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Il buon corista? Un buon cantante
Proviamo a lavorare sulla voce, anche da soli

di Clara Bertella
dossier "Il cantore consapevole", Choraliter 63, gennaio 2021

Un momento di pausa, anche se forzata, può rivelarsi sempre una preziosa occasione per lavorare su di sé. Questo vale anche per la voce, tanto più per chi di solito, come accade ai coristi, è abituato a utilizzarla insieme ad altri. È l’occasione per sentire la propria voce, per scoprirne i punti di forza e di debolezza, per curare l’emissione dei suoni, l’omogeneità timbrica e l’appoggio… insomma, tutto ciò che normalmente il direttore chiede.

Se è indiscutibilmente vero che la bellezza di un coro dipende molto dall’omogeneità timbrica dello stesso (a sua volta derivante dall’omogeneità delle diverse sezioni) è altrettanto vero che ciò non è pienamente realizzabile se ogni singolo elemento del coro non lavora su di essa, a prescindere dalle proprie qualità vocali, dalle proprie caratteristiche, dal proprio timbro. Il problema è che l’omogeneità – a ragione tanto decantata, invocata e richiesta dai direttori – dipende in primis dalla tecnica.
Un direttore può essere indubbiamente bravo, preparato e competente ma – a differenza di un direttore d’orchestra – non ha davanti a sé degli strumentisti professionisti che possono realizzare tecnicamente quanto egli musicalmente desidera: ha davanti a sé persone dotate di diverse conoscenze, competenze e capacità musicali, uomini e donne provvisti certamente di grande passione ed entusiasmo, ma non sempre (o meglio, quasi mai) professionisti della voce. Ciascuno di voi, se vuole essere buon corista, deve essere prima di tutto un buon cantante nel senso letterale del termine. E il canto è davvero lo strumento più semplice, ma al contempo più difficile proprio perché la sua immediatezza impedisce talvolta di considerarlo come un vero e proprio strumento che necessita di studio e costanza, alla stregua di tutti gli altri. Ma veniamo a noi: cosa fare quindi in questo periodo in cui non ci è concesso cantare insieme agli altri?
Prendiamoci del tempo per cantare singolarmente, per godere del suono della nostra voce, che mai mette a nudo noi stessi come quando cantiamo da soli. Perché emergono le nostre stanchezze fisiche e mentali, perché non possiamo appoggiarci ad altri sia per quali note cantare sia per come cantarle: siamo solo noi. Noi con le nostre fragilità di appoggio, di intonazione, di emissione, ma anche con le nostre qualità. Prendersi del tempo quotidianamente, anche solo cinque minuti, per riscoprire il suono della nostra voce di cantante oltre che di corista, può rivelarsi preziosissimo per ricominciare con un rinnovato slancio e una ritrovata sicurezza.

Non nego che sia molto difficile lavorare sulla tecnica vocale da soli. Sono fermamente convinta che sia fondamentale avere il supporto di un vocalista per crescere tecnicamente migliorando la qualità e la quantità di suono. È possibile però riprendere quanto solitamente ciascuno ha imparato a fare durante i vocalizzi che il maestro propone all’inizio della prova per rendersi conto se esso sia davvero per ciascuno un riscaldamento, come dovrebbe essere, o piuttosto se non affatichi e stanchi ancor di più. È l’occasione per lavorare su di sé, ripercorrendo e adattando alla propria voce ciascun punto del riscaldamento vocale, prima di tutto sul fiato, che è il motore della voce. Il cantante è come un atleta: si fa del male se non prepara fisicamente la muscolatura e non la rende pronta ad affrontare quello che l’aspetta, poiché cantando chiediamo al nostro organo vocale molto di più di ciò per cui esso è fatto. Prendiamoci quindi cinque minuti al giorno per fare esercizi di fiato… Basta l’esercizio più semplice, noto a tutti: espiriamo profondamente, inspiriamo in cinque secondi (facendo ovviamente attenzione che la nostra respirazione sia bassa ovvero diaframmatica), facciamo un secondo di apnea e cominciamo a lavorare sull’espirazione facendo una sss piccolissima e costante che deve durare almeno 40 secondi (meglio se si arriva al minuto). Non si può ovviamente cantare sul fiato, appoggiando i suoni se la nostra espirazione è limitata.

Se poi conoscete qualche esercizio per imparare a rubare il fiato (come ad esempio la tazzina del caffè o il cagnolino o la pompetta) esercitatevi! Se non ci si esercita a immagazzinare il maggior quantitativo d’aria in pochissimo tempo (rubando il fiato, appunto) senza cadere nella tentazione di alzare le spalle e mettere in atto una inspirazione alta, i fiati dureranno sempre meno rispetto al primo grande fiato. E state tranquilli: lavorare sul fiato, oltre a essere sempre utilissimo e preziosissimo, non può assolutamente creare danni, neanche per i coristi neofiti!
Per chi durante le ore di coro è abituato a lavorare con i suoni muti, può prendere l’occasione di verificare se effettivamente in tutta l’estensione vocale riesce a mantenere la stessa posizione in maschera, per ciascuna nota della sua scala vocale. Cantare quando voglio e non quando devo può essere l’opportunità per capire dove rischio di creare delle costrizioni, in quali note mi capita di perdere la mia posizione e andare a cercare l’acuto in alto (chiudendo la gola e alzando il collo) o cercare le note in basso, abbassando la posizione. Posso provare a capire su di me cosa significa non perdere il mio punto di emissione, costruendo la mia tastiera vocale in orizzontale e non in verticale (si pensi alla collana di perle di Juvarra).

Questo è il principale segreto per non calare. Chi mi conosce sa quanto io ritenga fondamentale lavorare sugli esercizi di masticamento per imparare a non perdere la posizione alta ottenuta con i muti (vocalizzando la m) quando si abbassa la mandibola cantando. Il masticamento è proprio questo anello di congiunzione. Se avete lavorato su questo, sarà preziosissimo farlo da soli. Così come lavorare sull’apertura dei suoni, curando l’omogeneità timbrica sia nelle note di diversa altezza sia nelle vocali.
Ogni giorno provate partendo dalla vostra m a far uscire questa vibrazione dicendo una Ü e cercando di trasformarla in i è è a ò ó u e tornando sulla m.
Fatelo anche solo su un suono che non sia per voi né troppo grave né troppo acuto. Cercate di mantenere lo stesso suono pur passando da una vocale all’altra. Se lo fate correttamente, sentirete una morbidezza di suono che corrisponde a una assenza totale di tensioni muscolari. Se invece il suono cambia, avvertirete una eterogeneità timbrica dovuta a un mutamento della posizione che spesso comporta una percezione di fatica.

Provate poi a prendere una frase, sempre su un suono che vi è comodo, e a cantarne prima solo le vocali e successivamente ad attaccarci le consonanti: ad esempio, in un fa3 prima cantate solo le vocali presenti nella frase in un bel giardin di rose (soffermandovi sulla trasformazione da un suono all’altro i u e ia i i o e) e dopo aggiungetevi le consonanti (facendo attenzione che siano davvero con-sonanti, cioè che suonino con le vocali senza togliere suono). Sentirete se la posizione rimane alta e in maschera e se il suono risulta omogeneo ed emesso senza alcuna fatica oppure no.

Se il vostro problema, più che la posizione alta, è l’appoggio e la quantità di suono, eseguite gli stessi esercizi partendo dalla s piuttosto che dalla m: espirate, inspirate, fate un secondo di apnea e iniziate con la sss su cui andrete ad appoggiare la s ü i è è a ò ó u o la sequenza s i u e ia i i o e e subito dopo sss in un bel giardin di rose.
Dopo questo brevissimo riscaldamento, potete prendere qualche frase problematica che stavate cantando a coro. Provate a vocalizzarla con la m, passate poi a eseguirla con le vocali, verificandone l’omogeneità timbrica e solo successivamente cantatela aggiungendo le consonanti. Se invece ci sono intervalli ampi (nei quali vi rendete conto di cambiare la posizione, di chiudere la gola e di calare), provate a riempire gli intervalli con un glissando, per capire come prendere l’acuto senza cambiare la posizione interna. E poi… quando potrete tornare a cantare fatevi un regalo: prendetevi del tempo con un buon vocalista per conoscere meglio la vostra voce. Vedrete che con poco otterrete molto!

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