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Il gesto indigesto.
La gestualità del direttore di coro

di Lorenzo Donati
dossier "Quel passo in più", Choraliter 65, settembre 2021

Caro direttore che leggerai questo scritto, prima di proseguire, cercando suggerimenti sulla gestualità, guardati allo specchio e rifletti sul cosa sei, cosa sai, cosa vorresti comunicare e cosa comunichi. Il direttore è tutto, è un tutto, è liutaio e violinista, progettista, meccanico e pilota. Quindi guarda in quello specchio, non in una foto o nel cellulare, guarda lo specchio e chiediti chi sei e cosa puoi/vuoi rappresentare e comunicare. Tutto questo prima di alzare le mani per dirigere e prima di aprire la bocca per dare consigli e suggerimenti.

Prima di iniziare a pensare al gesto, pensa quanto conosci quella partitura, quanto l’hai studiata per rispettarla nella tua interpretazione, quanto desideri dirigerla e condividerla con i tuoi coristi e il pubblico. Pensa, prima di iniziare, a chi ti troverai di fronte e chi sono i coristi che guarderanno il tuoi movimenti e ascolteranno la tua voce, che esperienza hanno, da quanto cantano assieme o da quanto con te. Pensa anche al luogo dove andrai a interpretare quella musica e che tipo di pubblico ascolterà il tuo concerto. Rifletti su come sei fatto, se sei uomo o donna, se alto o basso di statura, se robusto, morbido o snello. Anche tu direttrice pensaci, pensa al fatto che il gesto disegna un piano ideale di fronte a noi, quel piano lo leggono i coristi e quel piano sta di fronte all’ombelico o sotto, ma spesso ti troverai a dirigere con un piano d’appoggio ideale alto, che a volte per pudore starà all’altezza del viso o delle spalle. Come possiamo chiamarlo piano d’appoggio se è troppo in alto? In quei casi sarà piuttosto una “mensola d’appoggio”.
La nostra fisicità, il nostro carattere, la tonalità della nostra voce, la capacità di comprendere gli altri, quella di saper prendere decisioni: tante sono le cose che devi sapere di te, per poter essere un buon direttore e iniziare a pensare al gesto.

Caro direttore, probabilmente sai che in Francia il direttore di coro si chiama chef de chœur. In effetti siamo dei cuochi (dei capi della cucina) che preparano un grande pasto e organizzano tutto, dall’apparecchiatura al menù, dagli ingredienti al luogo dove accoglieranno gli ospiti. Siamo chiamati a preparare il gesto, i momenti, la posizione di fronte al coro (o al suo fianco come in alcuni repertori), il tono di voce, il ritmo delle prove, l’energia vitale di una prova o di un esecuzione, la capacità di adattamento del gesto alla necessità vocali e interpretative.
Tutto questo non è la sostanza del pasto che stiamo preparando. La sostanza sta nel repertorio scelto, nelle voci che lo canteranno, nella qualità della preparazione del programma durante le prove, al tempo stesso la gestualità del direttore è tutto ciò che serve per realizzare al meglio un’interpretazione musicale. I gesti del direttore sono i piatti, le pentole, i coperchi e i fornelli, l’apparecchiatura, le candele, le tovaglie, i bicchieri e il luogo in cui si potranno degustare i sapori.
Molti colleghi – perché quando si dirige siamo tutti colleghi, se non per studi e capacità almeno per passione – cucinano con una pentola e un mestolino, poi ti servono da mangiare su un unico piatto, con una forchetta e un coltello. La semplicità degli strumenti che utilizzano non toglie la qualità alle portate musicali che preparano, ma spesso non gli consente di preparare altro da quello che con una pentola e un mestolino possono fare.
Altri si affaticano a lavorare sul gesto per anni, sperando che, acquisendo nuove capacità, potranno acquisire nuovi strumenti tecnici; quindi hanno padelle e pentole di tutti i tipi, conoscono tutte le ricette, hanno coltelli per ogni portata, ma non è detto che abbiano la capacità di cucinare, perché il buon cuoco non si valuta da quante padelle possiede.

Per questo, caro direttore, prima di pensare al gesto, quindi a quanti utensili hai per poter cucinare, guardati allo specchio. Tu sei e il cuoco e tu devi conoscere gli ingredienti che ti servono per preparare quelle pietanze, tu devi conoscere le ricette che puoi e vuoi realizzare con quegli ingredienti, tu devi decidere in che luogo e come servirai quelle portate, che tipo di persone mangeranno al tuo ristorante.
Un buon direttore è prima di tutto una persona che si è posta delle domande su se stessa e si è data le risposte che portano alla tranquillità di poter guidare la cucina nell’opera creatrice del fare musica con le persone.
Il gesto poi arriva e può essere risolutivo, ma prima serve il resto. Puoi creare il suono del coro, puoi aggiustare l’intonazione, puoi enfatizzare un elemento musicale o addolcire il suono di una voce, puoi dare coraggio a una sezione o placare qualche voce troppo presente. Con gli strumenti giusti si può fare tutto e farlo “live”, in diretta. Preparare un attacco con cura ed energia è come correggere un piatto senza carattere poco prima che esca dalla cucina, sapendo che altrimenti sarebbe impiattato scondito. Aiutare una sezione a legare una frase molto lunga è un po’ come tirare con un bel mattarello la sfoglia. Certamente ognuno potrà trovare i suoi paragoni e le sue similitudini, ma caro direttore devi sempre ricordarti che siamo chef e abbiamo il dovere di pensare a tutto affinché il nostro ristorante proponga ciò in cui crediamo.
Come tutti i cuochi possiamo anche prendere in prestito delle ricette e rivisitarne altre, fa parte del gioco. Fa parte del gioco anche che qualcuno, magari dall’interno della nostra cucina, ci porti via strumenti e ricette. Si chiama gioco sporco, ma fa parte del gioco anche questo.
Abbiamo anche i concorsi con cui si assegnano le stelline ai nostri ristoranti. Alcuni di questi concorsi prestigiosi hanno giurie serie e preparate, ma tutti possono sbagliare quando si tratta di gusti. Quindi sappiamo anche che si può mangiare benissimo in una trattoria che serve un menù semplice, senza stelle Michelin, oppure trovarsi truffati e insoddisfatti dopo una cena in un ristorante stellato.

Caro direttore, se non ti ha infastidito questo parallelismo con il mondo della cucina, tanto valorizzato negli ultimi anni anche nei media, sarebbe importante pensare a questo punto anche ai gesti che possono essere indigesti.
Il gesto indigesto è quello che appesantisce la vocalità del coro, quello che fa alzare la posizione vocale fino a far stancare le voci e gli ascoltatori, quello che marca tutte le suddivisioni, quello che non fa respirare né i coristi né la musica, quello che non prepara mai gli eventi musicali e gli attacchi, quello che non comprende che la frase non termina con l’attacco, quello che sgrida platealmente una sezione e non ha capito che l’errore stava da un’altra parte, quello che quando fa un crescendo accelera e mentre fa un diminuendo rallenta, quello che alza il dito indice quando il coro cala, quello che sta sempre con la testa rivolta al leggio, quello che non guarda mai il coro negli attacchi, quello che fa la faccia arrabbiata quando vuole un forte, quello che pensa al tempo quando il coro è già partito.
Tanti sono i gesti indigesti, adatti solo a stomaci forti, e le divinità del mondo corale ci proteggano dal servire ai nostri coristi o al nostro pubblico le schifezze indigeribili che appesantiscono e avvelenano la nostra musica. Per questo gli chef dovrebbero fare delle scuole per imparare a cucinare meglio e a mettere assieme gli ingredienti utilizzando anche strumenti adeguati. Poi sappiamo anche che ci si può abituare al cianuro e si può vivere bevendo acqua non potabile, ma meglio servire cibi sani.
Alcuni colleghi servono la minestra, ma hanno nel loro bagaglio tecnico solo forchette. Altri fanno una buonissima fiorentina, ma poi ti danno coltelli di plastica. Avete presente la sensazione di quando si rompe una posata di plastica dentro alla carne alla brace? Questo succede quando scegliete un brano bellissimo, ma difficile, e il vostro coro non ce la fa a cantarlo. Si rompono, i coristi e le loro voci, come le posate di plastica.
Un direttore attento sa che se le voci dei suoi cantori sono “deboli” è preferibile scegliere un buon riso freddo, con tante verdure e un po’ di formaggio, evitando brani per i quali serve una preparazione vocale e tecnica più solida. Sono sempre le nostre scelte, il modo in cui prepariamo le voci e come studiamo la partitura col coro ad aiutare o affaticare l’esecuzione; non dipende da altri, siamo l’allenatore che prepara la sua squadra a una partita.
Dice Julio Velasco, che non è un cuoco e neanche un direttore di coro: «niente scuse, se si perde è colpa nostra e merito degli avversari». Eventuali nostre ricette indigeste dipendono al 90% da noi direttori e dalle nostre scelte.
Dipende comunque sempre tutto da noi, dalla nostra persona, dalla nostra cultura, dalla capacità di essere artisti e interpreti, da quanto rispettiamo la musica, i compositori, i coristi e il pubblico. La gestualità è parte integrante di questo progetto, può essere determinante nel far apprezzare meglio le nostre scelte o sciupare delle buone idee. Quindi forniamoci di molti utensili e niente scuse, continuiamo a cucinare, ma attenti ai gesti indigesti.

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