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Una sinergia di musica, emozioni, immagini
Hobos Factory - Feniarco dietro la camera

di Rossana Paliaga
dossier "Muoversi nel web", Choraliter 61, maggio 2020

L’emozione è un attimo, un cortocircuito di rapporti, situazioni, luoghi. Si può provare a raccontarla, a fissarla su un foglio o una scheda per conservarla nel tempo, ma tende a sfuggire preservando la propria unicità. Per catturarla si dovrebbe tentare di anticiparla con buona approssimazione, riuscire a guardarla senza esserne condizionati e rallentati, reagire nel momento giusto. Ma per farla vivere in un ideale album digitale occorre anche comprenderla ed esserne coinvolti, quel tanto che serve a poterla trasmettere. 

Da diversi anni le emozioni degli eventi Feniarco sono consegnate agli archivi corali italiani dalle immagini fotografiche di Chiara Pepe e dall’équipe della Hobos Factory che ha dato alla comunicazione della federazione un’impronta riconoscibile ed efficace con la creazione di clip video e dirette facebook, tra le quali sono diventate particolarmente popolari le produzioni legate all’amatissimo Festival di Primavera. I cori sono per loro natura empatici, ma questo non genera automaticamente una sinergia con elementi esterni. Sono inoltre plurali nelle loro espressioni, perché se l’effetto sul pubblico è uno, guardato da vicino è la somma di reazioni individuali che spostano l’attenzione contemporaneamente in direzioni diverse. 

Inoltre il messaggio e il mezzo nella maggior parte dei casi non parlano un linguaggio mainstream, immediatamente incanalabile nelle logiche dei social. Gli artigiani dell’audiovisivo della Hobos non si sono fermati davanti a queste tre porte, le hanno superate spontaneamente, facendosi coinvolgere dal vortice energetico di un mondo che ancora non conoscevano, ma nel quale hanno imparato presto a muoversi con grande abilità, ma soprattutto con una specifica sensibilità che, supportata dalle competenze professionali, costituisce il loro fattore X. In qualche modo hanno imparato a respirare e cantare con i cori, senza metterci la propria voce, ma trasferendo musica e vibrazioni nelle immagini delle loro clip, che risultano accattivanti per sapienza professionale e autentiche per approccio e carattere.
Di se stessi dicono di essere impegnati in una campagna di sensibilizzazione per il recupero e l’affermazione del valore delle storie e nei cori ne hanno trovate molte, in un effetto pirotecnico di emozioni che attendevano di essere raccontate anche attraverso uno schermo. Dopo diversi anni di collaborazione con alcune delle maggiori iniziative della nostra federazione corale, l’argomento di questo dossier ci permette di aprire le porte del loro laboratorio di racconti per immagini e di far conoscere meglio al mondo corale professionisti che per migliaia di coristi sono ormai parte integrante dell’esperienza al Festival di Primavera e di altre manifestazioni di rilievo promosse da Feniarco.

Luigi Marmo: la regia

Oggi comunichiamo soprattutto attraverso immagini, ormai anche al di là delle generazioni. Ci sono tuttavia immagini che parlano e altre che rimangono invisibili. Quali sono gli elementi fondamentali nella formula della comunicazione video? 

Innanzitutto cercare di capire a chi ci si rivolge e soprattutto in che modo. Se ci occupiamo di un prodotto rivolto a una sala cinematografica, sappiamo che verrà proiettato su uno schermo in una sala buia, con spettatori seduti e concentrati sui contenuti. Quando invece pensi a un video che verrà visualizzato su un cellulare che qualcuno guarderà magari mentre sta facendo un percorso in autobus o in una pausa di lavoro, devi riconsiderare il linguaggio e adattarti allo spettatore che ha poco tempo e attenzione per essere coinvolto dal contenuto. Se si annoia, molto probabilmente scorrerà la bacheca o passerà ad altro. Devi raccontare adattandoti a queste condizioni, sintetizzando al massimo i contenuti. Attorno al fuoco in una serata sulla spiaggia puoi raccontare una storia con calma, da una fermata all’altra della metropolitana devi necessariamente sintetizzarla. 

Quanto conta nel vostro lavoro il rapporto che si instaura con il committente?

È basilare. Il nostro lavoro ci porta a raccontare un giorno il mondo della coralità e l’altro quello di un’industria, dell’agricoltura o dell’artigianato. Per quanto riguarda il primo impatto con il mondo dei cori, devo ammettere che è stata una sensazione strana. Dovevamo innanzitutto capire i meccanismi: come inquadrare un coro, come trasmettere tutta quell’energia e riuscire a raccontare visivamente la musica, sapendo che probabilmente verrà ascoltata da un piccolo schermo come quello di un cellulare. Con Feniarco siamo riusciti a stabilire un rapporto che va oltre il lavoro. Siamo entrati in una dimensione fatta di regole, passioni, del piacere di stare insieme, della gioia di poter cantare con l’energia che conseguentemente si crea. Abbiamo capito che è proprio l’energia che dobbiamo raccontare, quella sprigionata da mille persone nello stesso momento. Speriamo di esserci riusciti.

I vostri video si basano su una forte componente emozionale. Cosa vi ha trasmesso il contatto con il mondo dei cori e in quale elemento credete risieda il loro punto di forza a livello di comunicazione visiva?

L’energia emanata dalla voce arriva a chiunque. È la scelta del repertorio e del contesto che fa la differenza nella possibilità di raggiungere un pubblico più o meno vasto. Se sei un appassionato di musica, ti viene la pelle d’oca, ma se hai un background diverso e ti trovi davanti a un programma impegnativo, la barriera diventa più forte. Attiri il pubblico quando lo conosci e puoi interpretare le sue reazioni e aspettative. Personalmente, all’inizio sono rimasto affascinato dall’onda d’urto che mi ha travolto, ero impressionato. Ascoltando in seguito molti concerti corali ho affinato l’orecchio e i gusti. Questo permette di comprendere meglio anche repertori che non avevo frequentato prima. 

La spontaneità della rappresentazione nella precisione della forma è una sfida costante o semplicemente il vostro modo di rapportarvi al soggetto del vostro lavoro?

C’è un po’ d’istinto e un po’ di mestiere. Se sei nel punto giusto, riesci a catturare meglio le reazioni spontanee, se le insegui è più difficile. Nel raccontare ad esempio il concerto finale del Festival di Primavera al Teatro Verdi di Montecatini Terme, il primo anno tendevamo a inseguire le situazioni, ma il secondo anno già conoscevamo i movimenti, la tensione del backstage, l’emozione dei ragazzi e sapevamo quale fosse il posto giusto per catturarli. Come quando vai a pescare. 

Siete presenti da diversi anni in alcune delle maggiori manifestazioni Feniarco. Pur parlando sempre di cori, il linguaggio delle clip si adegua ovviamente ai diversi contenuti, protagonisti, fruitori.

Se pensiamo ad esempio a Montecatini Terme e Fano, si tratta di un’energia totalmente diversa e se non la vivi non puoi né capirla, né raccontarla. E quando hai raccolto tutte le immagini di una giornata, arriva il momento della scelta dei momenti, che è un po’ come scegliere le parole giuste. 

In quale proporzione la regia risiede nell’idea di base e nel montaggio?

Non si possono dividere. La regia inizia quando ti interessi a quel mondo e continua fino a quando qualcuno lo vedrà e reagirà a quello che stai raccontando. Nel montaggio è fondamentale cogliere quello che è utile al racconto, per trasmettere alle persone che non erano presenti quanto si è vissuto in prima persona.

Nelle molte esperienze vissute al fianco di Feniarco, c’è qualche episodio che vi è rimasto nel cuore?

Tantissimi. Sicuramente non dimenticherò la pelle d’oca nella basilica di Santa Maria Novella a Firenze per l’evento finale di Officina Corale del Futuro. Stavo al centro della moltitudine di coristi, accanto al direttore, in una posizione favorita, e ricordo l’energia che arrivava a 360 gradi. Anche questa emozione si è inserita nel contesto del Festival di Primavera, che ogni anno attendiamo con gioia. Il fatto che quest’anno sia stato annullato è stato un grande dispiacere. A Montecatini Terme e con Feniarco lavoriamo tantissimo, in un ambiente sereno, divertendoci e stando bene, è ogni anno un pieno di energia.

Dario Renda: la produzione

Il primo incontro con il mondo dei cori e con Feniarco?

Tutto è iniziato dal rapporto con il coro di Ciro Caravano, con il quale ci eravamo incrociati alcune volte e in particolare in occasione di un concerto di beneficenza. Gli avevo proposto di creare una situazione musicale, cantata, per suscitare un’emozione forte. Nell’arco di qualche ora ha radunato i suoi coristi e li ha fatti cantare. Avevo familiarizzato quindi con il suono corale, ma mantenevo ancora un rapporto da spettatore. Il primo incontro con Feniarco è stata la nostra prima collaborazione al Festival di Primavera, grazie al contatto con Vicente Pepe, divenuto in breve “Papà Pepe” per tutta la famiglia della Hobos di cui fa parte anche la nostra scenografa (e factotum) Chiara Pepe. La situazione di lavoro che mi ero immaginato era un evento con molte masterclass e ragazzi che studiano. Avevo un’idea di massima sul “materiale” sul quale avremmo lavorato, ma non mi rendevo conto dell’uragano emozionale che mi aspettava. Quando siamo arrivati, ci ha emozionati da subito la quantità di situazioni, con musica e ragazzi che cantavano ovunque. Dalla nostra postazione di lavoro nell’hotel sentivamo cantare anche di notte nelle stanze. Era bellissimo. Eravamo partiti con un’idea di realizzazione, ovvero un “prodotto” da presentare, descrivere, e invece ci siamo resi conto che dovevamo far rivivere quest’esperienza a chi avrebbe guardato. Ed era molto difficile. Ogni anno abbiamo cercato di aggiungere qualcosa, di essere ancora più creativi anche in sala di montaggio. Il festival ci ha coinvolti, lo abbiamo vissuto, e la quantità di materiale e mezzi aumentava di anno in anno in maniera esponenziale. All’inizio siamo arrivati con una Berlina per poi passare a un capiente SUV e infine abbiamo iniziato a spedire il necessario perché non c’era abbastanza posto e ognuno nella propria follia creativa proponeva ulteriori idee nuove. Viviamo il festival insieme ai partecipanti. In questi cinque anni abbiamo visto ragazzi ritornare, crescere. 

Raccontaci lo sguardo dietro la camera: il coro è uno, i coristi sono tanti e così anche gli spunti per chi riprende. Come gestire un materiale che può facilmente risultare dispersivo?

Ci interessa quello che accade all’interno del coro. Ogni coro è una sinergia di voci, sulla quale ci modelliamo, creando allo stesso modo un’armonia di individualità. Gli elementi essenziali sono ovviamente direttore e coristi, poi ci facciamo trasportare dal dinamismo di quello che accade, dalla musica. Con il tempo abbiamo imparato a capire i movimenti del direttore e seguiamo i loro effetti sui coristi. Lavoriamo sempre con più camere e scegliamo le immagini giuste nel montaggio. In un certo senso diventiamo coristi. Ognuno di noi ha un ruolo ben preciso e lo definisce nel proprio settore. Io mi occupo della gestione e creazione dei contenuti per Instagram, Marcello De Martino dei montaggi delle Class con le interviste, ovvero il parlato, Aldo Galelli con la sua caratteristica precisione si occupa del concerto, Luigi, il nostro regista, con la sua creatività e abilità nel montaggio crea le clip più eleganti e quando siamo sul campo è quello che può avere uno sguardo più ampio sull’intera situazione. Possiamo dire che Luigi è il nostro direttore di coro.

I cori risentono di un impatto mediatico non proporzionale all’ampiezza della loro diffusione. Quale potrebbe essere il loro punto di forza a livello di social media?

I cori sono un prodotto artistico interessante. A livello di social non parliamo ovviamente di tecnicismi, comprensibili agli addetti ai lavori, ma dell’emozione che ha un’impatto sul grande pubblico. La difficoltà globale risiede nella commercializzazione dell’arte. I Pentatonix ad esempio sanno utilizzare molto bene il web: appartengono al mondo corale, ma hanno trovato un veicolo che risulta molto pop. Cori bravissimi non riescono ad avere un grande seguito sui social, a volte per la scelta sbagliata del brano che non ha gli elementi per suscitare entusiasmi di massa. Occorre dare un tema, un taglio preciso, magari all’inizio veicolare l’argomento coro a pop e rock: con le professionalità che ci sono nell’ambiente corale si potrebbe avere un grande successo a livello social. Portare la massa alla musica corale non è difficile, ma occorre farlo in modo accattivante e senza compromessi sull’alta qualità. Chi inizierà a seguire, potrà progressivamente avvicinarsi anche ad altri brani e repertori. Poi avverrà una selezione: alcuni non continueranno, ma altri resteranno perché hanno scoperto qualcosa che altrimenti non avrebbero mai considerato, non fosse stato per quel casuale incontro sui social.

Al Festival di Primavera raccontate entusiasmi, ansie, momenti involontariamente comici, oppure spontanei, insoliti, emozionanti. Come gestite il limite tra la necessità e l’opportunità di renderli fruibili a chi guarda dall’esterno?

A gennaio stavamo iniziando a lavorare al progetto del Festival di Primavera, con idee e target nuovi. A Montecatini Terme ci divertiamo tantissimo ed è veramente triste non aver potuto vivere questa edizione. Alcuni dei bambini e dei ragazzi incontrati nei nostri video degli anni scorsi sono personaggi magnifici. Riprenderli nelle loro emozioni sul palco e nel backstage impone rispetto e immedesimazione. Sono valori che portiamo avanti da trent’anni, da quando facevamo gli animatori e poi gli organizzatori e vivevamo da dentro il mondo dei festival e degli eventi. Ti fai prendere dall’emozione, ti diverti, ma non devi mai prendere in giro chi stai guardando: deve essere un divertimento compartecipato, devi vivere e condividere quella stessa emozione. Quando realizziamo un montaggio e abbiamo tutti la stessa reazione a una situazione, vuol dire che funziona.

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