Ecco perché non ha senso pensare che solo un musicista possa ascoltare. Anzi, quest’ultimo potrebbe riuscire meno di altri a mettersi in gioco, a immergersi all’interno dell’ascolto, per la tendenza all’analisi, alla comprensione tecnica del linguaggio musicale. L’ascolto però non richiede solo comprensione o presenza cognitiva ma anche partecipazione emotiva: è il canale privilegiato per entrare in relazione con il sé e con l’altro, è uno scambio interattivo che regala a chi ascolta e dà a chi è ascoltato.
Non esiste dunque persona che non abbia competenze nell’ascolto. Esso ha infatti carattere soggettivo e personale: non è catalogabile perché è strettamente correlato con la natura e il vissuto di ciascuno, con il contesto socio-culturale di appartenenza. Ognuno può ascoltare con competenza e con competenza può scegliere cosa ascoltare.
Ecco dunque che in un momento critico come questo per la coralità uno stimolo potrebbe essere quello di lavorare all’acculturazione attraverso l’ascolto. Essa non è altro che un assorbimento informale di contenuti e di elementi a cui si attribuirà, altrettanto istintivamente, «un’identità sulla base delle differenze che altrettanto istintivamente percepiamo esistere fra essi e ciò che ci è familiare» (Arnolfo Borsacchi, Gli stadi dell’audiation preparatoria, Audiation n. 0/2014).
Così il nuovo sarà compreso alla luce di ciò che già si conosce e questo scrigno del conosciuto si amplierà una volta che il nuovo sarà di volta in volta reso familiare. È questa la sfida che si vuole proporre a tutti i cantori a casa: ascoltare per ampliare informalmente il proprio vocabolario e per continuare a far vivere la musica dentro di sé. Non si potrà che tornare più ricchi di fronte al direttore una volta che la sala prove potrà essere riaperta.
Perché quest’esperienza abbia valore e risulti un’esperienza qualitativa è fondamentale che la musica venga messa al centro dell’attenzione di chi ascolta, smettendo per un momento di relegarla a sottofondo della nostra quotidianità. Ritagliamoci un momento di ascolto scelto, come quello che possiamo riservare allo yoga, e scegliamo un luogo accogliente per la nostra esperienza d’ascolto.
Prima di farlo però si scelga e si curi il repertorio che, come prima caratteristica, dovrebbe essere vario: non c’è nulla che faccia crescere quanto i processi discriminatori di riconoscimento delle differenze e l’ascolto di musica sempre simile crea assuefazione all’ascolto di musica familiare.
Si scelgano dunque brani di generi ed epoche diversi, composti per differenti strumentari e mai solo per coro: l’unico imperativo è partire da ciò che piace per divertirsi poi a essere creativi. Quante cose si potrebbero scoprire riascoltando in un contesto del genere un brano familiare? E quanta musica nuova potremmo scoprire di apprezzare? Si chieda anche qualche consiglio al proprio direttore di coro in merito, soprattutto per l’inserimento tra gli ascolti di musiche che non siano esclusivamente in modo maggiore o minore. Si ricerchino musiche che utilizzano i modi antichi e scale diverse da quelle che ormai fanno da padrone nella musica pop e con le quali, per questo, abbiamo maggiore familiarità. Altre culture poi nel corso della storia si sono mosse in maniera ancora differente e, nel ricercare la varietà, sarebbe bello fare qualche escursione al di fuori della musica tonale. Un consiglio? Cercate nel gregoriano, nella polifonia antica, nella musica jazz e in quella di altre culture. Ricchissima di spunti a questo proposito è la musica indiana.
Nella scelta del repertorio è importante valutare anche il criterio della complessità poiché anch’essa allena la nostra capacità discriminatoria. Si scelgano allora esecuzioni che abbiano spessore, corpo, sostanza. Su piattaforme come YouTube non è difficile individuare buone esecuzioni: si guardino i numeri di visualizzazioni, i like e la qualità video. Non si scelgano video fatti al cellulare, nemmeno se stanno riprendendo grandissimi interpreti: di questi ultimi saranno certamente disponibili registrazioni migliori.
E poi, il silenzio: tra un ascolto e l’altro ci si ritagli qualche minuto di silenzio. Uno spazio in cui i suoni ascoltati possano trovare eco interiore, uno spazio che stimola la nascita del desiderio e del bisogno e accresce la voglia di far musica. Concediamoci di far emergere il nuovo, di riscoprire la musica dentro sé.
Riguardo alle tempistiche ognuno scelga per se stesso: in generale il consiglio è quello di non iniziare con due sinfonie, ma con due, tre o quattro brani, che a seconda della loro particolare durata porteranno a rimanere in ascolto per venti o trenta minuti. Nell’ideare poi la seconda esperienza d’ascolto si riguardi un momento alla prima e di questa si riproponga sempre almeno un brano: la stessa musica deve tornare tra un’esperienza e l’altra perché possa diventare familiare. La ripetizione è fondamentale per l’apprendimento come ci dimostra il bambino che, fin da piccolo, ama ripetere le azioni, vuole riascoltare per decine di volte la stessa favola, lo stesso brano musicale.
Infine, prima di iniziare l’esperienza si ricordi quanto detto all’inizio: si ascolta con tutto il corpo, non solo con le orecchie. «Il corpo conosce prima che la mente comprenda», sosteneva Edwin E. Gordon e d’altronde anche le neuroscienze definiscono la conoscenza come la capacità di trasferire significati da una persona all’altra utilizzando il corpo come veicolo di questo trasferimento e come luogo della prima forma di comprensione presemantica. Il potenziale insito nell’ascolto è quindi amplificato dal movimento quando non inteso solamente come un atto motorio evidente, ma piuttosto come qualità del corpo che agisce con la musica. «Se vogliamo rimanere aderenti ai presupposti accennati di considerare il movimento un’esperienza sensoriale di conoscenza, dobbiamo cercare di favorire un movimento diverso. Un movimento spontaneo […]; libero in uno spazio-tempo soggettivo; esplorativo e non descrittivo; che nasca dall’ascolto e, a sua volta, faciliti l’ascolto» (Silvia Biferale, Il movimento nell’apprendimento, Audiation n. 0/2014).
Un movimento dunque a flusso continuo sempre in connessione con lo spazio, a partire dallo spazio del respiro: è lo stesso spazio poi a modificarsi a seconda della densità del nostro movimento e della nostra percezione. Chi canta in coro conosce bene la potenza del movimento, che già contiene in sé ciò che succederà: si pensi a quanto il respiro che precede un attacco possa già far presagire la qualità di un suono, a quanto il grado di tonicità del corpo o di una sua parte possano influire sull’emissione. Fidiamoci del nostro corpo e non limitiamoci a battere una pulsazione. Per favorire l’abbandono di schematismi rimaniamo a occhi chiusi e ascoltiamo.