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We(b) choir!

di Walter Marzilli
dossier "Muoversi nel web", Choraliter 61, maggio 2020

Tenete presente che inizio a scrivere questo articolo introduttivo del dossier in piena emergenza sanitaria, chiuso in casa dal 5 marzo. È il 20… Speriamo bene…Parliamo di quella particolare forma di web costituita dai social. Sembra che una cosa esista solo se passa da lì, e fino a qualche anno fa questo valeva soprattutto nel mondo giovanile, mentre adesso si è allargato anche a molti altri strati sociali. Mia figlia da piccola snobbava da subito le sue nuove conoscenze se non avevano un profilo social. Io invece andavo a cercare quelli che non l’avevano. Per dire… Ma i tempi sono cambiati e mi sono adeguato anch’io. Entro certi limiti. 

Per esempio: in epoca a.S. (avanti Social!) quando facevi un concerto lo ascoltavano soltanto i presenti. Adesso c’è sempre qualcuno che fa un video e ti manda immediatamente in diretta fino a Singapore. Certo, è una bellissima cosa! In termini di visibilità, diffusione e apertura verso l’esterno niente uguaglia l’efficacia dei social. Ma c’è anche il rovescio della medaglia. Nei concerti adesso ti devi comportare come il Santo Padre, costantemente in mondovisione, e sotto potentissimi riflettori – nel senso più letterale del termine, intesi come mezzi che riflettono, quindi proiettano, te e il tuo coro in tutto il mondo. Sappiamo bene che ci sono cose che si possono dire solo in famiglia, o a pochi amici intimi come lo diventano i presenti a un concerto, che puoi facilmente avvicinare con le parole fino a farli entrare in una cerchia di cordiale intimità. Le stesse cose, proiettate nel mondo, assumono una dimensione e un peso del tutto diversi. A volte pericolosi e controproducenti. Se la situazione lo permette io chiedo al pubblico dei miei concerti di non fare video, ma di ascoltare dal vivo quello che succederà. E immancabilmente nasce un applauso… Ecco cosa abbiamo perso: il senso dell’hic et nunc. Il qui e ora che da sempre caratterizza e colora la vita. E nella musica ancora di più.

Mi spiego meglio. Quando sentite la registrazione di un vostro concerto vi sembrerà sempre tutto troppo lento, le pause troppo lunghe, i fraseggi troppo pesanti, le cadenze troppo rallentate. Il motivo risiede nell’aria. Durante il concerto dal vivo le molecole d’aria si muovono in modo totalmente diverso da come si muovono nella stanza dove viene ascoltata la registrazione. La cosa peggiora con le cuffie, anche se ne guadagna la qualità sonora e la profondità. Nei grandi spazi di una chiesa lo spostamento delle molecole dell’aria dovuto alla pressione dell’onda sonora avvolge il corpo dell’ascoltatore, e colpisce le nostre due orecchie in tempi diversi tra loro [In realtà le molecole non compiono un lungo tragitto: vengono compresse e poi tornano subito al loro posto durante la decompressione. Non si muovono dalla sorgente verso nostro orecchio. Magari! La nostra voce godrebbe di una proiezione meravigliosa!].

Le molecole vengono riflesse dalla parete posteriore e provengono anche da dietro, quindi raggiungono le nostre orecchie con un notevole ritardo rispetto alle onde frontali dirette. Provengono anche dall’alto, e dai lati.  Si crea insomma un tale turbinio di molecole e di sollecitazioni sensoriali che nessuna cuffia sarà mai in grado di riprodurre. E nemmeno la stanza dove teniamo il computer o l’apparecchio di riproduzione potrà ricreare tutti gli stimoli aerei dell’ambiente del concerto. Queste riflessioni dell’onda allargano il suono, e soprattutto lo fanno allungare dopo il termine della vibrazione sonora.

Ed è proprio in questo modo che riescono a riempire il vuoto delle pause, colmano la distanza tra le note nei fraseggi portati, avvicinano tra loro gli accordi delle cadenze. Tutto questo riempimento sonoro dovuto al riverbero non entra nel microfonino del cellulare con la sua membrana piccolissima, o lo fa in misura minima, causando poi quel fastidioso ascolto dilatato e rallentato di cui parlavamo prima. Tutto questo concorre a creare la necessità di tenere conto del riverbero quando si deve scegliere la velocità da imprimere a un brano durante il concerto. La presenza del riverbero imporrà un andamento più calmo, mentre la sua assenza permetterà, anzi solleciterà, una velocità maggiore.
Così come i mottetti rinascimentali non hanno note piccole e veloci mentre i madrigali sì. I mottetti infatti dovevano essere eseguiti nelle chiese romaniche e gotiche dotate di un alto livello di riverbero, i madrigali invece nelle stanze asciutte dei palazzi.
Per lo stesso motivo i brani barocchi sono ricchi di volatine veloci di semicrome, e le cadenze si possono condurre rallentando solo il penultimo e ultimo accordo, senza il pericolo che i suoni si sovrappongano come nelle chiese romaniche e gotiche: perché nelle chiese barocche il riverbero è pressoché assente a causa dell’importanza della Parola nella liturgia.

A questo proposito sembra opportuno soffermarsi sull’impiego degli ottoni nella musica di Georg Frederich Händel. Nel caso di esecuzione all’aperto (Water Music) Händel utilizza due trombe e addirittura le raddoppia (come sembra risultare dalle cronache), alle quali unisce due corni, oltre a due oboi e al fagotto, con il continuo di ben due cembali. Per non parlare della Royal Fireworks Music, in cui per ovvi motivi legati al titolo (fuochi d’artificio) usa tre corni e tre trombe, verosimilmente raddoppiati o addirittura triplicati. Al contrario, nei quarantasette numeri che compongono il celebrativo Messiah impiega sole due trombe, e per di più lo fa soltanto in tre dei quarantasette numeri, di cui uno è il celebre Halleluia. Inoltre in tutta la composizione usa solo due oboi e un fagotto al continuo. Sono convinto che ciò non sia dovuto tanto alle distanze e alla dispersione degli spazi aperti, quanto alla volontà di limitare le riflessioni e le ridondanze acustiche degli ottoni all’interno. Figuriamoci poi – tornando ai video con il cellulare – se quella piccolissima membranina del microfonino del telefonino riesce a far passare il bel timbro corposo dei bassi, alla cui rotondità ed espressività avete lavorato per dei mesi. E che dire del suono dei soprani che risulta così vitreo nel video, quando voi avete passato prove su prove per fargli alzare il velo del palato e abbassare sia lingua che mandibola, in modo da ottenere il bel suono che finalmente avevano raggiunto?

È questo il motivo per cui non mi piace molto ascoltare le registrazioni di un mio concerto. Come non ascolto volentieri nemmeno il risultato di un editing accurato e laborioso, anche quando lo faccio per Deutsche Grammophon. Il difficile dell’editing è farlo, e bisogna farlo molto bene. Poi il risultato sarà buono per forza… Ma c’è un’altra cosa particolare su cui riflettere: l’evento registrato non è unico (se lo fosse sarebbe preziosissimo, come la Gioconda), ma è ripetibile all’infinito con estrema facilità. Nella figura seguente è rappresentato l’evento dal vivo, durante il quale il suono è indissolubilmente legata alla sorgente:

Nella prossima figura vediamo invece cosa succede quando si registra l’evento, separando il suono dalla sorgente per renderlo ripetibile all’infinito:

Al di là dell’utilità di poterlo sentire più volte – situazione della quale si avvalgono spesso i direttori per scegliere o studiare un brano su un video in Internet, ma di questo parleremo tra un po’ – la ripetibilità e la facilità di raggiungerlo, come accade in tutte le cose della vita, ne diminuisce il valore. Una stampa o una litografia perdono di valore proporzionalmente al numero maggiore di copie che ne vengono stampate. Le case produttrici costruiscono oggetti in numero tale che manchi sempre un esemplare rispetto alla richiesta, per mantenerne alto sia il valore che la domanda. Se il concetto non vi sembra troppo filosofico potremmo dire che l’unicità dell’evento musicale dal vivo ne assicura il successo nell’ambito dei ricordi, che riescono a colorare di bello ciò che in effetti magari non lo era allo stesso grado di come lo dipinge il ricordo stesso.

Poco fa parlavamo di editing. Ecco cosa succede quando si manipola la sorgente sonora dopo la registrazione:

In questo caso il concerto non solo è duplicabile all’infinito, ma anche modificabile in diversi modi, e questo può falsificare la sorgente sonora originale fino a stravolgerla o corromperla. Si deve sapere che la maggior parte delle più importanti registrazioni, soprattutto quelle orchestrali, sono frutto di un editing a volte esasperato.

Tutti noi in questi giorni di clausura abbiamo scoperto le piattaforme per le video-conferenze. Purtroppo non sono fatte per cantare, dal momento che sono tarate sulle frequenze della voce parlata. Questa si attesta mediamente intorno ai 100 Hz per gli uomini e 200 Hz per le donne. Si tratta di frequenze ben lontane da un SOL sopra il rigo dei soprani, che arriva a 784 Hz (783,99). I più fortunati sono i tenori, che con il loro SOL acuto suono reale in seconda linea si fermano a 392 Hz, superando però di quasi il doppio la frequenza parlata delle donne. Per non arrivare al LA acuto, che naturalmente è 440 Hz per gli uomini e ovviamente 880 Hz per le donne, all’ottava sopra. Ecco perché risulta impossibile cantare le note acute in una sessione di video-conferenza: la banda viene facilmente saturata e la voce non passa, e per impedirne il passaggio basta il MI in quarto spazio di un soprano (659,26 Hz). Provare per credere. Mentre passa il MI all’ottava sotto (329.63 Hz). I suoni più gravi infatti passano meglio, e così la sezione dei bassi è la più sfortunata: possono essere oggetto di giudizio da parte del maestro collegato via web. Come lo sono anche i tenori nella loro tessitura non acuta, e i contralti. Ma uno alla volta! Infatti è impossibile cantare in più persone contemporaneamente via web, e questo invalida la possibilità di fare delle prove reali con il coro, anche a sezioni separate. Ma questa limitazione può essere trasformata in un grande vantaggio. Infatti è un’occasione ottima per fare un po’ di quella vocalità individuale che un direttore non ha mai tempo di fare. Anni fa, in tempi non sospetti, in un mio articolo sulla gestione delle prove avevo suggerito di dividere il coro in quartetti (o al massimo inizialmente in ottetti), e di far cantare a ognuno di essi un brano ben conosciuto. Il direttore può anche chiamare un quartetto mezz’ora prima della prova generale e poi fermarsi con un altro quartetto mezz’ora dopo la prova. Con due sole prove avrà già passato in rassegna individuale sedici cantori se usa i quartetti, e trentadue con gli ottetti, ottenendo una grande crescita artistica del coro intero, e sicuramente con tante belle sorprese positive per quanto riguarda il suono di ogni quartetto. Anche di quelli formati da persone che non erano finora considerate in grado di sostenere una parte solistica.

Il web può essere un ostacolo alla crescita artistica del direttore. Mi affretto subito a spiegare questa affermazione allarmistica, che ho messo lì non senza un intento provocatorio. Come accennavo in precedenza, per scegliere il prossimo brano da insegnare al coro alcuni (molti) direttori e studenti di Direzione si basano sui video di YouTube, soprattutto quelli con la partitura che scorre comodamente davanti agli occhi. Poi vanno sui tantissimi siti di partiture gratuite (mi auguro che possiate trovarne l’elenco nei successivi articoli di questo dossier) e il gioco è fatto. Comodamente dalla poltrona del proprio studio. Se avessimo avuto questi mezzi ai tempi della nostra formazione – parlo di noi direttori con la barba bianca – avremmo potuto sicuramente risparmiare un sacco di tempo del nostro girovagare per le tante biblioteche. Ma c’è un pericolo in questa comodità, anzi due. Intanto i siti di partiture gratuite contengono spesso trascrizioni inesatte, con errori di note, di sillabazione, di alterazioni per la musica antica ecc. (ho trovato degli sbagli anche nell’Ave verum di Mozart…). Ma è soprattutto l’ascolto dell’audio che nasconde il pericolo. Tutti noi, quando lavoriamo al fraseggio e all’interpretazione di un brano, pensiamo di realizzarli applicando criteri oggettivi, storici, formali e di prassi esecutiva conclamata. Invece nella maggioranza dei casi non ci accorgiamo che partecipano inevitabilmente a definire le nostre scelte interpretative anche tutto il nostro trascorso, l’ambiente che abbiamo frequentato durante gli studi, la vicinanza a un direttore-insegnante particolare e tutte le cose che abbiamo ascoltato e magari apparentemente dimenticato. Ebbene, nel breve spazio dell’ascolto di un brano (che naturalmente una volta avveniva tramite cassette, poi LP, in seguito CD, adesso su piattaforma multimediale, tutti con lo stesso risultato che sto per dire), magari dopo un ascolto ripetuto, quell’interpretazione riesce a penetrare nel nostro vissuto come se ne facesse parte da un tempo molto maggiore, e fosse sedimentato tra le acquisizioni ineluttabili del nostro sapere. Soprattutto adesso che il tempo medio di visione di un video sui social va da quattro a sette secondi!
I più smaliziati guardano anche al numero di visualizzazioni, i commenti, i pollici in giù e in su come al tempo dei Romani… E allora ecco il tactus e i fraseggi, le sonorità e le cadenze, i respiri e le corone adottate dal direttore: tutti uguali a quelli del video!
È questo il modo in cui il web può fermare la creatività e l’espressività di un direttore, e quindi la sua crescita artistica! E nessuno si accorge di questa sorta di dipendenza dei direttori dal video web quanto noi che insegniamo Direzione. Ci vuole del tempo e molta insistenza per modificare i fraseggi assunti, e lo si può fare solo dopo aver dato all’allievo una spiegazione approfondita ed esauriente di una interpretazione diversa.

Un ultimo concetto prima di concludere: questa sorta di globalizzazione della musica attraverso il web permette a chiunque di inventarsi musicista e compositore. Ci sono tante applicazioni molto più semplici e immediate dei più diffusi programmi di scrittura musicale, che permettono facilmente di comporre musica. I programmi di scrittura musicale correggono anche gli errori di quinte e di ottave.
All’assistente virtuale Alexa con un comando vocale puoi chiedere di farti ascoltare qualunque tipo di musica restando seduto sul divano, mentre prima dovevi girare alcuni negozi prima di trovare il costoso CD che cercavi. In internet trovi decine di esecuzioni dello stesso brano da confrontare, e scopri anche che ci sono infiniti approfondimenti di fisiologia vocale, al grido di “siamo tutti foniatri!”. Sui social trovi un’infinità di brani (a proposito, ragazzi: cercate di scegliere con molta attenzione i brani del vostro coro che volete condividere; verificate bene che siano degni di essere pubblicati!). Ecco, questa globalizzazione sembra minare l’esistenza di una élite musicale che deteneva il primato prima dell’era web. Però è una gran bella cosa la diffusione capillare del sapere musicale via web, tanto quelli bravi rimarranno a galla, e quelli che non lo sono prima o poi spariranno. 

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