrebbe condurre a una settorializzazione deleteria per l’unità spirituale del coro.
    Lo spostamento può garantire invece un interscambio molto utile alla coesione generale dei cantori. Ogni direttore sa infatti quanto lunghi possano essere quei dieci metri che separano le due ali del semicerchio, e quanta distanza psicologica e umana può intercorrere in quel breve spazio…
  5. La routine: un malessere da rifuggire come il diavolo, soprattutto in un ambiente artistico che invece dovrebbe essere creativo e reattivo in qualunque momento.
    Mischiare i cantori basta sorprendentemente a rompere l’abitudine, e a riaccendere un entusiasmo eventualmente sopito.

7. Insolite direzioni

Possiamo consigliare la possibilità di far saltuariamente sedere i cantori in modo “disordinato”, senza rispettare la coesione delle sezioni, né tanto meno tradizioni, amicizie, parentele, simpatie, alleanze ecc. (cfr. punti precedenti). Se c’è spazio a sufficienza da permettere la disposizione su un’unica riga, si potrà evitare che i cantori possano ricevere un aiuto proveniente da qualche collega di sezione seduto nella fila retrostante. In caso contrario la disposizione su più righe garantirà comunque il beneficio di ascoltare le altre voci provenire da direzioni “insolite”, divenendo così fonte di interesse acustico e musicale per ogni cantore. Un soprano potrà sentire la melodia di un basso giungere da dietro, e la provenienza insolita di quel suono accenderà certamente l’interesse acustico nonché quello armonico del suo sentire.

  1. Ulteriori vantaggi si otterranno cantando due volte consecutive lo stesso brano, avendo cura di adottare due rimescolamenti diversi e casuali. Ai cantori potrà rivelarsi in questo modo la presenza di una voce o di importanti passaggi melodico-armonici, che la posizione consueta gli aveva finora nascosto o per lo meno offuscato. Il rimescolamento sarà opportunamente gestito dal direttore in modo tale da sfruttarne tutte le sue potenzialità. Egli potrà ad esempio isolare un elemento dalla sua sezione e circondarlo di cantori tutti diversi, per responsabilizzarlo e incrementare il suo contributo canoro. Questo espediente può servire sia per rinforzare ulteriormente la sicurezza di un cantore navigato, sia per incoraggiare la fioritura di uno meno esperto. Viceversa, il direttore potrà unire alcuni elementi della stessa sezione contrapponendoli a uno di ogni altra sezione, in modo da obbligare questi ultimi a incrementare la loro presenza vocale. 
  2. Si potrebbe anche fare in modo di mantenere unito un quartetto completo all’interno della “confusione” degli altri cantori. Sarà poi possibile alternare con esso il suono di tutto il coro, oppure far momentaneamente tacere il coro o il quartetto e farli entrare a intervalli possibilmente irregolari, conservando ogni volta l’intonazione e il ritmo. Tutto questo concorrerà a “scoprire” maggiormente il repertorio da parte di ogni cantore, e a conoscerne le angolature e le ricchezze che altrimenti possono rimanere celate all’interno del suono della massa corale. 

8. Dissonanze

Nel prossimo caso viene trattato un esercizio apparentemente molto difficile, ma di sicuro riscontro didattico in merito a molti aspetti. Si canti un brano ben conosciuto – per le prime volte preferibilmente omoritmico – chiedendo alle due sezioni maschili o a quelle femminili di iniziare con una battuta di ritardo. Il risultato sarà pieno di improbabili dissonanze, ma ai cantori sarà richiesta la capacità di mantenere intatta la propria linea melodica nonostante i continui disturbi delle altre due voci, anche dove in condizioni normali regnava indisturbata una tranquilla consonanza. All’arrivo della prima cadenza, o comunque dopo un numero sufficiente di battute, le sezioni che sono partite in anticipo attenderanno le altre che sono in ritardo di una battuta, e finalmente, se sono stati bravi, i cantori potranno accomodarsi sul primo accordo consonante. La soddisfazione dura poco, perché si ricomincia subito; giusto il tempo di riconoscere l’esattezza della consonanza. È un esercizio impegnativo, ma anche in questo caso una applicazione che non sia né passeggera né superficiale potrà garantire una immunità reale dai pericoli dell’intonazione, particolarmente dagli intervalli armonici costruiti consapevolmente sulle vere dissonanze. Inoltre porrà i cantori nella condizione di interiorizzare profondamente la propria linea melodica, sia dal punto di vista ritmico che melodico, e renderà le entrate più indipendenti e consapevoli di prima. 

  1. Si può proporre al coro un primo avvicinamento alle difficoltà di questo esercizio dividendolo in due parti (anche in questo caso – cfr. punto 2 – meglio soprani con tenori e bassi con contralti), e invitando i cantori così divisi a cantare una semplicissima scala di do maggiore, ascendente e discendente. Come nel caso precedente, però, anche qui si chiederà lo sfasamento delle entrate, mandando avanti ogni volta una delle due sezioni. L’arrivo della seconda sezione sulla stessa nota ricompatterà momentaneamente tutti sull’unisono, per poi ripartire verso la successiva dissonanza. Anche qui le varianti potranno essere numerose. Si raccomanda però di non mandare avanti per prima sempre la stessa parte del coro, ma di affidare la creazione della dissonanza a entrambe, alternandole al termine dell’esercizio o lungo la scala discendente. Infatti una dissonanza ascoltata mentre si sta eseguendo la nota inferiore risulta completamente diversa se la si ascolta mentre si canta quella superiore. 
  2. Per quanto riguarda la fusione dei suoni e la veridicità della dissonanza, la migliore riuscita si otterrà cantando tutti la stessa vocale, anche se il nome delle note avrebbe aiutato i cantori a non perdere contatto con la struttura della scala, o per lo meno con la posizione dei semitoni. In effetti, esercizi come questo minano profondamente la gerarchia tonale degli intervalli melodici della scala. Per questo la pronuncia del nome della nota può aiutare a relazionare il relativo suono con ciò che rimane della struttura della scala maggiore, dopo la distruzione dell’organizzazione dei vari gradi della scala a causa delle continue dissonanze.

9. Capacità di ascolto

Separare una sezione dal resto del coro, allontanandola progressivamente di qualche metro. Nel caso in cui esista una sezione più debole delle altre, la sua separazione dal coro permetterà ai cantori che la compongono di compattarsi meglio, sia vocalmente che psicologicamente. Nello stesso tempo aumenterà la loro capacità di ascolto. Tale pratica potrà essere arricchita chiedendo alla sezione distanziata ciò che al precedente punto 5 abbiamo definito come scansione muta. Si tratta di interrompere anche a lungo il suo contributo mentre gli altri continuano a cantare, chiedendo ai cantori che ne fanno parte di seguire attentamente con il pensiero la loro frase, per poi riprendere a cantare quando il direttore lo chiederà. In questo modo anche il resto del coro avrà la possibilità di allungare i confini della sua attenzione e la sua capacità di concentrazione, cercando di ricreare nella propria mente i suoni che momentaneamente mancano, in una situazione armonica contestuale alla propria melodia, ma dai contorni diversi dal solito. La rimanente armonia a tre voci potrà infatti suscitare nuovo interesse e far scoprire inediti rapporti tra le restanti voci. Una quinta giusta, ad esempio, mostra tutta la sua stabilità quando essa si manifesta come una quinta vuota, privata della terza. Nello stesso modo una settima minore appartenente a un accordo di settima di dominante – ma soprattutto il suo rivolto di seconda – mostrerà tutta la sua forza dinamica se sarà isolata dal contesto armonico dell’accordo di appartenenza, ecc.

10. Condividere le valutazioni

Anche se non rientra esattamente nell’ambito della gestione delle prove, il prossimo suggerimento potrà rivelarsi uno strumento utile per migliorare il coro; per questo ne parliamo. Se si possiede una registrazione del coro durante un concerto, la si ascolti dopo un intervallo abbondante di tempo, meglio se di alcuni anni. Si noterà che i brani del repertorio stabile, quelli che attraversano la storia del coro lungo il corso degli anni, subiscono nel tempo una lenta ma inesorabile trasformazione. Essi modificano a poco a poco la loro espressione, ma lo fanno in modo talmente lento e misurato da apparire sempre uguali. Ciò comporta che a distanza di anni un brano possa rivelarsi anche profondamente trasformato senza che nessuno – magari nemmeno il direttore – abbia voluto coscientemente intervenire per modificarlo. Per questo motivo, ascoltare con attenzione a ritroso il frutto di questo processo può essere molto utile.
Le possibilità sono ovviamente tre: il coro è peggiorato, è rimasto tale o è migliorato. Ognuna di esse ha un effetto positivo sul coro, anche la prima. Se è peggiorato vuol dire infatti che non sarà impossibile tornare a quei livelli artistici, sfruttando anche il sano orgoglio di essere stati così bravi
Per tornare ai vecchi fasti sarà sufficiente ripristinare le articolazioni del suono, l’eleganza del fraseggio e la varietà dei colori che si sono appannati a poco a poco per abitudine, assuefazione o stanchezza. Se invece il calo è dovuto all’abbandono di molti cantori esperti e/o all’arrivo di molte voci nuove, allora è necessario correre presto ai ripari soprattutto nel primo caso, per evitare che il livello scada troppo e sia poi difficile ottenere il pieno recupero. Nell’eventualità che il livello sia rimasto lo stesso ci si può tutti rallegrare del fatto che il passare del tempo non abbia intaccato la qualità del coro. Vuol dire che la strada che il direttore percorre continua a essere valida, e che i cantori lo seguono con fiducia.
Non occorre spendere troppe parole nel caso in cui il livello sia cresciuto. È invece necessario aggiungere che i processi evolutivi del coro avvengono anch’essi in modo piuttosto lento. La progressività dei miglioramenti si misura infatti lungo una linea che è solo leggermente inclinata verso l’alto. La valutazione quantitativa del livello del coro, misurata sul dislivello di questa lieve inclinazione, dà quindi risultati minimi se effettuata a breve scadenza. In altre parole, i cantori non si accorgono dei loro miglioramenti da una prova all’altra, quindi l’ascolto di una registrazione alquanto anteriore nel tempo dà loro la possibilità di riconoscere la validità del lavoro del direttore oltreché, ovviamente, del proprio. Ne risulta accresciuta la credibilità professionale del direttore, e rafforzata la motivazione che li ha spinti a diventare cantori. Se ci riferiamo ai cori di città, dove esistono sperabilmente tante compagini e il passaggio dall’una all’altra crea una certa instabilità all’interno di ogni singolo coro, ciò può costituire un valido antidoto alle migrazioni indesiderate. 

11. Crescita del singolo cantore

Sarebbe altamente opportuno adottare un comportamento simile anche per accompagnare e sottolineare la maturazione vocale di ogni singolo cantore. Egli segue gli insegnamenti e i consigli del suo direttore in materia di emissione, sottoponendosi agli esercizi che gli sono proposti, dei quali a volte non comprende fino in fondo l’utilità né la finalità. Per questo a volte si può cogliere nel suo sguardo una certa dose di diffidenza, se non addirittura di scetticismo, ai quali il direttore può solo opporre la validità dei risultati. Questi ultimi, però, percorrono lentamente quella linea inclinata di cui parlavamo poc’anzi, e questo non permette al singolo cantore di visualizzarne il costante incremento. Per questo motivo risulta molto efficace ascoltare e commentare insieme al cantore le registrazioni distanziate anche di semplici vocalizzi

12. Nuovi cantori

Come comportarsi con i nuovi cantori? Non è opportuno buttarli nella mischia all’interno del semicerchio magico. Sarebbe meglio farli sedere accanto al direttore per alcune prove iniziali, in attesa di entrare definitivamente nel coro. Per alcuni motivi:

  • Devono guardare all’entrata nel coro come a un obiettivo da raggiungere e soprattutto da meritare alla fine di un tragitto di formazione. Anche se si tratta di un tenore e voi ne avete estremo bisogno… resistete!; 
  • Posizionare i cantori nuovi all’interno del coro significa far sentire loro la parte peggiore del coro. Non saranno capaci di riconoscere quello che ascoltano come il suono che li ha affascinati durante il concerto al quale hanno assistito, e per il quale hanno deciso di entrare a far parte del coro. E la loro convinzione potrebbe vacillare, insieme al loro entusiasmo; 
  • È tale e tanta la confusione dei suoni che arriveranno alle loro orecchie impreparate sedendo all’interno del coro che, in genere, al termine della prima prova sono soliti avvicinarsi al direttore dicendo sconsolati che non ce la faranno mai;
    • La tentazione di metterli accanto ai cantori più bravi perché imparino prima e meglio si rivela dannosa: si crea un atteggiamento di dipendenza che difficilmente potrà essere modificato in futuro; 
  • Non è da sottovalutare il giusto compiacimento dei cantori “di ruolo”, ai quali è riconosciuto in questo modo un grado maggiore di abilità rispetto alle matricole; 
  • Nello stesso senso i cantori nuovi si sentiranno oggetto delle attenzioni del direttore, il quale deve necessariamente dedicare loro una mezz’ora prima o dopo la prova, da soli.

13. Fuori dalla “stiva”

Durante la prova che si fa di solito prima di un concerto per conoscere l’acustica dell’ambiente, sortisce ottimi benefici psicologici far uscire a turno uno o due cantori dal coro, in modo che possano ascoltare dall’esterno uno strumento che loro conoscono solo dall’interno. Saranno sorpresi di gustare da lontano un suono e un amalgama che dalla “stiva” del coro non avrebbero mai nemmeno potuto immaginare. È risaputo che per ascoltare un coro nel modo migliore occorre porsi a una certa distanza da esso (capito cari tecnici del suono? Che volete sempre avvicinare troppo i microfoni al coro per avere più presenza, ma molto meno amalgama!): purtroppo per i cantori, dobbiamo riconoscere che il posto peggiore è proprio la loro collocazione. Se la sala prove è abbastanza spaziosa, questa procedura può essere adottata anche durante le prove ordinarie, facendo sedere un paio di cantori per volta ben oltre le spalle del direttore. Si crea l’inverso della spiacevole sensazione che si prova ascoltando dapprima da lontano il bel suono di un organo meccanico, e poi avvicinandosi a esso fino a sentire tutti i ticchettii dei suoi ventilabri, gli sfiati delle anime delle canne, lo sferragliare della catenacciatura, lo stantuffare dei tiranti dei registri… La magia del suono svanisce irrimediabilmente, venendo a stretto contatto con la fisicità della sorgente che lo genera, e l’onda eterea dei suoni svela tutte le insospettabili rigidità della vera natura dei suoi meccanismi
Vale per l’organo come per il violino e il fastidioso fruscio del suo archetto sfregato sulle corde (così vicino all’orecchio del violinista), vale per lo sfiato all’imboccatura del flauto traverso come per il coro. E pensare che i cantori vivono da sempre imprigionati tra le viscere di questo corpo corale, immersi in un sistema pneumo-meccanico infarcito di umori e rumori umani. Per questo motivo la possibilità di ascoltare il coro dall’esterno darà loro grande entusiasmo.

Una serie di consigli utili per i direttori, in ordine sparso

  • Segnate in ogni sistema della partitura un punto comodo dal quale riprendere la prova dopo un eventuale errore. Il coro non gradisce quando perdete tempo a cercare da dove riprendere.
  • Non parlate troppo spesso e non fate lunghe prediche esplicative: ricordate che i cantori sono venuti per cantare…
  • Ottenete il silenzio prima di ogni attacco, soprattutto dopo le fermate per un errore: in genere i cantori parlano (inutilmente, seppure in buona fede) per tentare di evidenziare o risolvere l’errore.
  • Dopo una fermata e una correzione, dite chiaramente da dove volete riprendere (pagina-sistema-battuta-movimento... e non al contrario!), e date ai cantori il tempo di trovare il punto indicato (ma non troppo, perché altrimenti cominciano a parlare tra di loro...).
  • La semplice ripetizione di un passaggio non è correttiva dei difetti notati, e nemmeno l’esecuzione corretta da parte del direttore: occorre lavorare sull’esecuzione isolata da parte della sezione che ha sbagliato.
  • Non ripetete un passaggio senza dire perché.
  • Fate attenzione alle note lunghe e a quelle ribattute: calano con facilità.
  • Aspettare che il brano sia eventualmente calato di mezzo tono prima di correggere: i cantori non sentono i quarti di tono e non li possono correggere.
  • Se il coro cala alzate (non abbassate) il brano di un semitono. Vuol dire che siamo nella zona del passaggio di registro, e l’innalzamento lo faciliterà.
  • Controllate l’intonazione alla fine di un brano: se il coro è calato dovete lavorare ancora
  • Non usate il diapason a fischietto per darvi il la: se soffiate forte cala, se soffiate piano cresce…
  • Se proprio volete usare il pianoforte per dare l’intonazione, allora date solo la tonica e costruite le altre note in modo autonomo: l’intonazione temperata spegne il suono di qualunque coro!
  • Se la prova è lunga ogni tanto fate alzare in piedi il coro per cantare un passaggio o un brano intero.
  • Studiate un brano lento eseguendolo a velocità maggiore: i cantori memorizzeranno meglio le melodie.
  • Attenzione ai salti di ottava: in genere risultano sbagliati perché non hanno un obiettivo da raggiungere come quelli di quarta o di quinta.
  • State in guardia sui tempi composti: tutti i cori facilmente li rallentano…
  • Se volete rivelare gli intrecci ritmici di un brano fate sostituire il testo con il fonema Linn a ogni nota: avrete delle belle sorprese…
  • Se vedete i cantori spalmati sulle spalliere delle sedie dovete inventarvi qualcosa per riaccendere il loro interesse. Forse avete parlato troppo…
  • Non cantate tutto mezzoforte. E se cercate un piano non mettete l’indice davanti alla bocca con l’altro braccio tutto proteso in fuori: bastava fare un gesto piccolo…
  • Non indicate sempre qualcosa tenendo l’indice aperto in fuori, come se lo aveste intinto nella marmellata…
  • Provate a battere il tempo con il metronomo e silenziatelo per alcune battute: se non siete con lui al suo rientro la prossima volta pensateci bene prima di dire al coro «andate a tempo, porca miseria…!»
  • Preferite dirigere in due piuttosto che in quattro? Anche l’Ave Verum di Mozart? Bravi!
  • Considerate la vostra mano sinistra una grande opportunità, non un impiccio in più da gestire!
  • Se volete migliorare il suono del coro in un attimo insegnategli la respirazione diaframmatica!
  • Non manchi in voi l’entusiasmo. È contagiosoooooooo…!
  • È sempre valido il vecchio detto: il direttore deve avere la partitura in testa, e non la testa nella partitura. Anche i cantori.

Per concludere, noi direttori dovremmo fare un esame di coscienza. Al termine di una prova dura e impegnativa, dopo aver preteso tanto dai cantori, a volte anche più di quello che possano dare, siamo pienamente appagati dalla gioia di aver raggiunto un bel risultato finale, magari in un passaggio che dura sì e no tre secondi! Ma i cantori possono dire di aver goduto di quel suono come noi, o devono accontentarsi della nostra soddisfazione, fidandosi alla cieca di aver raggiunto un ottimo risultato che i più distratti forse non hanno nemmeno sentito? Basterà loro il nostro “Grazie”, che a volte nemmeno diciamo…?! Forse ci dimentichiamo che le nostre motivazioni sono di ordine strettamente musicale, mentre quelle che spingono un cantore a lasciare la famiglia per venire alla prova hanno una colorazione maggiormente sociologica, e per questo più vulnerabile, probabilmente più debole sul piano della resistenza e della caparbietà. Inutile sottolineare come gli aspetti psicologico-sociali costituiscano una componente essenziale del fare musica con un coro. Non fosse altro per il fatto che il direttore non sta suonando degli oggetti di legno e di metallo, ma sta muovendo i cuori, le sensibilità e le anime vive di tante persone…

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