Giocare con le voci significa soprattutto tener conto della relazione che il bambino ha con la propria voce e con le voci e i suoni dell’ambiente che lo circonda. In genere il bambino ha una relazione molto buona con la propria espressività vocale e ci gioca praticamente da subito. Un bambino, di due o tre anni, se parla di una cosa piccola come una coccinella, assottiglia la sua voce fino a modularla in registro di fischio (M3) e se descrive qualcosa di grande come un dinosauro il vocal tract (questa volta in M1)[1] si modella per esaltare le formanti più gravi della sua emissione vocale. Parallelamente a questo si evidenziano dei mutamenti nella postura, nella gestualità e nell’espressione del volto che ci fanno comprendere la sua particolare capacità di mìmesis, di diventare come le cose o le situazioni che descrive e racconta. Non mancano, e queste sono già attive fin dalla primissima infanzia, le interferenze sovraglottiche (corde false e aritenoidi) ad accentuare e caratterizzare il timbro vocale: nella prima infanzia soprattutto come segnali di disagio o di maggiore impatto comunicativo, in seguito anche come ulteriori segnali di interpretazione e espressione. Anche la prosodia dei bambini è ricca di curve di espressione, pause, dilatazioni temporali e accelerazioni analoghe alle forme degli elementi evocati o alle caratteristiche di movimento.
Tutto ciò sembrerebbe rivelare e avvalorare le ipotesi su un’origine gestuale del linguaggio. Si potrebbe anche paragonare l’abilità vocale del bambino alla capacità di realizzare sorprendenti disegni e accostamenti di colore nel campo delle arti figurative. Gli scarabocchi e le realizzazioni spontanee dei bambini possono competere con molte realizzazioni dei pittori del Novecento che, a un certo punto della loro ricerca, hanno sentito la necessità di lavorare a fondo su se stessi per ritrovare la naturalezza e le verità dell’arte infantile.
Purtroppo, non sempre l’ingresso nel mondo della scuola permette lo sviluppo o, perlomeno, la conservazione di queste abilità espressive e multisensoriali. È sufficiente l’allestimento di una semplice recita natalizia – dove si urlano in coro canti[2] dai testi pretenziosi e melensi su una base musicale rigida e compressa – per compromettere o minare la naturale competenza vocale di ogni bambino, iniziando la distruzione di un percorso al quale aveva lavorato con tanta passione e dedizione.
E, come accade quasi sempre, un mondo adulto dimentico dei propri trascorsi infantili è pronto ad applaudire, apprezzare e a lodare questo brusco ingresso dei bambini nella piattezza e nella prevedibile ripetitività del meraviglioso mondo dei grandi. A dimostrazione di tutto ciò ci sono i talent televisivi che vedono impegnati i bambini nel cantare canzoni del mondo adulto con modalità espressive, gestuali e, purtroppo, vocali che adulterano l’immagine sia vocale che personale dei partecipanti, a fini ben lontani dalla vocazione formativa e educativa dell’esperienza musicale. Del resto, ormai anche i cantanti adulti dotati delle migliori qualità performative sono costretti a mettersi in gioco in trasmissioni nelle quali devono imitare le voci e la fisicità di altri cantanti, producendo qualcosa di apparentemente divertente ma, nel fondo, testimone di una sorta di archiviazione di ciò che, in un’ampia accezione, si potrebbe definire come la stagione del belcanto.[3]
Il compito di chi lavora con un coro di bambini nella scuola dell’infanzia o nella scuola primaria è estremamente delicato e spesso si scontra con l’immagine distorta della vocalità infantile che il mondo adulto (compresi gli insegnanti) si è costruito attraverso anni di proposte televisive, cinematografiche e pubblicitarie… soprattutto in Italia! La recente pubblicità di una nota marca di acque minerali, dove un coro di bambini urla un Alleluia a squarciagola, basta a significare e a confermare questa situazione di generale e diffusa incultura. Ciò contrasta (e, a mio parere, non funziona) con le sensazioni di leggerezza e di beneficio per la salute che dovrebbero accompagnarsi a un’efficace promozione di questo tipo di prodotti.
Come contrastare questa tendenza diffusa (anche se non mancano le oasi felici della buona coralità infantile) a ciò che, tempo fa, definii come cantargridando? Anzitutto privilegiando la scelta e la proposta di repertori adeguati per estensione e grado di difficoltà. La naturale riconoscenza dei bambini, dopo un iniziale e prevedibile smarrimento, non tarderà a manifestarsi, motivata dal piacere di cantare brani accessibili e da un ritrovato contatto con la parte eufonica e originaria della voce e della sua emissione. Su questi argomenti mi sono ampiamente diffuso in una mia recente pubblicazione[4] e approfitterò dello spazio concessomi con questo articolo per sviluppare uno dei temi a me caro: quello della leggerezza del canto infantile unita alla giocosità e alla ricerca di soluzioni condivise.
Se parliamo di generi musicali nei quali la leggerezza è implicita e sembra resistere agli assalti delle voci rotte, graffiate e patologiche (e aggiungerei forzatamente gridate) di cui si parla qui (nella nota 3 a piè di pagina), i due ambiti che sembrano resistere all’assalto di queste tendenze contemporanee sono quelli del canto jazz e della musica brasiliana. Spesso propongo l’ascolto di questi repertori per spiegare la differenza tra forza e energia: quell’energia duttile e scorrevole che si può manifestare anche attraverso l’eleganza e una discorsività sciolta e scorrevole. Nonostante l’aspetto dell’improvvisazione sia quello più sottolineato quando si tratta delle caratteristiche peculiari del jazz, a mio parere il jazz è anzitutto contatto immediato e sintonia con il suono e con il ritmo e si avvale spesso, anche nei repertori più drammatici, di una particolare modalità della leggerezza.
Nella mia esperienza didattica, ho costatato che, se i bambini della scuola dell’infanzia o della primaria, intonano un motivo su un ritmo swing o su armonie e scale tipiche di questo linguaggio, la voce trova una maggiore espressione nella leggerezza, la respirazione trova il suo punto di equilibrio[5] e il risultato è sorprendente per insieme, qualità espressiva e intonazione. Tra l’altro il dondolio o i movimenti spontanei naturalmente provocati dallo swing, favoriscono un naturale controllo vocale (costantemente in assetto variabile), favorendo un’emissione libera da tensione o costrizioni. In altre parole, il jazz si comporta come un catalizzatore di buone pratiche vocali e, per estensione, musicali. In questo senso, il repertorio non manca e ci collega direttamente alla produzione sia compositiva che performativa di grandi esponenti della musica leggera italiana, come Gorni Kramer, il Quartetto Cetra, Natalino Otto, il Trio Lescano, Lelio Luttazzi, Fred Buscaglione (di quest’ultimo l’anno prossimo si ricorderà il centenario della nascita) e molti altri, senza dimenticare il contributo, più vicino ai nostri giorni, di Paolo Conte.
Ho riportato il tipico pattern swing della batteria espresso quasi costantemente dall’articolazione del piatto ride e dal rullante in levare. Qui è indicata una notazione che ricorre alle terzine in rapporto a una scansione quaternaria, ma è forse più comodo, come vedremo, un sistema di notazione basato su una misura quaternaria composta, come un 12/8.
C’era un bambino
un po’ pienotto
studiava poco
giocava troppo
di cioccolata
si rimpinzava,
sopra i quaderni
s’addormentava,
finché una notte
nella sua stanza
entrò Pinocchio
e (che arroganza!)
gli disse: «Svegliati,
sciocco bambino,
o sarai presto
tu il burattino!»
Fu solo un sogno?
Dal giorno dopo
quel ragazzino
capì che il gioco
è di chi adopera
la propria testa
e guarda avanti
e non s’arresta
nell’avventura
varia e infinita
che tutti i vivi
chiamano vita.
[Tratta da Firmino e altre poesie, di Elio Pecora, Orecchio Acerbo, Roma, 2014]
La poesia di Elio Pecora che ci racconta della possibilità di una trasformazione a rovescio da bambino a burattino, è un ottimo modello per descrivere le possibilità di un gioco swing da sviluppare con le voci. Se non si dispone di un batterista, la prima cosa utile sarà quella di poter disporre di una registrazione con un pattern swing. Nessun problema, perché sul magico youtube si trovano appositi swing drum loops che si prestano perfettamente al nostro scopo. Le variazioni possibili sono diverse e provo a elencarle almeno quattro in sequenza:
Per concludere questo articolo sulle voci in gioco, un vocalizzo swing con accompagnamento di pianoforte, un invito a usare la voce con leggerezza (sia nel testo che nella scrittura musicale) con un intervento di body percussion facile da realizzare. Il codice della body percussion lo conosciamo ormai tutti, soprattutto quello più elementare che ricordo qui per scrupolo:
MA = mani
PE = petto
GA = gambe (cosce anteriori)
FI = fianchi (delle cosce)
PIÈ = piedi