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Conoscere e amare lo strumento
Le pagine corali di Roberto Di Marino

di Lucia Vinzi
Dossier compositori, Choraliter 63, gennaio 2021

Scrivere per coro significa conoscere e amare lo strumento coro. Roberto Di Marino si avvicina alla scrittura corale spinto dal caso, come molti altri. Si appassiona poi ai diversi organici corali: lo stimolano anche come limite e lavorare sul limite spesso porta a soluzioni inaspettate e a scoperte che generano novità. L’approccio alla scrittura corale, così come quello alla scrittura per diversi ensemble strumentali (che nel suo catalogo occupano una gran parte) è vissuto in modo sincero e partecipato, attraverso un forte legame con gli esecutori e gli ascoltatori, ma anche con il piacere spontaneo di fare musica attraverso la composizione e di vedere, o più correttamente sentire, la concretezza del proprio lavoro.

Nasce prima la composizione per coro o l’interesse per il mondo corale? Ci sono situazioni o persone alle quali attribuire il merito del tuo interesse per l’uno e per l’altro campo?

Il mio interesse per la composizione è arrivato molto tardi rispetto ai miei studi musicali e in modo quasi casuale. L’occasione che mi ha spinto a intraprenderne lo studio è stato l’esito positivo dell’esame di armonia complementare al conservatorio. Ma senza l’incoraggiamento di mia moglie probabilmente non avrei mai iniziato. Fino ad allora avevo un’idea molto vaga di cosa fosse lo studio della composizione: temevo potesse essere qualcosa di astratto, speculativo e un po’ arido. Per quanto riguarda l’esperienza corale, posso dire che ha accompagnato tutta la mia vita anche se, devo confessarlo, non ho mai amato troppo la mia voce. In questo senso il rapporto con uno strumento musicale mi sembrava più gratificante. Il mio desiderio di fare musica a un certo punto ha trovato nella composizione la sua espressione più completa. 

Vivi in una terra che ha un forte e caratterizzato legame con la coralità in genere e con un certo tipo di coralità in particolare. Tutto questo ha influito sul tuo modo di scrivere? Per quale organico corale ti piace comporre? Quando scrivi pensi al coro per il quale componi?

L’esperienza corale influisce molto sulla scrittura. In un certo senso la condiziona e questo, in astratto, potrebbe sembrare un limite. In realtà avere dei confini all’interno dei quali muoversi è un aiuto e un‘opportunità, mentre una libertà totale può essere persino paralizzante. La formazione mista mi sembra l’organico più ricco e completo. Anche il coro accompaganto da uno o più strumenti è per me molto interessante. Purtroppo non sempre è facile trovare contesti favorevoli all‘esecuzione, soprattutto se si tratta di strumenti inusuali. Per i cori è più difficile gestire questo genere di proposta. Scrivere per se stessi o per chi esegue o ascolta? Una risposta netta è impossibile. Posso dire che scrivo in parte per me ma soprattutto per chi esegue e chi ascolta.

Il tuo lavoro di compositore spazia in diversi orizzonti, la tua formazione e la tua attività didattica coinvolgono il mondo degli strumenti a fiato. Il pensiero va immediatamente al mondo delle bande che tante affinità hanno con il mondo corale. Quali sono le affinità e le differenze tra lo scrivere per coro o per altri organici dal punto di vista dell’utilizzo del linguaggio musicale?  

Nei primi anni di attività scrivevo saltuariamente e solo per il piacere di farlo. La scelta di scrivere per coro, per banda o in generale per strumenti a fiato era un modo per dare concretezza a questa attività tutto sommato abbastanza spontanea. Pensavo che ci fosse maggiore disponibilità ad accogliere nuove musiche negli ensemble di fiati. La letteratura musicale per pianoforte e per strumenti ad arco, con la sua lunga storia così ricca di capolavori, intimidiva e scoraggiava ogni intenzione di scrivere per questi organici. Anche qui il caso ha cambiato le cose: da alcuni anni scrivo soprattutto per archi, semplicemente perché è la musica che mi viene più spesso richiesta. 

Ci sono degli elementi che caratterizzano il tuo linguaggio compositivo?

Non penso di avere un unico e personale linguaggio. Scelgo di muovermi all’interno di uno stile che mi sembra di conoscere abbastanza e che ritengo adatto al contesto e allo strumento per il quale scrivo. Il mio è un artigianato compositivo che cerca di adattarsi alle situazioni. Quando ero studente volevo scrivere un tipo di musica che fosse attuale ma nella quale l’ascoltatore potesse ancora distinguere le note giuste da quelle sbagliate. Ritenevo che riconoscere all‘ascolto gli errori significasse possedere una sorta di codice interpretativo per quella musica e, in un certo senso, avere una chiave di accesso per comprenderla. 

Qual è il tuo rapporto con i testi che scegli di musicare?

Molte volte il testo mi viene proposto dal committente, altre volte è frutto di una mia ricerca, altre volte ancora è di mia composizione. Quando scrivo un testo sento di occuparmi di qualcosa che va oltre alle mie competenze specifiche e non nego un certo imbarazzo. Ma devo dire che concepire testo e musica insieme permette esiti musicali altrimenti difficili da raggiungere, soprattutto se la musica ha una forte connotazione ritmica e una melodia sillabica.

Cosa deve sapere, conoscere, amare il compositore che scrive per coro?

Scrivere per coro non è, almeno nel mio caso, un’attività istintiva. Bisogna conoscere il coro, conoscere alcuni elementi di direzione ma soprattutto bisogna essere partecipi e emotivamente coinvolti; bisogna amare il mondo corale. Naturalmente è necessario possedere una tecnica compositiva. Per farlo bene, come per tutte le cose, sono necessari amore, tempo e pazienza.

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