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Le shape notes di tradizione anglofona

a cura della #redazione
dossier "Ready to read", Choraliter 64, maggio 2021

Imparare a leggere la musica senza alfabetizzare veramente, ovvero cercando scorciatoie funzionali allo scopo di far cantare insieme le persone. È stato questo lo scopo delle “shape notes”, tipo di scrittura della musica diffuso in ambito anglosassone che, associando le note a simboli ovvero forme, permetteva agli analfabeti musicali di leggere semplici brani devozionali

Una soluzione grafica dalla quale il mondo musicale “ufficiale” si è preoccupato di prendere le distanze, utilizzando per questo particolare sistema di alfabetizzazione “relativa” fantasiosi termini spregiativi per sottolineare la differenza tra gli ambiti di fruizione, tra l’accademia e il mondo rurale.
Il sistema si sviluppa nell’arco di due secoli negli Stati Uniti d’America e si basa su associazioni mentali di forme e nomi delle note, ma considerandone di base solo quattro e in un ordine che fa partire una scala maggiore dal fa e una scala minore dal la.
Nella scala maggiore si ragiona su blocchi di toni interi successivi (fa-sol-la + fa-sol-la). Per segnalare il semitono di una scala minore (come anche tra settimo e ottavo della scala maggiore) i primi tre gradi verranno solfeggiati la-mi-fa. Le teste delle note sono sostituite con forme geometriche poste prevalentemente sul rigo (ma non sono mancati a inizio Ottocento esperimenti per liberare le shape notes dal pentagramma).
Il sistema four shape, con quattro nomi delle note, si è evoluto nel corso del XIX secolo nel sistema a sette note (secondo l’ordine consueto di una scala di do), codificato nel 1846 da Jesse Bowman Aikin. La lettura procede secondo il sistema del do mobile: le sillabe indicano i rapporti tra le note nella scala, non la loro altezza assoluta. Tra le espressioni più note del canto in shape notes va citata la Sacred harp, nata nel New England (da radici inglesi risalenti all’inizio del XVIII secolo), e il cui nome deriva dall’omonima raccolta pubblicata nel 1844. Si basa sul sistema a quattro e non prevede l’accompagnamento strumentale. Le voci si posizionano in un quadrato dove il ruolo di direttore può passare da un cantore all’altro. Chi guida l’esecuzione indica il tempo con movimenti della mano che vengono ripetuti anche dai cantori.

Il canto Sacred harp è per sua natura inclusivo, richiede la partecipazione attiva dei cantori che sono al tempo stesso fruitori dell’esibizione. Per tradizione, anche chi preferisce soltanto ascoltare viene inserito nel quadrato dei cantori.Le shape notes hanno lo scopo di facilitare l’approccio alla musica, permettendo ai fruitori di riconoscere note e intervalli. Chiaramente l’utilizzo è necessariamente limitato a repertori semplici, ma non necessariamente monodici, prevalentemente sacri, ma anche profani. I compositori erano spesso insegnanti in scuole di canto dedicate all’esecuzione della musica in ambito liturgico ed è proprio per l’utilizzo in queste scuole che vengono codificate agli inizi dell’Ottocento le shape notes.

Pur trattandosi di un sistema nato in un ambito parrocchiale prevalentemente rurale e non riconosciuto dagli ambienti accademici, ha saputo mantenere la propria nicchia di popolarità nel tempo. L’uso delle raccolte scritte in shape notes non è stato del tutto abbandonato e la tradizione viene ancora mantenuta nell’ambito delle chiese protestanti di alcuni stati degli Usa orientali, addirittura con recenti revival.
La tradizione della Sacred harp ha vissuto infatti una rinnovata popolarità nel segno del recupero di una tradizione lontana dalle mode e dagli stili attuali, ma testimone di una storia longeva. Nell’ultimo ventennio comunità Sacred harp si sono formate nel regno Unito, in Irlanda, Canada e Australia, ma si sono diffuse anche in Paesi non anglofoni.

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