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Esaltare le qualità del singolo
La costruzione del suono corale

di Dario Tabbia
dossier "Quel passo in più", Choraliter 65, settembre 2021

Il suono del coro è uno degli aspetti più delicati che un direttore debba affrontare. Esso infatti rappresenta quello che dovrebbe essere il marchio caratterizzante il gruppo stesso, una sorta di carta d’identità vocale che lo distingue da qualsiasi altro.

Essendo ogni coro formato da persone diverse e partendo dal presupposto che non esistono due persone dotate della stessa voce, ne consegue che sarebbe sufficiente la semplice sommatoria dei partecipanti a ottenere un risultato unico, personale e soprattutto diverso da coro a coro. Questo in realtà non è sempre esatto o, perlomeno, non corrisponde alla realtà musicale cui assistiamo. La premessa è che il direttore deve avere le idee molto chiare sul tipo di suono che predilige senza perdere tuttavia la consapevolezza del materiale umano che ha a disposizione.
Uno dei principali problemi consiste, infatti, nel trovare un equilibrio fra ciò che si desidera in senso assoluto e quello che si può ottenere. Il vero punto di partenza per intraprendere un lavoro finalizzato alla creazione del suono del coro consiste nella maggior conoscenza possibile delle voci che formano il gruppo. Solo il rispetto della voce del singolo può portare a esaltarne le qualità, spesso nascoste al primo ascolto.
Quando un direttore decide di fondare un coro spesso recluta i coristi sulla base di un’audizione. Questa è una operazione assai delicata in quanto si rischia, in pochi minuti, di prendere una decisione che spesso potrebbe cambiare se all’aspirante corista fosse dedicato più tempo per poterlo ascoltare sotto tutti gli aspetti, a partire da quello musicale. Una voce può colpirci al primo impatto per la sua qualità oppure per evidenti carenze e questo può portarci a conclusioni frettolose. Non sono rari i casi in cui un corista in possesso di una bella voce risulti assolutamente poco musicale, con grandi carenze ritmiche oppure con scarsa duttilità nell’impiego del proprio strumento vocale. Al contrario ci sono persone alle quali bastano pochi consigli per riuscire in pochissimo tempo a migliorare l’emissione, la qualità del timbro se non addirittura l’estensione.
Le qualità musicali di un corista sono molto importanti: la voce è indispensabile ma lo è altrettanto la capacità di usarla, di metterla al servizio dell’espressività e del significato testuale e musicale del brano. Se un corista al primo ascolto rivela un minimo di qualità vocali, il consiglio è quello di ammetterlo a un periodo di prova all’interno del coro durante il quale avremo modo di osservare meglio le sue potenzialità. Capita molto frequentemente di avere a disposizione voci importanti che non riescono a esprimersi a causa di una serie infinita di problematiche musicali. Al contrario, voci più modeste possono essere di grande aiuto per la sicurezza musicale, per l’intonazione precisa, per la capacità espressiva. Credo altresì che sia estremamente importante trovare un momento in cui il direttore possa ascoltare nuovamente i coristi già inseriti da tempo. L’obiettivo non è quello di sottoporli a un esame di verifica, ma quello di aggiornare le proprie impressioni e di controllare che la voce sia sempre a suo agio in quel settore oppure, per motivi vari, se sia meglio spostarla in un ambito vocale più comodo. Le voci possono perdere di freschezza, di volume, ma possono anche evolversi e maturare. Spetta sempre al direttore il compito di ottimizzare le risorse interne affinché ognuno possa essere a proprio agio esprimendosi al meglio.

Fatte queste premesse, torniamo al tema principale e cioè all’idea di suono che ha il direttore. È evidente che egli debba conoscere il più possibile prima di poter scegliere, e fra le tante conoscenze quella principale riguarda la tecnica del canto. Senza pretendere che ciascun direttore abbia importanti studi di vocalità alle spalle, è bene avere almeno una conoscenza approfondita sulla respirazione, sull’emissione e sulle principali problematiche legate all’uso della voce. Questo gli servirà per saper chiedere, evitando il pericolo di fare richieste irrealizzabili oppure di creare confusione fra i coristi. Ognuno ha un suo gusto personale che lo porta a preferire questo o quel tipo di suono, così come tutti hanno dei modelli di riferimento. Il pericolo consiste nel pretendere che il nostro gruppo canti come uno dei nostri cori preferiti. Avere un ideale cui ambire non è sbagliato, lo è invece sacrificare su quell’altare le caratteristiche peculiari delle voci che compongono il nostro coro.
Un esempio di scelta errata è rappresentato dalla maggior parte dei cori il cui repertorio è legato alla tradizione alpina. In tempi in cui pochissimi erano i cori di qualità a eseguire tale repertorio, la maggior parte dei complessi corali si limitò per un tempo lunghissimo, che forse non è ancora terminato, a copiare letteralmente le sonorità di altri. Una sorta di canto a imitazione che ha portato a livellare completamente voci assai diverse fra loro che avrebbero potuto invece esprimersi in maniera assai diversa e più gratificante.
Anche molti direttori di cori polifonici non sono sfuggiti a questo canto delle sirene che li ha portati, spesso, a sfracellarsi con una realtà impietosa. Nel rispetto del proprio gusto, delle proprie idee e convinzioni, un direttore non può ignorare la natura dei propri coristi e l’unicità delle loro voci.
Il percorso consiste piuttosto nel valorizzare le caratteristiche peculiari di ognuno indirizzandole verso un obiettivo comune senza chiedere di cantare in un modo che, pur di ottenere quel suono, risulterebbe forzato. Se si chiede, ad esempio, di cantare con voce ferma e pianissimo in tessiture acute a coristi che non hanno alcuna facilità nel farlo, si rischierà di lamentare una cattiva intonazione oppure la mancanza di aderenza alle dinamiche indicate. Ci troviamo quindi ad affrontare un altro argomento spinoso: quello della scelta del repertorio. Molti sono i maestri che, affascinati dai propri idoli corali, ambiscono a riprodurne anche il repertorio. Quest’ultimo esige caratteristiche ben precise, richiede sonorità particolari, dinamiche, estensioni, qualità timbriche e non è affatto detto che il nostro coro possieda esattamente tutto ciò che tale repertorio necessita. È sufficiente scegliere un brano non adatto per impedire al coro di cantare al meglio delle sue possibilità.
Il lavoro che porta alla creazione di un suono comune passa innanzitutto attraverso la consapevolezza di queste problematiche e delle insidie che esse nascondono. Nel percorso che porta alla scoperta delle nostre vere voci, lo studio di brani appartenenti a epoche e stili differenti è indispensabile per riuscire a esplorare le nostre possibilità. Ogni periodo storico è stato caratterizzato da stili compositivi differenti, da estetiche peculiari e ha sviluppato un linguaggio espressivo originale. Questi elementi hanno portato a un uso assai diverso dello strumento vocale, che ha dovuto sviluppare tecniche differenti per poter essere pronto a soddisfare le nuove esigenze che la musica richiedeva.
Ricordo ancora quando chiesi consiglio a Fosco Corti su come migliorare la qualità del mio coro che all’epoca cantava un repertorio quasi esclusivamente rinascimentale. Quale non fu il mio stupore nel vederlo arrivare con partiture di Mendelssohn, Schumann e Brahms! «Studiale, e poi torna a cantare Palestrina». Solo in un secondo tempo capii il significato di quella scelta. La musica antica non mi permetteva di usare dinamiche di grande intensità né di sviluppare l’estensione delle voci. Lo stile stesso privilegiava certe modalità di canto, quali il legato o l’intonazione delle consonanze perfette, ma non affrontava altre problematiche impedendo così di affrontarle e aumentare le possibilità esecutive del coro. Lo studio di repertori differenti è funzionale a ottenere una maggiore duttilità vocale e stilistica che non può che essere di grande aiuto nell’esecuzione di qualsiasi brano si scelga di eseguire.
Riassumendo quanto esposto fino a ora, le premesse alla creazione del suono corale consistono in una approfondita conoscenza della voce di ciascun corista, nello sviluppo delle sue qualità non solo da un punto di vista vocale ma anche musicale ed espressivo e nello studio di repertori differenti al fine di ottenere uno strumento duttile e consapevole

Lavorare sull’amalgama delle voci evitando di snaturarle è il primo passo da compiere. La vera difficoltà di questo lavoro consiste nel trovare un equilibrio fra la presenza di una voce e il peso che assume nell’insieme che, ovviamente, non deve essere predominante ma nemmeno inconsistente. Se un corista è presente nell’organico, la sua voce si deve sentire e se questo non avviene potrebbe anche essere un problema estraneo al volume. Non tutti i cantanti godono di una voce potente ma vi sopperiscono grazie a una tecnica che consente loro di “far correre” il suono. Lavorare sul timbro, sulla risonanza e su una corretta adduzione delle corde vocali, può essere di grande aiuto per correggere voci “soffiate” o comunque ricche di aria. A volte basta curare pochi difetti di emissione per riuscire a recuperare una voce che può rivelarsi assai utile. Per ottenere un buon amalgama è indispensabile lavorare molto su un’idea comune della pronuncia delle vocali.
Come è noto le vocali sono cinque: a, e, i, o, u. I suoni a esse corrispondenti invece sono complessivamente sette: a, è, é, i, ò, ó, u. Questo avviene perché due vocali (e - o) possono avere un suono aperto e un suono chiuso così come la loro pronuncia. Per distinguere graficamente questi suoni (aperto e chiuso), si usa l’accento fonico, che può essere grave (`) o acuto (´). La diversa pronuncia delle vocali e la mancanza di cura nel far rispettare accenti aperti e chiusi provocano inevitabilmente una disomogeneità del suono che, a volte, influisce perfino sull’intonazione. È necessario pertanto risalire alla corretta pronuncia fonetica e far segnare queste differenze sulla partitura affinché ognuno possa ricordarsi di come vada pronunciata questa o quella vocale. Sarà molto utile l’impiego di semplici e brevi melodie volte a uniformare la pronuncia delle varie vocali, evitando che qualcuno canti ad esempio una e aperta e un altro una e chiusa.
Quelle che possono sembrare differenze trascurabili sono in realtà alla base di una mancanza di omogeneità. Il compito del direttore è quello di ottenere la migliore prestazione da ogni corista, tenendo presente che le voci che ha a disposizione saranno assai diverse per natura e qualità.
Uno dei casi più delicati riguarda il bilanciamento delle voci più dotate se non addirittura impostate. L’errore più frequente, perché apparentemente sembra essere la soluzione più veloce, è quello di chiedere a queste voci di adeguarsi al “non volume” delle altre, di rinunciare insomma a “cantare”. Ecco l’opinione di Richard Miller in L’arte di cantare: 

«Ciascuno strumento-voce ha proprie peculiari caratteristiche timbriche. La soluzione, per il maestro del coro, non è fare in modo che i solisti si conformino al livello tecnico dei dilettanti, ma lavorare per rendere più efficaci le voci dei cantanti meno dotati. Non può esserci un unico timbro vocale, un unico modello, il che, per loro, significherebbe snaturare le proprie voci. […] Bilanciare le voci è una tecnica corale molto migliore del tentativo – impossibile – di uniformarle». 

Creare il suono del nostro coro, e non di un coro qualsiasi, significa esaltare le qualità del singolo. Così come un colore nasconde nella sua composizione percentuali diverse di altri colori, così il suono corale deve risultare omogeneo e compatto grazie alla presenza di tanti suoni diversi che concorrono tutti a un’idea generale comune. Bilanciare non significa appiattire, né rinunciare alle proprie caratteristiche.
Un altro elemento decisivo per raggiungere un suono veramente “corale” è dato dall'univoca lettura del testo musicale. L’interpretazione espressiva, in quanto emozionante, può concorrere in maniera importante a ottenere questo risultato. Un gruppo di persone che aderisce pienamente a interpretare nello stesso modo, con la stessa intensità, un brano musicale ha un obiettivo comune cui tutti tendono e al quale ognuno fornisce il proprio contributo. È la differenza fra quello che chiamo “cantare insieme” e “cantare contemporaneamente”. Il percorso verso un suono comune non deve tuttavia farci dimenticare che la cosa più importante è la ricerca del “giusto suono”, quello cioè che caratterizza un brano rispetto all’altro. Non credo nella “vocalità rinascimentale” o nella “vocalità romantica”. In ognuna di queste epoche ci sono brani assai diversi fra loro, anche dello stesso autore, che richiedono suoni diversi per poter essere rivelati: è la musica che richiede vocalità diverse per potersi rivelare.
Credo che chiunque partecipi all’esecuzione di un brano corale debba essere al servizio del singolo brano, del pensiero del compositore più che alla soddisfazione dei gusti personali di un direttore.
La coerenza, la comune determinazione nell’ottenere un risultato espressivo è alla base di un suono corale unico e irripetibile. Il nostro.

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