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Paese che vai... coro lirico che trovi
Intervista a Marco Ozbič

di Marco Della Sciucca
dossier "Cori nell'opera", Choraliter 62, settembre 2020

Abbiamo intervistato Marco Ozbič, direttore d’orchestra e di coro italiano-sloveno molto richiesto all’estero, con esperienze artistiche che spaziano dal sud Italia (Napoli in particolare) al nord Europa, fino alla Cina. Ci è sembrato un testimone importante per capire i differenti mondi corali legati al teatro d’opera.

È alquanto noto che i cori dei teatri d’opera non sono mondi omogenei. Lei ha avuto modo di lavorare con realtà geograficamente molto distanti, in particolare il San Carlo di Napoli, la Staatsoper di Vienna, ora l’Opera Nazionale Finlandese, l’Opera di Copenaghen, l’Opera nazionale di Lione e, in Cina, il Centro Nazionale per le Arti dello Spettacolo, cioè l’Opera di Pechino, sia come direttore d’orchestra sia come maestro del coro, e questa duplicità di ruoli rende il suo giudizio sicuramente più obiettivo. Alle differenze geografiche, che molto spesso sono anche differenze culturali, corrispondono realtà lirico-corali musicalmente, managerialmente e culturalmente differenti?

Io farei dei distinguo su come sono strutturati questi teatri: la Staatsoper di Vienna è un teatro di repertorio, dunque con un vastissimo numero di opere in programma, che però vengono proposte quasi senza prove. Abbiamo un certo numero di nuovi allestimenti all’interno della stagione, ma tutto il resto sono riprese di opere già preparate precedentemente. Dal punto di vista finanziario è una cosa ottima perché il teatro è praticamente aperto ogni giorno e offre al pubblico un’enorme varietà di programmi, da Mozart a tutta la produzione più moderna e addirittura contemporanea. L’unico svantaggio è nei tempi per la preparazione, che sono molto, ma molto ristretti, perché bisogna “macinare” trentacinque e spesso anche quaranta opere all’anno.

Com’è organizzato il coro alla Staatsoper?

La necessità di effettuare un numero così alto di produzioni comporta una suddivisione del coro: ci sono i cosiddetti senior, che hanno già imparato tutto il repertorio, poi ci sono gli “allievi”, che nel giro di tre anni devono preparare, imparando cioè a memoria la parte del coro, circa il 60-65 per cento del repertorio. È un lavoro notevole e molto impegnativo!

E negli altri teatri dove ha lavorato?

In Italia il meccanismo del repertorio viene sostituito dal sistema della “stagione” in cui ogni teatro prevede un certo numero di prime, che a Napoli, dove ho lavorato per diversi anni, oscillavano tra le sei e le otto unità, con titoli che spaziavano da Mozart a Henze, ma con particolare enfasi per le opere di Verdi e Puccini.

Entriamo più in dettaglio nelle realtà corali dei teatri d’opera.

Qui in Scandinavia si sta privilegiando il sistema, poco presente in Germania e in Austria, del chorus manager, una figura che, oltre a fare da tramite tra il direttore artistico e il direttore del coro, è colui che da un lato si occupa delle questioni tecniche come assenze e malattie, dall’altro ha incombenze più propriamente manageriali, avendo la responsabilità anche finanziaria della gestione del dipartimento-coro. Faccio un esempio: se abbiamo una produzione che richiede più coristi, egli è colui che calcola il budget degli aggiunti, e lo fa avendo sempre ben presente il quadro economico di tutta la stagione. Non ha però potere decisionale sulla struttura delle prove o sulla divisione in sezioni del coro, che rimangono prerogativa del maestro del coro. Anche nell’esperienza che ho avuto in Francia ho visto che il maestro del coro si occupa esclusivamente delle questioni artistiche, mentre tutto il resto è demandato a un manager. In Italia, invece, c’è un diretto e costante contatto e confronto tra il direttore artistico e il maestro del coro, che può liberamente esprimere e condividere il suo punto di vista artistico, con proposte che possono anche spaziare verso il repertorio concertistico-sinfonico, proprio perché nei teatri italiani c’è anche la stagione sinfonica che prevede spesso la presenza del coro. Alla Staatsoper ci sono invece due ispettori che prevalentemente curano i turni di questa mole enorme di riprese di repertorio.

La sua esperienza musicale a Vienna si è declinata in attività diverse: oltre che direttore alla Staatsoper, è stato fondatore e direttore della Opernsingschule, direttore del Wiener Jeunesse Chor e Kapellmeister presso i Wiener Sängerknaben. Ha una sua particolare visione di questa multiforme espressione corale della città di Vienna?

Quando ero lì una delle cose più interessanti del sistema-musica viennese era che i Wiener Sängerknaben cantavano anche alla Staatsoper per le produzioni in cui si richiedeva un coro di bambini. Dal momento che sono stato Kapellmeister dei Wiener Sängerknaben prima di essere alla Staatsoper, ho avuto modo di osservare la cosa prima dal punto di vista del coro dei bambini. Poi, dal 2002-2003, si è cominciato a pensare, per questioni finanziarie, ad altre soluzioni, come quella di creare per l’Opera di Vienna un coro di voci bianche apposito, inglobandolo in una scuola, l’Opernsingschule appunto. Un esperimento che ha dato ottimi frutti: alla prima audizione si presentarono circa trecento bambini, e ora, dopo tanti anni, è divenuta una vera e propria istituzione. Il Wiener Jeunesse Chor è invece un coro amatoriale di qualità alta, da poterci permettere concerti anche molto interessanti, per esempio la Passio di Arvo Pärt con la collaborazione del celebre Hilliard Ensemble.

È un coro che si propone anche con repertorio lirico?

Lo facevano, raramente, prima che arrivassi io come direttore, con diverse produzioni legate al Konzerthaus, ma per lo più in forma di concerto. Al contrario, un coro che faceva molto repertorio lirico, con produzioni operistiche anche in forma scenica, era la Singakademie, il coro ufficiale del Wiener Konzerthaus, con il quale ho lavorato soprattutto come pianista assistente del direttore Herbert Böck durante i miei anni di studio. Adesso, per questo tipo di repertorio, c’è l’Arnold Scönberg Chor, un coro semiprofessionale che è stato inglobato nel Theater an der Wien. 

E l’esperienza a Pechino?

Esperienza impressionante. Inizialmente tentennavo molto di fronte alla proposta offertami, per questioni di distanza, di cultura musicale. Poi, trovatomi lì, sono rimasto impressionato per i mezzi di cui dispongono. Hanno creato un lago artificiale nel pieno centro di Pechino, entro cui è stata costruita una struttura, il Centro Nazionale per le Arti dello Spettacolo, che comprende tre teatri, tra cui il teatro d’opera con più di 2500 posti. Così come hanno creato un teatro così impressionante dal nulla, allo stesso modo stanno creando una tradizione di teatro musicale di tipo occidentale, con un programma di educazione del pubblico su questo tipo di repertorio. Mi è sembrato che i loro mezzi fossero pressoché illimitati. Per quanto riguarda il coro, dovevo preparare i Meistersinger, che non è un’opera facile: un enorme numero di coristi, la lingua, la memorizzazione della cosiddetta “Prügelfuge” del secondo atto… Mi sono trovato benissimo, perché gli artisti e le artiste del coro hanno dimostrato una professionalità, serietà, applicazione, metodo di lavoro davvero rari se comparati agli standard europei. E questa professionalità si univa ai grandi mezzi di cui dispongono: solo per fare un esempio, nella sala prove disponevo di un Fazioli grancoda nuovo di zecca! E poi la qualità: nulla da invidiare ai più importanti teatri occidentali, anche grazie agli scambi culturali che mettono in atto, a partire dagli investimenti educativi di cantanti e altri professionisti che vengono a formarsi in Italia e in Europa, importando così cultura e competenze. 

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